I giovani che hanno fatto del Vangelo il centro della propria esistenza

By 14 Novembre 2019Testimoni

Le loro storie dimostrano che se c’è qualcuno capace di «amare con l’amore incondizionato del Signore» – come scrive papa Francesco nell’esortazione apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo «Gaudete et exsultate» – quelli sono i giovani. Tra le nuove generazioni, infatti, troviamo numerosi testimoni della radicalità e della genuinità che rendono santi. D’altra parte, scrive ancora il Pontefice nel documento firmato l’anno scorso, «tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova». Un orizzonte che l’imminente solennità di Tutti i santi mette davanti agli occhi di tutti, anche attraverso le vicende dei testimoni della fede del nostro tempo. Tra di essi molti giovani, che si sono trovati a vivere la propria fede in situazioni difficili, spesso nel segno della malattia. La testimonianza resa nella sofferenza, però, altro non è che il culmine di un cammino partito da lontano e coltivato giorno dopo giorno.
In questa pagina raccontiamo le storia di alcuni di questi giovani: alcuni di questi volti sono stati scelti per accompagnare la riflessione del Sinodo dei giovani che si è tenuto a ottobre dell’anno scorso. Come chiede il Papa ognuno di loro ha vissuto il Vangelo nella propria quotidianità: chi nello sport, chi nella musica, chi in oratorio, chi nella consacrazione. A unirli, quindi, non è l’esperienza della malattia, ma la scelta di mostrare al mondo dove sta il cuore più autentico della vita. Per dirla con il Papa, insomma, essi hanno permesso a Dio di plasmare in loro «quel mistero personale che può riflettere Gesù Cristo nel mondo di oggi».

Nicola Perin

Il «mediano di Dio» che giocava sempre per gli altri. Affrontò la leucemia con il coraggio del rugbista

«Il “Pera” in campo lotta» così i suoi compagni di squadra dicevano di Nicola Perin, giovane promessa del Rugby Rovigo. E così è stata la sua vita, una lotta. La sua vicenda è raccontata nel libro di Cristian Bonaldi Il mediano di Dio, edito da Edizioni Paoline. Perin era nato a Rovigo da mamma Adriana e papà Roberto il 2 febbraio 1998. Cresciuto a Borsea, frazione del capoluogo polesano, giocava fin da piccolissimo come mediano. Un ruolo di sacrificio in cui vengono prima la squadra e gli altri e poi sé stessi. E il campo per Nicola non era diverso dalla vita. Nel suo diario scrive: «In tutte le persone c’è del buono e per fare in modo che non vada sprecato è necessario metterlo a disposizione degli altri» e così ogni giorno cercava la felicità «in ogni cosa che mi è concessa di fare».
Il 9 luglio del 2013 la scoperta drammatica: era affetto da leucemia. La lotta si fa intensa e lui si affida a Dio: «La mia vita senza la fede sarebbe arida, la croce che sto portando non avrebbe senso». Anche la malattia non lo frena nella sua generosità e in ospedale, il suo pensiero è per gli altri giovani ammalati. Nei momenti più duri della lotta nel suo diario annota: «Signore fai di questo piccolo essere tutto quello che vuoi», convinto che «la santità è amare la volontà di Dio». Le mani del Padre diventano il suo rifugio: «Signore, voglio vivere e morire facendoti onore, come un vero figlio». E così, come un figlio, ha vissuto la sua breve vita e Dio gli è venuto incontro per sempre nella vigilia di Natale del 2015. «Vivere e dare la vita è un grande dono». Così è vissuto Nicola Perin, mediano in campo e ora mediano di Dio, testimone luminoso di una fede possibile.

Carlotta Nobile

La violinista prodigio che ha saputo affidarsi a Dio ha lasciato una grande eredità artistica e di solidarietà

«Sono onorata e fortunata di poter portare la Croce con gioia a 24 anni». Lo aveva confidato Carlotta Nobile a Papa Francesco, in una lettera scritta nel 2013, tre mesi prima di morire per un melanoma. Lei, l’enfant prodige del violino, la malattia l’aveva affrontata con forza e determinazione, ma è stato nell’ultimo tratto del suo calvario, al risveglio da una crisi cerebrale, che ha riscoperto il rapporto con Dio: «Il cancro – raccontava – mi ha guarita nell’anima, sciogliendo tutti i miei grovigli interiori e regalandomi la fede, la fiducia, l’abbandono e una serenità immensi». Artista poliedrica (era anche storica dell’arte, scrittrice e blogger), a 17 anni Carlotta si era diplomata in violino con 10 e lode e menzione d’onore e nel 2010 era stata nominata direttore artistico dell’Orchestra da camera dell’Accademia di Santa Sofia di Benevento. Nel 2012, dopo la diagnosi, aveva aderito alla rete di solidarietà impegnata nel portare la musica nei reparti oncologici. Nel 2018 è stata indicata tra i testimoni del Sinodo su “I giovani, la fede e il discernimento”. La sua storia infatti continua a riecheggiare e ad ispirare: sono nate l’Associazione Centro Studi Carlotta Nobile e una borsa di studio, una pagina Facebook promossa dalla pastorale universitaria di Benevento, il “Carlotta Music Group”, un gruppo musicale e di evangelizzazione in Sud Sudan. A lei sono intitolati l’Asilo comunale e un’aula del Conservatorio Nicola Sala a Benevento, l’Aula tre del Dipartimento di storia dell’arte e dello spettacolo dell’Università La Sapienza e la Sala della musica del reparto di oncologia dell’Ospedale di Bolzano. La sua figura è ricordata inoltre nella mostra “Santi della porta accanto. Giovani testimoni della fede”, che da domani sarà visitabile al Museo diocesano di Torino.

Gianluca Firetti

Una fede che si rafforza nella grande sofferenza raccontata in un libro che semina speranza

Gianluca Firetti ha solo 18 anni quando gli viene diagnosticato il tumore alle ossa che , dopo poco più di due anni lo condurrà alla morte, il 30 gennaio 2015. Sono due anni di sofferenza e di lotta, ma grazie al suo coraggio e a una fede che si rafforza nella sofferenza, diventa testimonianza: per questo nel 2018 il Papa ha indicato tra le figure guida per i giovani di tutto il mondo in occasione del Sinodo dei vescovi.
Tra i tanti amici che in quei mesi varcano la soglia della sua casa a Sospiro e quella della stanza dell’hospice, c’è anche don Marco D’Agostino. Tra Gian e il sacerdote cremonese si crea un rapporto di amicizia profonda che trova espressione nel libro che decidono di scrivere insieme: Spaccato in due. Non è un testamento, non la cronaca di una malattia, ma la scia di speranza lasciata da Gianluca per tanti amici: quelli che lo hanno conosciuto e quelli che ne hanno incontrato la storia grazie al libro (a cui ne è seguito un secondo: Gianluca Firetti, il santo della porta accanto, sempre scritto da don D’Agostino) e allo spettacolo teatrale di Federico Benna, autore e interprete cremonese, che porta in scena nei teatri e negli oratori di tutta Italia la storia di Gian. Grazie a lui tanti suoi coetanei guardano negli occhi le prove più dure, persino la morte inspiegabile, ma con uno sguardo capace di vedere la speranza anche dove non sembra esserci altro che dolore. Lo sguardo di Gian.

Don Salvatore Mellone

Prete per 74 giorni con una malattia terminale. «Oggi continua a parlare al cuore di molti»

Prete per 74 giorni, scomparso a soli 38 anni il 29 giugno 2015. Da Barletta la storia di don Salvatore Mellone, testimone di una scelta vocazionale radicale nonostante la malattia terminale, ha fatto il giro del mondo. «Tanto che – dice don Filippo Salvo, membro del comitato nato per far conoscere la sua figura – siamo in attesa, per il 2020, dell’avvio di un’associazione a lui intitolata che si occupi di accogliere in città i familiari di chi deve seguire cure chemioterapiche. Molti, inoltre, sono stati gli incontri a lui dedicati nella parrocchia natale di Santa Maria degli Angeli e quella del Santissimo Crocifisso (suo “campo pastorale”), così come, nel 2019, nel Monastero delle Clarisse di San Ruggiero e nella Sala della Comunità Sant’Antonio». «Negli ultimi 25 anni – nota don Rino Caporusso, che nel 2015 era parroco del Santissimo Crocifisso – Barletta ha avuto figure giovanili pregnanti: Ruggiero Peschechera, Giuseppe Ricatti, Antonio D’Argenio e don Mellone, la cui storia ha suscitato nei giovani empatia profonda e numerosi interrogativi».

Angelica Tiraboschi

Un’esistenza a colori oltre il buio del dolore «In cammino verso il luogo dove nulla finisce»

Vivere è arrivare dove tutto inizia, amare è andare dove nulla finisce»: in questa “pennellata” di gioia e di luce è racchiuso il senso della storia di Angelica Tiraboschi, morta il 29 agosto 2015 a nemmeno 20 anni a causa di un tumore al seno. Il suo percorso di fede, compiuto all’interno dell’esperienza di Rinnovamento nello Spirito Santo. Dopo la diagnosi della malattia, i cui primi sintomi si sono manifestati nel giugno 2014, Angelica ha trasformato la propria esistenza in un grande omaggio ai “colori della vita”. E proprio «Vivere a colori» è il titolo del libro a lei dedicato (Edizioni Paoline, 2017, 240 pagine, 15 euro), il cui autore, Cristian Bonaldi, è intervenuto assieme al padre di Angelica, Marcello, lunedì sera a Molteno (Lecco) in occasione dell’inaugurazione della mostra «Santi della porta accanto» nel salone dell’oratorio San Giovanni Bosco.

Nata a Treviglio ma residente a Pontirolo Nuovo Nuovo (Bergamo), Angelica aveva iniziato da piccola a frequentare il gruppo Shalom del Rinnovamento nello Spirito Santo a Zorzone di Oltre il Colle. In una lettera indirizzata al padre e scritta il 25 marzo 2015, il giorno del suo compleanno, scriveva: «Penso che ogni uomo, almeno una volta nella vita, si trova ad affrontare questo incontro con la morte, sia essa reale o figurata, e ognuno è libero di decidere se scappare o affidarsi a Colui che tutto può e dà forza!».

Matteo Liut

30 ottobre 2019

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