LA DIMENSIONE ETICA DELLA COMUNICAZIONE (Seconda parte)

By 7 Febbraio 2025Pillole di saggezza

Stiamo trattando nel mese di febbraio l’argomento di etica nella comunicazione. La scorsa settimana ci siamo soffermati sul termine etica e sull’etica in internet offendo alcune indicazioni a chi utilizza il web, oggi entriamo in due temi specifici: l’etica del giornalismo e l’etica della pubblicità.

Etica del giornalismo

“Non c’è pensiero che è immune dalla sua comunicazione e basta formularlo nella falsa sede e in senso equivocabile per minare la sua verità” (T. Adorno, Minima moralia, Einaudi, pg. 71). Questa espressione di T. Adorno, filosofo e sociologo tedesco, indica che l’etica è basilare anche nella comunicazione giornalistica. Quando leggiamo i giornali, seguiamo la televisione, ascoltiamo la radio o ci colleghiamo in “Rete” con siti o blog prevalentemente di informazione ricerchiamo notizie oggettive, attendibili e veritiere ben consapevoli che l’informazione, in particolare quella giornalistica, è frequentemente soggetta a considerevoli compromessi.
Gli “operatori della notizia” sono i mediatori tra l’utente o il navigatore e il messaggio (la notizia), per questo la professione giornalistica deve essere regolata da un abbondante responsabilità etica e morale. L’informazione, sempre, qualunque argomento tratti, dovrebbe essere caratterizzata dall’obiettività, dalla trasparenza e dalla schiettezza, priva di condizionamenti e di opinioni personali.

Alcuni Documenti evidenziano l’obbligo di queste caratteristiche; esaminiamo i più rilevanti.

Costituzione Italiana, articolo 21: libertà di pensiero.
L’articolo prevede però anche la possibilità di sequestro a seguito di un atto motivato dall’autorità giudiziaria (cfr. Codice Penale, art. 111).
Legge 69/1963 che Istituisce l’Ordine dei Giornalisti.
All’ articolo 2 sono enunciati i principi fondanti la professione.
Carta informazione e pubblicità del 14 aprile 1988.
Stabilisce che il lettore ha diritto ad una corretta informazione come pure che chi riceve una informazione ha l’obbligo di sapere chi l’ha fornita ma non solo. Si legge: “Da parte sua il giornalista deve verificare in maniera preventiva l’attendibilità e la correttezza di quanto viene diffuso e l’adeguata correzione d’informazioni quando dopo la diffusione di una notizia si rivela non esatta, specialmente quando questa può risultare ingiustamente lesiva o dannosa per singole persone, enti o categorie” (vedi testo).
Carta dei doveri del giornalista del 8 luglio 1993.
Ribadisce che “il rapporto di fiducia fra gli organi d’informazione e i cittadini è la base del lavoro del giornalista”. Di conseguenza sono ribaditi: i doveri di rettifica, il diritto di replica, il rispetto del diritto alla presunzione di innocenza, la tutela dei soggetti deboli, minori e malati, la verifica delle fonti e la distinzione del messaggio pubblicitario dalla notizia (vedi testo).
Situazioni particolari.
*Tutela dei minori nell’integrità psico-fisica.
+“Carta di Treviso per una cultura dell’infanzia” del 5 ottobre 1990 e aggiornata con delibera del CNOG il 30 marzo .2006.
+“Vademecum della Carta di Treviso” del 25 novembre 1995. Approfondisce i principi della Carta precedente.
+“Legge 249/1997”. Istituisce “l’Authority per le Garanzie nelle Comunicazioni” che mediante la “Commissione per i servizi e i prodotti” vigili sul rispetto della salvaguardia dei minori nel settore radio-televisivo.
*Sondaggi.
+“Carta Informazioni e sondaggi” del 7 aprile 1995. Evidenzia l’importanza della trasparenza nell’impostazione dei sondaggi e nella comunicazione dei risultati oltre la scientificità e l’attendibilità del campionario statistico.

La Privacy

Nel 1995 l’Unione Europea approvò la Direttiva 95/46/EC sulla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento e alla libera circolazione dei dati personali che si basava sul “principio della riservatezza”. L’Italia recepì la Direttiva nel 1996 con la Legge 675 dal titolo: “Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali” (Gazzetta Ufficiale n. 296 del 31 dicembre 1996) alla quale sono seguiti altri testi normativi fino a giungere, anche a seguito di una nuova Direttiva Europea, alla legge n. 58 del 2002, che imponeva a seguito degli atti terroristici il potenziamento della privacy nelle comunicazioni elettroniche. Ci fu pure la pubblicazione di un Codice con il Decreto Legislativo 196 del 30 giugno 2003 dal titolo: “Codice in materia di protezione dei dati personali”(Gazzetta Ufficiale n. 174 del 29 luglio 2003 – Supplemento Ordinario n. 123), offrendo ampio spazio alla privacy “in Rete”.
Per quanto riguarda l’informazione fu adottato un Codice in materia di protezione dei dati dal titolo: “Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica ai sensi dell’art. 25 della legge 31 dicembre 1996, n. Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica ai sensi dell’art. 25 della legge 31 dicembre 1996, n. 675”, redatto il 29 giugno 1998.
Era composto da 13 articoli e furono stabilite ferree regole riguardanti la tutela dei “dati sensibili”. Per ciò che attiene all’aspetto sanzionatorio si fa riferimento ad alcuni articoli del Codice Penale. Fondamento è l’articolo 2229 del Codice Civile che demanda agli Ordini professionali e al Codice Penale il potere disciplinare e sanzionatorio. Riportiamo alcuni riferimenti al Codice Penale: Diffamazione a mezzo stampa: artt. 595, 596, 596 bis, 597, 599. Segreto professionale: art. 200, 204, 622. Infine: pubblicazione di intercettazioni telefoniche illegali: D. L. 259/2006. Infine, è importante conoscere la distinzione tra “dati personali” e “dati sensibili”. “I ‘dati personali’ riguardano qualunque informazione identificante o identificabile, anche indirettamente, una persona fisica o giuridica, ente o associazione” (art 4, punto b, Decreto legislativo 196/2003). “I ‘dati sensibili’ sono quelli riguardanti: l’origine razziale ed etnica; le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere; le opinioni politiche; l’adesione a partiti, sindacati, associazioni o organizzazioni e i dati che rivelano lo stato di salute e la vita sessuale” (art. 4, punto d Decreto legislativo 196/2003).
Nel corso degli anni si tentarono delle revisioni anche in base al potenziamento dell’aspetto tecnologico ma con poco successo.

Tre osservazioni finali.

1.Sovrabbondanza di informazioni e verifica dell’autenticità.
Come deve operare il giornalista trovandosi di fronte a molteplici notizie che non può pubblicare per il numero elevato delle stesse e inoltre, spesso, fatica a verificarne l’autenticità dei fatti? La risposta è difficoltosa poichè il giornalista deve sempre dibattersi tra il diritto del pubblico alla conoscenza dei fatti e, a volte, anche tra “pressioni” implicite o esplicite.
2.La comunicazione per immagine.
Un altro aspetto etico riguarda la comunicazione per immagine, definita da G. Gatti “forma di linguaggio totale” (Etica della comunicazione, LAS, pg. 139. Per questo, la responsabilità dei giornalisti è superiore e il rispetto dei diritti e la promozione dei destinatari, soprattutto minori, deve essere particolarmente tutelata e protetta.
3.I New Media.
L’aspetto etico non può essere assente neppure nei new media. Internet, in particolare, per l’interattività e l’immediatezza della comunicazione è uno strumento meno verificabile riguardo la veridicità delle notizie rispetto altri mezzi di comunicazione. Perciò, in internet, l’attuazione della normativa e dei principi etici e deontologici deve essere supportata anche dalla obiettività e dalla responsabilità del navigatore.

Etica nella pubblicità

Per trattare questo argomento farò riferimento a un documento riguardante la pubblicità nelle comunicazioni sociali pubblicato il 22 febbraio 1997 dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali: “Etica nella pubblicità”, che afferma all’inizio: “quello pubblicitario, è un settore meritevole di minuziosi controlli, poiché induce direttamente o indirettamente il consumatore all’acquisto di un particolare prodotto con un impatto indiretto ma potente sulla società attraverso l’influenza che esercita sui media” (1). Di conseguenza, alla base della programmazione e dell’ allestimento della pubblicità non va tralasciato l’ un aspetto valoriale ed etico.
Il Documento, strutturato da una introduzione, tre parti e una conclusione, si presenta come una guida operativa per chi opera nel settore pubblicitario del mercato riferendosi ad una nozione “ampia” di pubblicità scaturita prevalentemente nei Paesi anglosassoni che interpretano più tipologie di pubblicità: “la pubblicità commerciale per prodotti e servizi; -la pubblicità di pubblica utilità a favore di varie istituzioni, programmi e cause; la pubblicità politica nell’interesse di partiti e candidati” (2).
E’ presente anche la “pubblicità religiosa” così giustificata: “Per la Chiesa, la partecipazione ad attività mediatiche, compresa la pubblicità, è oggi elemento necessario di una strategia pastorale d’insieme” (8) e riguarda sia “i suoi propri media” che quelli “profani” (cfr.: 8).

Introduzione (1-3)
La pubblicità, secondo il Documento, ”ha due scopi fondamentali: informare e persuadere; e, sebbene questi scopi siano distinguibili, molto spesso sono entrambi simultaneamente presenti “ (2).
Il vocabolo “pubblicitari”, più volte menzionato, si riferisce ad alcune categorie: chi “seleziona tra i valori e gli atteggiamenti quelli che vanno promossi e incoraggiati” (3); chi suggestiona il contenuto dei media (cfr.:3 e 7); chi determina “bisogni per prodotti e servizi” (n. 9).
Si analizzano di seguito gli “effetti positivi” dalla pubblicità da ampliare e quelli “negativi” da rimuovere.

I benefici della pubblicità (4-8)
Nella prima parte, il Documento, analizza alcune aree societarie indicando i fattori costruttivi.
-A livello “culturale/esistenziale” la pubblicità può esplicitare “un’azione edificante ed ispiratrice che stimoli le persone ad agire in modo da giovare a loro stesse e agli altri” e “rallegrare l’esistenza con il suo humor, con il buon gusto e il tipo di svago che la caratterizza” (7).
-A livello “economico” dovrebbe potenziare gli sforzi per sostenere una concorrenza onesta ed eticamente responsabile, accrescendo la funzione informativa e supportando l’utente “a prendere decisioni come si conviene a consumatori informati e avveduti”, stimolando “il progresso economico attraverso lo sviluppo degli affari e del commercio” (5). In questa logica, l’economia, collaborerebbe al “processo che permette a un sistema economico, ispirato da norme morali e rispondente al bene comune, di contribuire allo sviluppo umano” (5).
-A livello “politico”, dalla pubblicità si esige il cooperare al potenziamento della democrazia, “informando le persone riguardo alle idee e alle proposte politiche dei partiti e dei candidati, compresi i nuovi” (6),
Infine, abbiamo il paragrafo numero 8 che è riservato alla “morale” e alla “religione”, affermando come già ribadito in precedenza, che la pubblicità può svolgere ruoli vantaggiosi alla Chiesa, alla diffusione del messaggio evangelico oltre che alle istituzioni sociali e benefiche.

I danni prodotti dalla pubblicità (9-13)
Nella seconda parte, il Documento, riferendosi ai settori descritti nella prima, mette in evidenzia degli elementi negativi della pubblicità consapevole che questa è “uno strumento” perciò: “se ne può fare un retto uso o un cattivo uso” (9) e “può avere anche, e spesso ha, un impatto negativo, dannoso sugli individui e la società” (9).
A livello etico due elementi sono particolarmente degni d’ attenzione: i “contenuti trasmessi” (cfr. 10) e le “modalità dell’atto di comunicazione” (n. 11).
Sono analizzati, inoltre, alcuni settori già considerati nella prima parte ma ora maggiormente sviluppati.
-“Economia”: non vanno esercitare indebite pressioni per favorire il “fenomeno del consumismo” che ha come conseguenza il “consumare l’esistenza in un godimento fine a se stesso” (10).
-“Politica”: è ingiustificato “distorcere le idee e i precedenti degli avversari e screditare la loro reputazione” (11) a danno della giustizia e del bene comune.
-“Cultura”: chi comunica può essere sedotto, magari da pressioni occulte, a trascurare pregi artistici e morali cadendo nella superficialità, nella volgarità e nello squallore morale” (12). Il trattamento spesso riservato alla figura femminile è un chiaro esempio.
Da ultimo si evidenzia il contributo offerto dalla “morale” e dalla “religione” che sarà poi approfondito anche nella parte successiva. “Spesso ci si appella deliberatamente a motivi quali l’invidia, l’arrivismo e la concupiscenza” (13), come pure a trattazioni strumentali o irriverenti delle immagini e delle tematiche religiose. Insieme ai molti professionisti che “hanno coscienze sensibili, alti principi etici e un forte senso di responsabilità” (18), sono presenti alcuni che “cercano consapevolmente di scioccare ed eccitare sfruttando contenuti di natura morbosa, perversa e pornografica” (13).

Alcuni principi etici e morali (14-17)
La finalità della pubblicità è l’ ”autentica realizzazione della persona umana” (14) efficacemente puntualizzata dal Documento in questa parte: “gli strumenti di comunicazione sociale hanno due alternative e due soltanto. O aiutano l’uomo a crescere nella comprensione e nella pratica della verità e del bene, o si trasformano in forze distruttive che si oppongono al benessere umano. Ciò è particolarmente vero per ciò che concerne la pubblicità” (14)
Due sono le tipologie di pubblicità: quella “indiretta” e quella “genericamente intesa”.
Quella “indiretta”, “cerca di indurre la gente ad agire in un certo modo, ad acquistare, per esempio, certi prodotti, senza che essa sia pienamente consapevole di essere influenzata” (14) pertanto, la persona, è totalmente disponibile ad accogliere ogni tipologia di messaggio. Ecco, allora, la proposta di alcuni “principi etici-morali” riguardanti la veridicità dei messaggi (cfr.: 15), il rispetto della dignità della persona umana (cfr.: 16) e la responsabilità sociale (cfr.: 17).

Conclusione: alcune misure da adottare (18-23)
Il documento, dopo aver nuovamente evidenziato che la comunicazione pubblicitaria non si realizzi tra due soggetti egualmente attivi, ma il ricevente è spesso caratterizzato da “una certa passività” (22), si conclude con una duplice esortazione. “Noi crediamo che la pubblicità possa giocare, e spesso giochi, un ruolo positivo nello sviluppo economico, nello scambio di informazioni e di idee e nella promozione della solidarietà tra individui e gruppi sociali. Tuttavia può anche arrecare, e spesso avviene, profondi danni alle persone e al bene comune” (23). Questo esige che “le persone che vogliono fare ciò che è moralmente giusto devono essere sempre pronte a sopportare delle perdite e danni personali, piuttosto che fare ciò che è sbagliato” (23).

A presto
Don Gian Maria Comolli

PRIMA PARTE – Etica e la dimensione etica della comunicazione