Celebrare il 1 dicembre la Giornata Mondiale dedicata all’AIDS mi offre l’occasione per proporre alcune riflessioni su questa patologia che riguarda l’uomo nella sua unitotalità.
1.Storia della malattia
L’AIDS (Acquired Immune Deficiency Syndrome o Sindrome da Immunodeficienza Acquisita) è una malattia infettiva del sistema immunitario provocata dal virus denominato HIV (Human Immunodeficiency Virus). Provoca un’immunodeficienza che distrugge progressivamente gli anticorpi che l’uomo possiede e lo difende da “agenti estranei” pericolosi, rendendo le persone colpite più vulnerabili alle infezioni. Il virus HIV causa un ampio spettro di manifestazioni che vanno dalle infezioni acute alle gravi patologie neoplastiche.
Questa patologia fu identificata dal “Center for Disease Control and Prevention” (CDC) il 5 giugno 1981 quando registrò, a Los Angeles, cinque uomini omosessuali affetti da polmonite da “pneumocystis carinii”. Il fatto stupì, poiché questa malattia colpisce solitamente persone affette da morbi del sistema immunologico. Il CDC responsabile della vigilanza epidemiologica degli USA affermò: “E’ una malattia indicatrice di una deficienza sottesa dell’immunità cellulare in persone che non mostrano deficienza cellulare”. Ma il virus fu isolato ufficialmente solo nel 1985 a seguito della morte dell’attore statunitense omosessuale Rock Hunson e si dilagò rapidamente in ogni angolo del pianeta, prevalentemente nei Paesi dell’Africa subsahariana. Questo virus letale, però, si era già diffuso “silenziosamente”, in tutto il mondo, fra il 1960 e il 1980.
Con oltre 25 milioni di morti (75% africani) l’Aids è una delle maggiori e più aggressive pandemie della storia. Attualmente l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ritiene, nonostante i recenti miglioramenti con l’accesso ai trattamenti antiretrovirali e le difficoltà nel reperire cifre attendibili, che oltre 36milioni di persone sono affette da AIDS di cui 50mila in Italia presenti prevalentemente in Lombardia, Lazio, Liguria ed Emilia Romagna. Nei primi mesi del 2014, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, lanciò un nuovo allarme poichè l’infezione in calo fra la popolazione generale, dilagava ampiamente fra gli omosessuali. G. Hirnschall, capo dipartimento HIV presso l’OMS, ha rilevato che oggi il rischio di contagio tra i gay è 19 volte più alto che nel resto della popolazione e i transessuali hanno 50 volte più probabilità di una persona eterosessuale di essere infettati.
Escluso il caso Italia e quello riguardante i Paesi occidentali, la maggioranza di questi malati sono poveri, poichè anche l’AIDS, come la maggioranza delle epidemie, caso emblematico è Ebola, nuoce vittime fra le categorie più fragili, emarginandoli e in alcuni casi privandoli di cure adeguate. Perciò, la comunità internazionale, deve adottare nei confronti di queste popolazioni strategie di solidarietà .
Così fu definita l’AIDS dalla “Commissione Nazionale per la lotta all’AIDS” del Ministero della Sanità nel 1987 (seduta 22 gennaio 1987): “L’AIDS (Sindrome da Immunodeficienza Acquisita) è una malattia infettiva trasmissibile ad elevata mortalità causata dal virus HIV (Human Immunodeficiency Virus) che preferibilmente colpisce le cellule del sistema immunitario, esponendo l’individuo a contrarre molteplici infezioni ed alcuni tipi di tumore. Lo stesso virus causa un’infezione che può essere responsabile di diversi quadri clinici (che possono precedere l’AIDS) o non dar luogo ad alcuna sintomatologia (portatore asintomatico). La sorgente dell’infezione è costituita non solo dai malati ma anche da portatori asintomatici”.
2.Vie di trasmissione
Quattro le vie di trasmissione.
1.Trasmissione per “via sessuale” mediante rapporti sessuali tra soggetti omosessuali o eterosessuali infetti. Di conseguenza, un alto numero di rapporti sessuali occasionali o un eccessivo numero di partner sessuali amplifica le percentuali di rischio. Il virus è trasmesso mediante lo sperma e gli altri liquidi biologici.
2. Trasmissione per “vie parenterali” mediante l’uso di siringhe o di aghi contaminati con sangue infetto. Per questo l’AIDS si sta diffondendo rapidamente tra chi è assuefatto alle droghe.
3. Trasmissione “durante la gravidanza”. Madri sieropositive infettano i figli in utero attraverso il cordone ombelicale, o nel parto essendo il corpo del bambino esposto al sangue della madre oppure con l’allattamento.
4. “Altre fonti di trasmissione”: trapianti d’organo e inseminazione artificiale da infetti.
Dunque, il virus, si diffonde con il contatto diretto con il liquido biologico infetto o con il contatto con il sangue di una persona portatrice della patologia. Non si sono registrati casi di trasmissione a seguito di “convivenze” (utilizzo dello stesso appartamento o di oggetti) oppure per vie “indirette” (saliva, lacrime, sudore, aria, acqua, animali…) o mediante baci.
Il trascorrere del tempo, e l’approfondimento scientifico della patologia, identificarono le modalità di trasmissione mostrando che l’epidemia possedeva configurazioni difformi rispetto alle precedenti; in particolare, l’intersecarsi dell’aspetto medico e culturale correlato alla trasformazione dei costumi sessuali e allo sfruttamento del sesso per finalità edonistiche. Era opportuno, quindi, coordinare l’aspetto sanitario con quello educativo, poiché il preservativo, proposto come soluzione privilegiata, non avrebbe arginato la strage. Perciò l’AIDS esige una riflessione etica e sociale particolare, essendo questo un problema non unicamente personale ma societario a causa dell’alto rischio di contagio conseguente a determinati comportamenti sessuali, come pure una questione di giustizia poichè “le vittime spesso non hanno voce essendo i tossicodipendenti di New York, di Madrid, di Milano o di San Juan; le minoranze afro-americane o ispaniche negli Stati Uniti, le masse impoverite dell’Africa nera o del sudest asiatico” (J.J. Ferrer, Siday bioetica: de la autonomia a la justicia, Madrid 1997).
Pur essendo l’AIDS causata da comportamenti trasgressivi e promiscui che l’emarginazione, la povertà e lo sfruttamento aumentano, non possiamo ridurre il discorso unicamente ad un piano etico-morale come affermò il cardinale K. Lehmann: “Non possiamo ridurre il nostro messaggio ad alcuni e pochi ristretti quesiti di teologia morale, come ad esempio la valutazione dell’ omosessualità, il controllo dei concepimenti e i rapporti sessuali tra i malati di AIDS. Tali problemi hanno la loro importanza nella giusta sede, ma in ultima analisi possono essere risolti in modo convincente soltanto prendendo in considerazione l’insieme del messaggio cristiano di salvezza. Se predichiamo veramente ‘la speranza contro ogni speranza’ (cfr. Rom. 4,18), i problemi etici di coloro che rispondono a tale invito si risolvono quasi da sé”(La pastorale della speranza “Dolentium hominum” 13. 1990).
E’ importante, ma non sufficiente, una risposta unicamente assistenziale; dobbiamo porre accanto a questa anche quella che A. Autiero definisce “carità di tipo intellettuale”(Quale sfida per l’etica? “Rivista di teologia morale” 80. 1988) sia nei confronti dei malati che dei sani, quindi a livello preventivo, con l’obiettivo di supportare la persona a superare la “precarietà culturale” in cui spesso vive.
Da questa breve introduzione comprendiamo che l’AIDS è una malattia che per la sua natura specifica solleva problematiche assai complesse intrecciandosi temi medico-scientifici, culturali ed etico-morali. Pertanto, è impossibile focalizzare l’attenzione sul morbo, trascurando la globalità dell’uomo.
3.Aspetti culturali
L’AIDS è una malattia “comportamentale” che si genera nelle dimensioni più intime della persona. Non a caso, la patologia, si comunica mediante lo sperma e il sangue, due liquidi organici ai quali tutte le tradizioni culturali attribuiscono un particolare significato e le pongono direttamente in connessione con la vita.
La generale attività d’informazione chiede di essere completata con un’opera di responsabilizzazione di natura culturale. Serve coinvolgere nel dibattito i legislatori e i politici, i massmedia e i leaders religiosi, gli scienziati e gli operatori sanitari affinché tutti assieme affermino con coraggio ciò che è ovvio. Che la sessualità dissociata dall’impegno coniugale e parentale, che il comportamento basato sulle aberrazioni e promiscuità sessuali e il vagabondaggio erotico contribuiscono in modo significativo e determinante a contrarre e a diffondere il virus. E’ necessario, inoltre, offrire valide alternative basate sui valori morali e spirituali collegati all’amore e alla sessualità umana. In altri termini, questa epidemia contratta attraverso i comportamenti sopra citati, quando non dipende da anomalie organiche, chiaramente deriva da scelte personali oggettivamente disordinate per cui assume una chiara dimensione morale. Tutte queste negatività hanno trovato terreno favorevole nel permissivismo degli ultimi decenni, nei comportamenti perversi e nel turismo sessuale che pochi deplorano. Da qui l’importanza, non solo di una corretta informazione sanitaria, ma anche di un’educazione ad un rigoroso rapporto con la propria ed altrui sessualità.
Tentando un approccio storico alla ricerca delle cause dobbiamo riferirci agli anni ‘60 e ‘70 del ventesimo secolo quando nei Paesi occidentali si avviò la cosiddetta “Rivoluzione sessuale” che scisse la procreazione dalla sessualità umana mostrandola una conquista di libertà. Fu abolito il significato originario e naturale della sessualità cui l’uomo da sempre si era riferito. E un simile modo di pensare cancellò anche la diversità fra atti naturali ed innaturali sulla base del convincimento che non esiste in questo, come in altri settori, una differenza fra ciò che è normale e dovuto e ciò che è anormale e illecito.
Non possiamo infine scordare l’intervento che l’autorità pubblica spesso pubblicizza in questo settore con campagne a favore del profilattico per un “sesso protetto e sicuro” senza prendere posizione nei confronti dei comportamenti che portano alla diffusione del contagio. E’ vero, che a volte, legge morale e legge civile non coincidono, ma la legge civile per far progredire il bene comune non può tralasciare l’aspetto valoriale e morale della vita di un popolo, e lo Stato è chiamato ad intervenire in alcune pratiche ed azioni che assumono un’incidenza pubblica. Rammenta un Documento della Congregazione per la Dottrina della Fede a riguardo “dell’aborto procurato” ma la stessa riflessione si addice anche al nostro argomento: “La legge umana può rinunciare a punire, ma non può dichiarare onesto quel che è contrario al diritto naturale, perché tale opposizione basta a far si che una legge non sia più una legge” (n. 21).
Concretamente, in questo aspetto, pur riguardando il modo personale di vivere la sessualità, lo Stato deve interrogarsi sul significato del corpo dell’uomo e della sua sessualità, sul valore dell’amore umano e sulle regole che devono guidarlo e custodirlo, sul rapporto intrinseco tra la sessualità umana e l’istituto matrimoniale non ponendo sullo stesso piano le coppie sposate e quelle non sposate e le relazioni momentanee, oppure le coppie etero-sessuali e quelle omosessuali.
Ovviamente è più semplice distribuire preservativi che intraprendere la difficile opera di educazione al valore del corpo e della sessualità! Siamo, come ricordava il cardinale D. Tettamanzi, “di fronte ad una malattia che coinvolge la nostra società e cultura, sicché la stessa morale non può restringersi ad una lettura interpretativa individualistica del fenomeno AIDS: urge una lettura interpretativa propriamente sociale e culturale. E’ questo un aspetto essenziale e decisivo” (Nuova bioetica cristiana, Casale Monferrato).
Culturalmente si dovrà anche operare affinché il malato di AIDS non subisca delle discriminazioni per paure inesistenti causate da quel fenomeno collettivo definito “Aids-fobia” generato prevalentemente dall’ignoranza e dalla paura.
Metaforicamente, l’AIDS che si manifesta come “una resa” del sistema immunitario, sembra svelare non unicamente i limiti e la radicale impotenza dell’uomo, ma “la resa” di vari ambienti alla liberalizzazione e al permissivismo nei confronti dei valori tradizionali avendo scordato i valori assoluti che, come tali, non conoscono limitazione né di tempo, né di spazio.
A questi malati andranno offerti la massima attenzione e premurose cure, superando i radicalismi e i pregiudizi, frutti d’insipienze che vorrebbero presentare questa patologia con visioni apocalittiche o catastrofistiche, definendola “peste del 2000” o “flagello e castigo di Dio” inviata dal cielo per punire i comportamenti deviati in materia sessuale, oppure intendono risvegliare nel profondo dell’inconscio collettivo il ricordo delle antiche pestilenze. Immagini tanto sconvolgenti quanto superficiali, sono divenute per molti sinonimi ineluttabili della malattia, contribuendo a generare un senso diffuso e soffocante di panico, esteso a tutti i livelli societari che, a volte, invocano un “capro-espiatorio”. Non serve riferirsi a potenze tenebrose d’incerto significato razionale anche perché la malattia può essere contratta indipendentemente da ogni comportamento moralmente criticabile. Parlare di atteggiamenti magici o di punizione, mostra la non conoscenza del Dio cristiano presentatoci da Gesù Cristo che ce lo indica onnipotente nella misericordia e nel perdono e la sua grandezza sta nell’amore. L’AIDS, non come segno ma come significato, può senz’altro costituire un severo richiamo all’umanità per quello che san Giovanni Paolo II ha definito “una specie d’immunodeficienza nel piano dei valori esistenziali che non si può lasciare di riconoscere come una vera patologia dello spirito” (11 novembre 1990). Perciò, anche questa patologia, possiamo leggerla come un “segno dei tempi” in quanto
rivelatrice dei disordini profondi che mettono a rischio il reale significato della sessualità e dell’amore umano. Quello offerto è un messaggio agli uomini contemporanei poichè riflettano sui loro costumi di vita come ricordato da G. Cottier: “Certo lo è in quanto rivelatore dei disordini profondi della nostra società, che mettono in dubbio il significato della sessualità e dell’amore umano (…). La nuova malattia ci obbliga a guardare in faccia le cose. Segno dei tempi, l’AIDS lo è ancora di più e in primo luogo con l’urgente chiamata che ci fa l’amore al prossimo e alla solidarietà. L’amore al fratello deve farsi inventivo per ricevere le numerose sofferenze causate da questa malattia” (Sida: un signo de los tiempas?, “Dolentium hominum”, 13. 1990). In quest’ ottica il cardinale G. B. Hume ha evidenziato che l’AIDS è una prova, ma non una punizione divina, una “legge generale secondo la quale ogni azione ha delle conseguenze che possono anche portare alla distruzione. Di fatto l’AIDS non è che una delle numerose conseguenze disastrose d’un comportamento sessuale disordinato. Questo disordine è la causa fondamentale dell’epidemia attuale” (In My Own Words, Londra 1999). Gli fanno eco i vescovi francesi puntualizzando: “Difendersi dall’AIDS è un bene. E’ una necessità sociale, famigliare e personale. Ma questo non può farsi chiudendo gli occhi sugli aspetti morali e spirituali della situazione e restringendosi alla sola profilassi”(2003) .
Dunque, l’AIDS, esige una risposta che vada oltre la prevenzione e il freno della diffusione del virus; è fondamentale costruire una cultura e una civiltà a misura della dignità dell’uomo che s’ispiri ai principi più nobili del patrimonio dell’umanità, ridefinendo i sistemi di valori e lo sviluppo del modo di vivere che collochi al giusto posto le nozioni morali ed etiche. Di fronte alla situazione di ogni sofferente nessuno ha il diritto di giudicare. Il Signore Gesù alla donna adultera che rischiava la lapidazione dichiarò: “Neppure io ti condanno, và e non peccare più” (Gv. 8,11 ). Per questo H. Hesse affermava che non basta criticare i demoni del nostro tempo ma “al posto di idoli, ci vuole una fede”!
4.Prevenzione, informazione e educazione: Il caso del contraccettivo
La migliore lotta contro ogni male è prevenirlo; perciò la prevenzione, l’informazione e l’ educazione devono procedere di pari passo.
Quest’ultima osservazione ci porta a riflettere sull’uso del profilattico ritenuto una valida metodologia per prevenire e contrastare la diffusione dell’epidemia. Ma il profilattico non garantisce una protezione completa; può unicamente limitare in parte il contagio, quindi non rende il “sesso più sicuro” come alcuni affermano e il mondo scientifico evidenzia mediamente l’85-90% di efficacia poiché il virus HIV è molto più filtrante rispetto allo sperma. Dunque, nel lungo periodo, il suo uso generalizzato, invece che estinguere la malattia rischia di favorirla.
Ecco alcuni autorevoli pareri.
– L. Montagnier: “I mezzi medici non bastano… In particolare occorre educare la gioventù contro il rischio della promiscuità sessuale e del vagabondaggio sessuale” (AIDS: natura del virus “Dolentium hominum” 5. 1990).
– C. Riethever: “Il condon, anche in combinazione con lo spermicida, probabilmente non costituisce una protezione assoluta contro la trasmissione dell’HIV. Il consiglio migliore per le persone con infezione da HIV resta ancora quello di astenersi dai rapporti sessuali…” (Condoms as physical and chemical barriers against human immunodeficiency virus, “Journal of American Medical Association”, 259. 1988).
– H. Hearst e S. Hulley: “Il miglior consiglio che si può dare alle persone che temono di contrarre l’AIDS è di evitare di scegliere partner che potrebbero essere a rischio. Usare il condom, evitare rapporti anali, limitare il numero di partner sessuali possono essere buoni consigli ma devono essere considerati solo come aggiunte ed alternative secondarie” (Preventing the heterosexual spread of AIDS. Are we giving our patients the best advice?, in “Journal of American Medical Association”, 259. 1988).
Inoltre, il preservativo come mezzo di prevenzione, potrebbe indurre le persone a rischi maggiori in base a falsi sensi di protezione.
E il nostro ricordo va al 17 marzo 2009, quando papa Benedetto XVI in viaggio verso il Camerum incontrò i giornalisti del seguito papale.
Philippe Visseyrias di France 2, rivolse al Papa una domanda: “Santità, tra i molti mali che travagliano l’Africa, vi è anche e in particolare quello della diffusione dell’Aids. La posizione della Chiesa cattolica sul modo di lottare contro di esso è spesso considerata non realistica e non efficace. Lei affronterà questo tema, durante il viaggio?”.
Così rispose Benedetto XVI: “Io direi il contrario: penso che la realtà più efficiente, più presente sul fronte della lotta contro l’Aids sia proprio la Chiesa cattolica, con i suoi movimenti, con le sue diverse realtà. Penso alla Comunità di Sant’Egidio (…), ai Camilliani, a tutte le Suore che sono a disposizione dei malati. Direi che non si può superare il problema dell’Aids solo con soldi, pur necessari, ma se non c’è l’anima, se gli africani non aiutano (impegnando la responsabilità personale), non si può superarlo con la distribuzione di preservativi: al contrario, aumentano il problema. La soluzione può essere solo duplice: la prima, un’umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro; la seconda, una vera amicizia anche e soprattutto per le persone sofferenti, la disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, ad essere con i sofferenti. E questi sono i fattori che aiutano e che portano visibili progressi. Perciò, direi, una duplice forza di rinnovare l’uomo interiormente, di dare forza spirituale e umana per un comportamento giusto nei confronti del proprio corpo e di quello dell’altro, e questa capacità di soffrire con i sofferenti, di rimanere presente nelle situazioni di prova. Mi sembra che questa sia la giusta risposta, e la Chiesa fa questo e così offre un contributo grandissimo e importante. Ringraziamo tutti coloro che lo fanno”.
La risposta del Papa suscitò ampie e faziose polemiche di alcuni leaders mondiali, mentre fu difesa da vari scienziati.
–Le Monde (11 marzo 2009). T. Anatrella (psicanalista), M. Barbato (ginecologo), J. De Irala (epidemiologo), R. Ecochard (epidemiologo), D. Sauvage (Presidente Federazione Africana di Azione Famigliare), scrissero: “Non c’è nessun Paese con un’epidemia generalizzata che sia riuscito a far calare la proporzione di popolazione infetta dall’Hiv solo con il preservativo. I casi di minore trasmissione dell’Hiv pubblicati nella letteratura scientifica sono associati all’attuazione dell’astinenza e della fedeltà aggiunte al preservativo, nella triade Abc (abstinence, be faithful, condor)”. La loro conclusione: “il Papa fa notare che rischiamo di aggravare il problema dell’Aids se i programmi di prevenzione si fondano solo sui preservativi. Questo è anche lo stato di conoscenze in materia di salute pubblica e di epidemiologia”.
–The Guardian (19 marzo 2009). Pubblicò che il preservativo, incentivando i comportamenti irresponsabili, estende la diffusione dell’infezione frutto di “una promiscuità non causata dall’edonismo ma dalla disperazione”.
– The Washington Post (29 marzo 2009). “The Pope may be right” (Il Papa potrebbe avere ragione) di E. C. Green (Premio Philly Bongole Lutaaya 2004 per l’ impegno in Africa contro l’Aids). Lo scienziato divulgò i risultati di uno studio dell’University of California che mostrava insufficiente il preservativo. Green non è nuovo a questa convinzione già presentata nel testo “Rethinking Aids Prevention” (Ripensare la prevenzione dell’Aids), (Greenwood Press 2003). In base alla sua esperienza e ai dati statistici, scrisse che per prevenire l’Aids era irrinunciabile l’educazione all’astinenza e alla fedeltà coniugale. Ma già nel gennaio 2000, l’autorevole rivista scientifica The Lancet, denunciò il profilattico come “una falsa percezione di protezione” che “induce ad aumentare i comportamenti a rischio”.
– Daily Telegraph (31 marzo 2009). “Certo l’Aids pone il tema della fragilità umana e da questo punto di vista tutti dobbiamo interrogarci su come alleviare le sofferenze. Ma il Papa è chiamato a parlare della verità dell’uomo. E’ il suo mestiere: guai se non lo facesse”.
In base a queste dichiarazioni, è opportuno superare la convinzione del “preservativo onnipotente” adottando il metodo Abc (astinenza, fedeltà, condon), che mostrò, ad esempio, ottimi risultati in Uganda, l’unico Paese africano che ebbe il coraggio di muoversi contro corrente. Nel 2004, la rivista Science, notò che oltre il 60% dei giovani ugandesi fra i 15 e i 19 anni si astenevano dal sesso: “Questi dati suggeriscono che la riduzione del numero dei partner sessuali e l’astinenza tra i giovani non sposati è una via importante da seguire”
5.La proposta della Chiesa Cattolica e non solo
Riconquistare e rivalutare una virtù “fuori moda”, e che a volte infastidisce il solo nominarla: la castità. Essa “esprime la raggiunta integrazione della sessualità nella persona e conseguentemente l’unità interiore dell’uomo nel suo essere corporeo e spirituale. La sessualità (…) diventa personale e veramente umana allorché è integrata nella relazione da persona a persona, nel dono reciproco, totale e illimitato nel tempo, dell’uomo e della donna”(Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2337). “La castità indica la disposizione interiore che muove una persona a controllare la propria sessualità in modo liberatorio per sé e per gli altri. Il termine castità, dunque, non indica la volontà di superare o negare la realtà sessuale, ma il desiderio di controllare l’organizzazione delle pulsioni sessuali di cui ogni persona è intessuta. “Essere casto” non significa evitare la sessualità ma accettarla intelligentemente, qualunque sia il proprio stato di vita e l’equilibrio umano che si è riusciti a realizzare. Inoltre, lo scopo ultimo di questo controllo della sessualità è eminentemente positivo: una maggiore libertà. ‘Sarà casta una condotta che cercherà di fare uscire la persona dallo stato d’indifferenziazione (“incestuoso”) in cui si trova agli inizi dell’esistenza’ (X. Thevenot, Principi etici di riferimento per un mondo nuovo, Torino 1984, pg. 32)” (Aids, op. cit.)
Essendo l’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio, anche la sessualità che coinvolge la globalità della persona (livello fisico, psicologico, affettivo e spirituale), manifesta la sacralità nella relazione tra l’uomo e la donna. Salvaguardare la castità richiede eroismo, essendo l’uomo attratto dal peccato e dalla concupiscenza della carne (cfr. 1 Gv. 2,16). Quindi, è possibile raggiungere e mantenere questo elevato obiettivo, unicamente con un’intensa preghiera di supplica al Signore Gesù e riconquistando il valore del sacrificio e della rinuncia.
Il pregio della castità, e di conseguenza dell’astinenza sessuale, trova ampio eco anche oltre la Chiesa Cattolica. Un articolo del Washington Post del 2 febbraio 2010, commentando i risultati di una ricerca condotta su 662 studenti afro-americani della Pennsylvania, pubblicati dalla rivista scientifica “Archives of Pediatric & Adolescent Medicina”, sottolineò che l’astinenza è la forma migliore per prevenire le gravidanze delle adolescenti e delle giovani e per bloccare il dilagare delle malattie sessualmente trasmesse. E così, nel Paese più liberale del mondo, si celebra ogni anno, il 12 febbraio, la “Giornata Nazionale della Purezza”, a cui aderiscono centinaia di scuole e di collegi.
Negli anni 80’ del ventesimo secolo il cardinale G. B. Hume di fronte alla campagna del governo inglese incentrata sullo slogan: “O anticoncezionali o Aids” , affermò: “Questo slogan indica una falsa alternativa. Vi è una terza via: quella dell’autodisciplina e del rispetto del prossimo anche nel campo della sessualità” (In My Own Words, op. cit).