Secondo il rapporto “Dopo la crisi, la crisi” presentato nello scorso luglio, in Italia a seguito della crisi economica che ormai da anni ci attanaglia, oltre 4 milioni di persone vivono in condizioni di povertà assoluta (8% della popolazione).
Ma anche per moltissimi altri si è ridotto “il tenore di vita”, e il primo è più pesante taglio ha colpito il cibo. Da un’analisi della Coldiretti, due italiani su tre (67%) hanno tagliato la spesa in qualità e quantità. Ad esempio, dall’inizio della crisi, chi fa la spesa nei discount è aumentato del 48%, e otto italiani su dieci, hanno confermato che non buttano il cibo scaduto ma lo consumano.
Anche le mense dei vari enti di beneficienza faticano a rispondere alle domande di pasti che sono in continuo aumento.
E’ terminata l’epoca dei “frigoriferi pieni” e della cattiva abitudine di buttare nella spazzatura cibi ancora commestibile.
Ma accanto a questi dati dobbiamo pure evidenziarne uno fornito dalla Caritas di Roma: ogni giorno il 40% dei rifiuti della Capitale è di origine alimentare. E tra i molti esempi, è riportato questo: “Ore 14, mensa dell’ospedale San Giovanni. I cibi precotti, sigillati, vengono accumulati in una zona della cucina vicino all’uscita, nei pressi dei cassonetti. Sono centinaia di pasti, non consumati dai pazienti per varie ragioni, che finiscono nella spazzatura”(Fonte: http://www.poliziaedemocrazia.it/live/index.php?domain=archivio&action=articolo&idArticolo=350).
Questo esempio, che purtroppo accomuna tante aziende sanitarie, mostra che la parsimonia non ha sfiorato gli ospedali, dove, in media, il 40% del cibo preparato per malati e operatori sanitari ma non consumato, comprese le confezioni intatte e sigillate, finisce nella pattumiera.
Questo atteggiamento, oltre che mostrarsi scandaloso nei confronti di chi fatica a mangiare una volta al giorno (se gli va bene), produce anche un danno enorme alla spesa sanitaria. Calcolando che il costo di un pasto (pranzo e cena) varia tra i 12/18 euro ed essendo ogni anno ricoverati negli ospedali italiani circa 11 milioni di malati (media di degenza sei giorni), il costo complessivo per i pasti è di un miliardo di euro, ma 400 milioni di euro si buttano nelle discariche tra l’indifferenza generale. Ad esempio, questo fatto, a un ospedale di circa 600 posti letto, viene a costare circa 136 mila euro all’anno.
Ben si comprende che questo non è un problema solo economico ma anche etico dato che, anche in Italia, come in altri Paesi dal 2003 è in vigore la legge n. 155 (G.U. n. 150 del 1 luglio 2001) definita anche del “Buon Samaritano” che riguarda la disciplina della distribuzione dei prodotti alimentari a fini di solidarietà sociale. La normativa permette il recupero di alimenti ad alta deperibilità, anche cibi cotti o precotti, rimasti invenduti nel circuito della ristorazione, oppure non consumati presso mense aziendali, scolastiche… e quindi anche ospedali, e di distribuirli ai bisognosi mediante il contributo delle ONLUS che sollevano la società donatrice anche dalla cosiddetta “responsabilità di percorso”.
Per il momento all’interno dell’ambito sanitario di esempi virtuosi ne conosciamo pochi; si preferisce buttare che aiutare. Da qui l’invito ai Direttori Generali e Amministrativi a farsi carico del problema poiché la povertà e la sofferenza dell’altro non possono lasciare indifferente nessuno. Ci faremo anche degli “amici” che non ci tradiranno e al termine della nostra vita ci accompagneranno al trono di Dio (Cfr. Lc. 16,9).