Da poco è trascorso il primo maggio, il giorno che la Chiesa dedica a san Giuseppe Lavoratore e nella maggioranza delle nazioni si celebra la “festa del lavoro o dei lavoratori”. Si svolgono manifestazioni che ricordano l’impegno dei movimenti sindacali e i traguardi conquistati dai lavoratori, ma pochi riflettono sul “significato del lavoro” e come il lavoro possa assumere un significato esistenziale, dato che un terzo della vita la trascorriamo lavorando. Io credo che “andare al lavoro” unicamente per ricevere lo stipendio a fine mese è una motivazione misera, anche se in questi tempi di crisi a tanti può bastare. Perciò la “pillola di Saggezza” di questa settimana intende supplire a questi “vuoti di significato”.
Del valore e dell’importanza del lavoro la Chiesa cattolica si è sempre occupata a partire dall’insegnamento dell’apostolo Paolo che rivolgendosi ai cristiani di Tessalonica, una Chiesa probabilmente turbolente, così li esortava: “Chi non vuole lavorare, neppure mangi. Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono una vita disordinata, senza fare nulla e sempre in agitazione. A questi tali, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, ordiniamo di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità” (2 Tes. 3,10-12), e poco prima aveva affermato: “Sapete in che modo dovete prenderci a modello: noi infatti non siamo rimasti oziosi in mezzo a voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato duramente, notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno di voi” (2 Tes. 3,7-8).
Importanti per comprendere la visione del lavoro secondo il cristianesimo sono la Lettera Enciclica di papa Leone XIII “Rerum Novarum“ (1891) con la quale il pontefice condannò lo sfruttamento e il degrado dei lavoratori e avviò la Dottrina Sociale della Chiesa; la Lettera Enciclica di san Giovanni Paolo II “Laborem Exercens” (1981) pubblicata in occasione del 90° anniversario della “Rerum Novarum” dove il Papa rilegge il “mondo del lavoro” alla luce degli avvenimenti degli ultimi decenni sostenendo che il lavoro è un “bene” prima ancora che un diritto e un dovere e il “Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa” (2005) redatto dal “Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace” che dedica il capitolo secondo della seconda parte al lavoro umano. In questi e altri Documenti emerge che la persona è il metro di misura della dignità del lavoro, concetto solennemente espresso nel Concilio Vaticano II: “La persona umana è e deve essere il principio, il soggetto e il fine di tutte le istituzioni comprese quelle lavorative” (Gaudium et spes 19). Di conseguenza ogni uomo ha diritto al lavoro, alla possibilità di sviluppare le proprie qualità e la propria personalità nell’esercizio della sua professione, ad un’equa rimunerazione che permetta a lui e alla sua famiglia di condurre una vita dignitosa sul piano materiale, sociale, culturale e spirituale.
In quale “spaccapietre” mi identifico?
Il primo spaccapietre.
Si narra che un saggio incontrò uno spaccapietre che stava lavorando alacremente, con il volto cupo, segnato dalla fatica dovuta al grande sforzo e gli domandò: “che cosa fate buon uomo?”. E lo spaccapietre stizzito gli rispose: “Come non vedete? Spacco pietre. Non ho trovato altro lavoro. Sono un povero disgraziato. Ho la schiena a pezzi. Ho le mani piene di calli che mi fanno male e sono sfibrato dalla fatica. Nonostante tutto, non posso fermarmi neanche un attimo, devo continuare a spaccare pietre, altrimenti il padrone mi licenzia ed io e la mia famiglia moriremmo di fame”.
Il secondo spaccapietre.
Il saggio proseguì e dopo un tratto di cammino incontrò un secondo spaccapietre. Costui spaccava pietre con fatica, però era abbastanza vigoroso. I colpi erano piuttosto ritmati, si notava lo sforzo, ma il suo viso era piuttosto sereno anche sotto l’abbondante sudore. Il saggio si soffermò a guardarlo e gli domandò: “Buon uomo che state facendo?” Lo spaccapietre si fermò un attimo. Il suo volto, anche se provato dalla fatica, presenta però un’ insolita pacatezza. Gli rispose “Come non vedete? Sto spaccando pietre. Certo è un lavoro faticoso, però è l’unico che ho trovato e con questo posso sostenere la mia famiglia. Non mi lamento perché ho altri miei conoscenti che sono disoccupati ed io invece, anche se ho la schiena che mi fa male, ringrazio Dio che mi permette di continuare a lavorare anche se con grande sofferenza”. Il saggio lo salutò e proseguì il suo cammino.
Il terzo spaccapietre.
Dopo qualche tempo, il saggio incontrò un terzo spaccapietre che dava colpi di piccone con una incredibile vigoria, sul suo volto vi era un sorriso e dai suoi movimenti traspariva un insolito entusiasmo che destò immediatamente la curiosità del saggio che fermandosi gli domandò: “Che fate buon uomo?” e questi gli rispose con un sorriso: “Ma come, non vede che sto spaccando pietre? “Sì d’accordo” riprese il saggio, “ma il vostro è un modo insolito. Voi spaccate pietre come se vi steste divertendo. Per voi la fatica non sembra esistere e la cosa mi incuriosisce alquanto. Come mai?”. “E’ vero” rispose lo spaccapietre: “voi non lo potete sapere perché non siete di queste parti. Io sto spaccando pietre con entusiasmo e contentezza perché queste pietre servono alla costruzione della Cattedrale ed io mi ritengo veramente fortunato di poter contribuire con il mio lavoro alla sua edificazione e pertanto, con il mio lavoro non solo sostengo la mia famiglia, ma la gioia è tanto grande che, oltre a non farmi sentire la fatica, mi spinge a fare sempre meglio e di più per raggiungere questo meraviglioso obiettivo”.
Quali convinzioni supportono il terzo spaccapietre nel quale ognuno di noi piacerebbe identificarsi?
1.Ogni lavoro è nobile e riveste la massima dignità
Ogni lavoro, dai più elevati socialmente a quelli più umili e nascosti, gode in se stesso di grande dignità; quindi nessuno deve sentirsi inferiore agli altri per il contributo che offre alla collettività. Prendendo come esempio l’ospedale, la “stessa dignità professionale” è ricoperta dal “chirurgo luminare e universitario” e dall’ “ausiliare” che lavora nel blocco operatorio, anche se, ovviamente, le responsabilità sono differenti. Il “luminare” esegue un intervento complesso ma se l’ausiliare non sterilizza con cura e competenza l’ambiente operatorio il malato rischia di morire per il sorgere d’infezioni. Lo stesso vale per la casalinga che lavando, pulendo, stirando, preparando da mangiare offre un immenso servizio alla famiglia; è un lavoro non retribuito, lo si crede dovuto e così, il più delle volte, è privo di qualunque ringraziamento.
Da dove nasce la dignità di ogni lavoro? Da fatto che è svolto da un uomo e questo dato supera la rilevanza sociale e retributiva e le modalità operative. L’unica caratteristica irrinunciabile del lavoro è l’onestà; ogni lavoro, se onesto, è degno di stima! In quest’ottica, nessun salario o riconoscimento potrà mai ricompensare in modo pieno l’impiego profuso.
L’assenza del concetto di dignità porta alcuni, come avviene, a esercitare un potere fine a se stesso e altri a ridurre l’impegno cercando di fare meno fatica possibile. E qui sta, molto probabilmente, la base di molte rivendicazioni e delle lotte di classe come pure lo sfruttamento del capitalista o il piacere ricercato nella carriera. Rammenta il documento “Gaudium et spes” del Concilio Vaticano II: “L’uomo vale più per quello che ‘è’ che per quello che ‘ha’. Parimenti tutto ciò che gli uomini compiono allo scopo di conseguire una maggiore giustizia, una più estesa fraternità e un ordine più umano dei rapporti sociali, ha più valore dei progressi in campo tecnico. Questi, infatti, possono fornire, per cosi dire, la base materiale della promozione umana” (cfr. n. 35)
2.Il lavoro è il contributo che l’uomo offre a Dio per portare a compimento la creazione.
Per il cristiano la nobiltà e la a dignità del lavoro trova la sua origine in Dio stesso che chiama l’uomo a dominare la terra e a collaborare con Lui all’opera della creazione. Dunque, ogni lavoratore, è un collaboratore di Dio per completare quel grande mosaico composto da milioni di tasselli che è la creazione. Compiendo male e con incompetenza il proprio lavoro il mosaico del mondo è resta incompleto e con evidenti vuoti. “Gli uomini e le donne, infatti, che per procurarsi il sostentamento per sé e per la famiglia esercitano il proprio lavoro cosi da prestare anche conveniente servizio alla società, possono a buon diritto ritenere che col loro lavoro essi prolungano l’opera del Creatore, si rendono utili ai propri fratelli, e donano un contributo personale alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia” (Laborem exercens, n. 9).
3.Il lavoro strumento di evangelizzazione e di umanizzazione della società e di santificazione della propria vita.
Il nostro lavoro acquista una ventata di novità pur nella monotonia di ogni giorno e nella ripetitività di determinate azioni se lo viviamo come tempo di evangelizzazione e di umanizzazione della società e di santificazione personale.
Al battezzato, la Chiesa, affida la missione di rendere più cristiana e più umana la società compreso il mondo del lavoro. Ricorda il Concilio Vaticano II: “I laici devono assumere il rinnovamento dell’ordine temporale come compito proprio, e in esso guidati dalla luce del Vangelo e dal pensiero della Chiesa e mossi dalla carità cristiana, devono operare direttamente e in modo concreto; come cittadini devono cooperare con altri cittadini secondo la specifica competenza e sotto la propria responsabilità; dappertutto ed in ogni cosa devono cercare la giustizia del Regno di Dio” (Apostolicam actuositatem n.7). Ma per far questo occorre una profonda competenza nel settore della propria attività, un ricco corredo di virtù umane, un’autentica vita cristiana.
Al termine della seconda guerra mondiale alcuni soldati americani, acquartierati in un paesetto tedesco distrutto dai bombardamenti, aiutarono gli abitanti a sgombrare e a riparare le case diroccate. L’impresa maggiore fu la chiesa. Pian piano rafforzarono i muri spaccati e il tetto crollante. E un giorno misero insieme i pezzi di una statua di Cristo caduta dall’altare. Rimessa sul piedistallo, l’immagine era come nuova, salvo le mani che non era stato possibile ritrovare. E allora, ai piedi del Cristo mutilato misero questa suggestiva scritta: “Non ho altre mani che le vostre!”. Anche mediante il nostro lavoro il Signore Gesù può essere presente nel cuore degli uomini e nel mondo della sanità e della scienza, della tecnica e dell’economia, della cultura e dello spettacolo, della politica e della giustizia.
Il lavoro è pure strumento per la santificazione personale anche svolgendo mansioni umili e modeste. E’ l’esempio di santa Maria Bertilla Moscardin (1888-1922) che fattasi suora per curare i malati trascorse tutta la sua vita di religiosa in cucina, al forno e in lavanderia. Nel capitolo 38 del Libro del Siracide sono elencati arti e mestieri. Si afferma che questi lavoratori “confidano nelle loro mani e ciascuno è abile nel suo mestiere. Senza di loro la città non può essere costruita e nessuno potrebbe avere ciò che occorre alla vita” (Sir. 38,32). Poi l’autore sacro aggiunge una indicativa costatazione: “Queste persone assicurano il funzionamento del mondo e il loro lavoro intelligente è una vera preghiera” (Sir. 38,39).
Utopia o realtà?
Si dice che in ogni contesto sono presenti quattro tipologie di persone: “ognuno”, “nessuno”, “qualcuno” e “chiunque”. C’è un lavoro da fare, un progetto da realizzare che “chiunque” può fare. “Ognuno” pensa che “qualcuno” lo farà. Di fatto tale lavoro non viene fatto da “nessuno”. E allora “qualcuno” si arrabbia perchè “nessuno” ha fatto ciò che “chiunque” avrebbe dovuto fare.
E’ un insegamento per lunedì quando riprenderemo la nostra settimana lavorativa.