Perchè si VENDONO o si SVENDONO le Strutture Sanitarie Cattoliche?

By 17 Gennaio 2025Notizie Chiesa

Questa riflessione la feci nei mesi scorsi quando per oltre trenta giorni fui ricoverato presso “l’Ospedale Multimedica San Giuseppe” nel centro di Milano a seguito di un intervento all’anca e al femore. Mi trovavo per la riabilitazione in un Ente che l’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio aveva venduto ad una Società. Non essendo questo ospedale l’unica struttura sanitaria cattolica ad essere “venduta” o “svenduta” a società profit, infatti dall’inizio degli anni 90’ del secolo scorso “l’emorragia” è in corso, mi sono chiesto le motivazioni.

Le strutture sanitarie

LE STRUTTURE SANITARIE PUBBLICHE
Amministrate dallo Stato, gestiscono il 77% dei posti letto ed offrono notevoli vantaggi alla collettività essendo disponibili per tutti, indipendentemente dall’età, dallo status socio-economico e dalla patologia. Sono però spesso esposte a cattiva gestione, ad abusi e sprechi difficilmente controllabili.

LE STRUTTURE SANITARIE PRIVATE “PROFIT”
Amministrate da società private, hanno lo status di “soggetto idoneo ad erogare prestazioni per conto del Servizio Sanitario Nazionale”.
Il privato, intraprendendo un’attività investe dei capitali, assume il rischio d’impresa, ne dirige la produzione favorendo gli interventi che offrono il massimo profitto in base alle leggi di mercato. Queste regole sono irrinunciabili anche per le strutture sanitarie profit, organizzate in forti “cordate” economico-politiche, con continui aumenti delle quote di mercato che favoriscono il peso contrattuale.
E qui si pongono dei problemi. La maggioranza delle istituzioni private non profit sono in difficoltà economica per questo si “vendono” o si “svendono”; la domanda che sgorga spontanea, osservando quelle profit, riguarda l’andamento di bilancio; sia per l’utile, che per l’eticità del suo utilizzo a fini individualistici pur essendo frutto del finanziamento pubblico. Inoltre, la ricerca esasperata del rendimento, danneggia il malato e l’intero sistema essendo arduo far coincidere il successo economico con il bene della persona; nei riguardi della sofferenza, inoltre, non è possibile trascurare “la flessibilità”.

LE STRUTTURE SANITARIE PRIVATE “NO PROFIT”
Prevalentemente d’ ispirazione cattolica, hanno la mission di intersecare la qualità e la centralità del malato. Sono Istituti di ricerca e cura a carattere scientifico, Ospedali classificati, Presidi psichiatrici, Case di cura, Centri di riabilitazione, Residenze sanitarie ed assistenziali. In queste Istituzioni, inoltre, è assente la logica mercenaria non distribuendo gli (eventuali) utili ma reinvestendoli nell’attività o in progetti sociali.
Da non scordare, infine, che motivazioni evangeliche, teologiche e sociali sollecitano, anche oggi, la presenza della Chiesa nel mondo della salute, reclamando il diritto di gestire proprie istituzioni, considerando l’impegno nella sanità parte integrante della missione evangelica.

Le criticità

L’attuale crisi è dovuta in parte al ritardo delle strutture sanitarie cattoliche nel recepire a attuare le epocali trasformazioni della Sanità a partire dagli ultimi anni del XX secolo e, dall’altra, al rapido processo di concentrazione economica delle strutture sanitarie “for profit”, cui non ha corrisposto alcunché di analogo da parte cattolica.
Non possiamo scordare, inoltre, che “in tante regioni i fondi dovuti tardano ad essere destinati, a volte addirittura di anni, a fronte di prestazioni concordate e già erogate; i rinnovi dei contratti di lavoro per gli operatori sanitari, medici e non, non vengono coperti nonostante impegni assunti e stabiliti dalle leggi; accedere ai fondi stanziati per manutenzione e ristrutturazione delle istituzioni è praticamente impossibile; nessuno ripiana i disavanzi di bilancio, come avviene nel pubblico” (Angelo Bonora, presidente dell’Associazione Religiosa degli Istituti Socio-Sanitari -Aris-, ai vescovi italiani, ad Assisi 15 novembre 2005, nel corso della 55° Assemblea Generale della C.E.I.). Anche dopo vent’anni la situazione non è migliorata.
Altri elementi sono la drastica diminuzione delle vocazioni negli Ordini Religiosi femminili e maschili, ma pure questo è un altro fattore importante: essersi fidati quasi ciecamente di manager per portare le strutture ad una autonomia manageriale, ma purtroppo molti hanno “tradito”. Sono, invece, stati emarginati e non valorizzati “collaboratori” da lungo tempo che hanno dimostrato fedeltà ai carismi, oltre che possedere un ampio bagaglio culturale in più settori. Avrebbero potuto, magari dopo una più approfondita formazione, essere risorse chiavi ed “affidabili”.

Quale sarà il futuro?

Il futuro che subiranno queste istituzioni è tragico poiché i figli di questo mondo, come ricorda il Vangelo, sono più scaltri dei figli della luce (cfr. Lc. 16,8). Loro ben sanno che é unicamente questione di tempo prima che si svenda tutto.
Ma, nell’anno del Giubileo sulla speranza e per essere fedeli al Signore Gesù che affidò questo mandato: “Guarite gli ammalati, risuscitate i morti, scacciate i demoni; come avete ricevuto gratuitamente, gratuitamente date” (Mt. 10,8) oltre che ai santi fondatori e ai tantissimi religiosi/e laici che nei secoli hanno amato e servito totalmente queste strutture, un ultimo sforzo va tentato.
1.Identificare le strutture e soprattutto gli ambiti di intervento ancora sostenibili, progettando a lungo termine, oltre che verificare la professionalità e l’immedesimazione nei carismi dei singoli ricordando il detto evangelico: “Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto”, poiché la fedeltà nelle piccole cose il segreto di chi fa grandi cose.
2.La collaborazione tra i vari soggetti (Ordini Religiosi o Diocesi) rinunciando a individualismi e a privilegi momentanei per costituire un soggetto coeso e autorevole e forte nei confronti delle Istituzioni. Ebbene, la sfida attuale richiede un’ unione non unicamente valoriale ma anche programmatica, organizzativa e gestionale, pur nel rispetto dell’autonomia dei singoli Istituti.
Un esempio virtuoso fu quello della Casa di cura “Poliambulanza” di Brescia. Gestita dalla Congregazione “Ancelle della Carità”, si trovò in gravi difficoltà economiche al punto che le religiose erano orientate a cederla a privati “for profit”. Chiesto consiglio al Vescovo della Diocesi, si è giunti a costituire una Fondazione formata da quattro soggetti: la Diocesi, la Congregazione Poveri Servi della Divina Provvidenza-Istituto don Calabria, l’Università Cattolica del Sacro Cuore e la stessa Congregazione delle suore Ancelle (Cfr.: A. SIGNORINI, Ospedale privato e non profit. Antagonista o alleato strategico dell’assistenza pubblica?, Vita e Pensiero, Milano 2007, pp. 201-214).
3.Coinvolgere i Vescovi diocesani che spesso non sanno come comportarsi. Un giorno monsignor Giuseppe Merisi, già vescovo di Lodi e responsabile CEI per la sanità e la carità, chiese in un incontro del “Tavolo Nazionale delle Istituzioni Sanitarie” ai religiosi/e: “Diteci cosa possiamo fare”. Domanda ripetuta in altre occasioni, ma senza nessuna risposta.

Un cammino complesso perché impone “cambi di mentalità”, il saper mettersi in discussione e la capacità di riconoscere i propri errori.  Da incominciare oggi poiché domani sarà troppo tardi!