Ospedale TEMPIO della vita e della sofferenza

By 24 Gennaio 2025Attualità

Tutti i giorni sentiamo che la sanità è in crisi. Ma purtroppo vengono evidenziate unicamente le criticità operative dimenticando quelle valoriali, motivazionali ed etiche. Lunghe liste di attesa delle prestazioni, rapporto tra pubblico e privato, carenza dei medici di base… Con questo contributo, invece, voglio mettere in risalto le “basi” della sanità prendendo come riferimento “l’ospedale” che ho definito “tempio della vita e dell’umanità sofferente”.

Perché l’ospedale è un “tempio”?

Tutte le religioni, fin dall’antichità, usufruivano di un luogo sacro, denominato tempio, utilizzato per il culto alla divinità. Il popolo d’ Israele riteneva importante questo luogo ricordato nell’Antico Testamento come ambiente rituale e sacrale e, nei Vangeli, é menzionato più volte da Gesù. Ebbene, se il tempio, è il luogo consacrato dove si celebra il sacro si può affermare, ricordando la sacralità della vita e del corpo, che anche l’ospedale è un tempio cioè luogo consacrato e sacro, perché parlare di dolore, di vita e di morte, ci fa entrare nel sacro, nel misterioso e nel definitivo, nel profondo della nostra realtà.
Il concetto è ben spiegato dal compianto Fra Pascual Piles, superiore generale per dodici anni dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio (Fatebenefratelli). Fra Piles, evidenziò, tra l’altro, uno stretto collegamento con la celebrazione dei sacramenti, in modo particolare quello dell’Eucarestia, nel tempio-Chiesa e nel tempio-Ospedale: “Quando celebriamo l’Eucarestia rendiamo presente questo mistero (il Mistero Pasquale di Gesù Cristo), in quel che ha di sacrificio, di morte, ma, allo stesso tempo, con la sua apertura alla Resurrezione. (…) Perciò possiamo definire ogni processo di malattia come una liturgia, in cui si celebrano, non come sacramento, bensì esistenzialmente, la sofferenza, la morte e la Risurrezione. In ogni intervento chirurgico, ad esempio c’è una sofferenza fisica e morale. Ad esempio, chiunque passa per la sala chirurgica cade in un sonno paragonabile al sonno della morte, benchè sia presumibile un risveglio. Nel momento in cui ci si risveglia, si sperimenta la sensazione della sofferenza, parte negativa del Mistero Pasquale, poi però giunge la risurrezione con il recupero progressivo, con l’uscita dall’ospedale, che ci porta a vivere nuovamente e con animo rinnovato il senso della vita. Processi meno vistosi, ma simili, possono avvenire in diverse malattie mediche” (L’ospedale: tempio dell’umanità sofferente, “Dolentium hominum” 31 -1996, pp.104-106).

Le azioni dell’ospedale come “tempio”

Assistenza integrale dell’ammalato

Con l’attenzione a tutte le dimensioni della persona: fisica, psicologica, sociale, spirituale e trascendente poichè creata ad immagine di Dio, redenta da Cristo e chiamata all’eternità.
Ogni sofferenza produce vari tipi di squilibri, definibili come “disorientamento della propria identità”, diversi in ragione della gravità, della tipologia di malattia, della personalità e dell’età. Dunque, va posta contemporaneamente l’attenzione allo squilibrio fisico, psicologico, spirituale, sociale e familiare. Concretizziamo il discorso portando un esempio. “Una frattura ben ricomposta da un ortopedico restituisce la salute fisica al malato. Si dice, in termini tecnici, che vi è stata una ‘restitutio ad integrum’, una guarigione dello stato morboso fisico. Se lo stesso malato è una persona sofferente dal punto di vista psicologico perché afflitto da solitudine, la ‘restitutio ad integrum’ ne guarisce l’osso ma non ne lenisce l’intima e nascosta sofferenza. Se l’ortopedico di turno si degna di chinarsi anche su questo aspetto della salute, il benessere psicologico oltre che biologico offre, utilizzando la propria umana sensibilità, una risposta affettiva e terapeutica di grande utilità; una risposta che può confluire in una azione sociale, quale ad esempio quella di suggerire al soggetto isolato alcuni rimedi pratici per vincere l’abbandono e le conseguenze negative di una vita separata dal mondo. Se, infine, lo stesso ortopedico, intuita la profonda religiosità della persona, ne rispetta valore, direzione e comportamento fatto di ritmi di preghiera o di desiderio di partecipazione alla liturgia celebrata nel luogo di ricovero, ecco che ci troviamo di fronte ad un medico umanizzato e umanizzante” (P. L. MARCHESI, Umanizzazione sanitaria, in AA VV – Ed., Dizionario di teologia pastorale sanitaria, pg. 1327).
Assistenza integrale ed integrata significa dunque, non solo guarire la malattia ma curare il malato, cosa ben diversa, più ampia e certamente maggiormente impegnativa.

Umanizzazione

Il secondo obiettivo, strettamente collegato con l’assistenza integrale, è l’umanizzazione cioè la salvaguardia dell’umanità delle cure e delle prestazioni, umanizzando la tecnica e garantendo un clima nel quale gli ammalati percepiscono di essere accettati e tutelati nei loro diritti.
La dicitura “umanità delle cure e delle prestazioni…e umanizzazione della tecnica”, chiede il recupero delle basi naturali inerenti i rapporti umani e le relazioni interpersonali, che dovrebbero essere spontanee nelle istituzioni collettive e sociali di assistenza. Una cura, una prestazione e, più in generale, un ospedale carente di questa caratteristica, oltre che tradire le finalità per cui è sorto ed oggi esiste, non è più coerente neppure con la propria “mission”.

Rapporto operatore sanitario-paziente

E’ spesso insufficiente sia a livello qualitativo e quantitativo. Eppure, l’autentica cura, non è altro che forme di attenzione, di riguardi, di rapporti calati con l’avanzare del progresso tecnico-scientifico. Mancando “il rapporto” è impossibile decodificare le attese del paziente ed avere un’unica identità di obiettivi. Infatti, il più delle volte, l’attenzione del malato è concentrata sulla sua persona mentre, quella dell’operatore sanitario, è sull’organo ammalato o sulla situazione tecnica.
Soprattutto nella cultura sanitaria anglosassone l’attenzione al paziente si identifica in due aspetti: curing e caring (curare, prendersi cura di, preoccuparsi per…). Unicamente così, l’operatore sanitario, entra nella sofferenza del malato, la penetra, e lo supporta nel ricostruire i propri progetti ripartendo dai valori. Di conseguenza, si comprende che prendersi cura di qualcuno “è un’arte morale…fondamentale per qualsiasi pratica medica” (E. LOEWY, Suffering and the beneficent community, Suny at Buffalo Press, Buffalo 1991, pg.57). E, il “prendersi cura”, è un’ “alleanza terapeutica”; poiché “la richiesta di un intervento tecnico è sempre anche desiderio di rassicurazione circa la consistenza di buone ragioni per vivere e guarire e la consultazione di un tecnico competente è sempre anche appello ad un riconoscimento, appello ad un altro che, avendo a cuore ciò che accade al malato, prometta di accompagnarlo, di allontanare per quanto possibile la minaccia, di dare conforto e che nel far ciò testimoni una dedizione che neppure l’ imminenza della morte potrebbe compromettere” (P. CATTORINI, Alleanza terapeutica, Pontecorboli Editore, pg. 33)
Possiamo concludere che per ogni operatore sanitario è indispensabile apprendere l’arte e la tecnica della comunicazione col malato.

Che fare? Formazione

La formazione dei operatori sanitari è indispensabile! Una formazione che segua due filoni: uno tecnico-scientifico e uno etico-religioso con la finalità di creare una cultura sanitaria ispirata ad autentici valori umani e anche cristiani.
Dunque, la riscoperta di una cultura che permetta all’ospedale di ritrovare le sue origini e i suoi valori, oltre che rispondere adeguatamente alle esigenze dei vari consumatori/fruitori di beni/servizi, ha come base un adeguato e serio “programma formativo” che non scordi l’etica, la bioetica, la teologia, l’antropologia, la psicologia e la sociologia…; più in generale cosidette “scienze umane.
Di fronte ad un contesto societario pluralistico, all’acquisizione di nuove biotecnologie, ad un’attività sanitaria spesso attuata con modalità tecnicistiche e impersonali, alla tensione psicologica ed emotiva dell’operatore sanitario e, di conseguenza, al rischio del burnout, ad una rivendicazione del paziente di una autonomia decisionale…, non è tollerabile tralasciare aggiornamenti continui che prevedano la trattazione di queste discipline.

Don Gian Maria Comolli