IL DIO MERCATO HA FALLITO E NON C’E’ PIU’ ROOSEVELT

L’Italia è un Paese malato. Ogni giorno che passa la diagnosi diventa più preoccupante e feroce. Ieri é stato pubblicato il 48esimo rapporto del Censis che descrive una società bloccata: il 60% degli italiani teme di diventare povero. Sempre ieri Standard & Poor’s (senza dimenticare i disastri compiuti dalle società di rating) ci ha declassato a sorpresa: pesano l’aumento del debito e la crescita debole. Non c’è di che stare allegri. Il Governo, in questa situazione, seppure trainato dal dinamismo di Renzi, appare in palese affanno.

Ad aggravare la situazione interviene anche situazione di Mafia Capitale che mette in luce il fatto che il livello di guardia, per quanto riguarda la corruzione, sia stato ampiamente superato. Tutto questo è il risultato di un lungo processo degenerativo al quale difficilmente si potrà porre rimedio in tempi brevi o con una overdose di riforme solo annunciate. Per comprendere la situazione occorre alzare lo sguardo. Per l’Occidente, finita l’”età dell’oro” (1945-1975), che era stata caratterizzata dalla ricostruzione post-bellica e dallo sviluppo, dalla contemporanea diminuzione del numero dei poveri e di quello dei troppo ricchi, dall’ampliamento dei ceti medi e dalla conquista di diritti sociali e civili fondamentali, è subentrata l’”età del dio-mercato” (1980-….). Nonostante il più che trentennale fallimento delle rivoluzioni liberiste, questa età pare non ancora finita.

Qua e là emergono segni di ripensamento, ma la direzione di marcia non è ancora cambiata. Importanti intellettuali hanno cominciato a a spiegarci che si può pensare che possa esistere un mondo diverso: Tony Judt ci ha illuminato sulla inefficienza della disuguaglianza; Joseph Stiglitz ha dimostrato come l’austerità abbia abbassato la crescita ed aumentato il debito; Thomas Piketty ha chiuso il cerchio sostenendo che è la bassa crescita dell’economia mondiale che genera il picco della disuguaglianza. Un cane che si morde la coda. A differenza di quello che accadde su fronti opposti con Roosevelt, prima, e con Reagan-Thatcher poi, non ci sono all’orizzonte leader mondiali capaci di imprimere una scossa alla struttura della società e di innescare nuove rivoluzioni capaci di far uscire il mondo da una situazione di apatico continuismo con la cattiva eredità del liberismo, da un lato, e della blairiana terza via dall’altro. In questa situazione saremo condannati ad un irreversibile declino economico, civile e morale.

É rimasto Papa Francesco, ma la sua possibilità di influenzare le scelte dei governi appare confinata nel limbo della moral suasion. La politica è oggi molto distante dai cittadini perché non è più in grado di ascoltare e di interpretare i bisogni di masse sempre più consistenti di persone che vedono aumentare la loro incertezza e avvertono la perdita di futuro. Questa incapacità è sintomo di una sua evidente debolezza che deriva dalla sostanziale subordinazione alla forza determinante che il potere finanziario ha acquisito nell’ultimo trentennio. Quando il mercato domina sulla politica, inevitabilmente la ricchezza si concentra sempre più nelle mani di pochi. La variante italiana è che il sistema politico di casa nostra è assalito da un secondo lato, quello della corruzione. Siamo accerchiati. Questo fenomeno non è una novità. Come non ricordare i ”forchettoni” della campagna elettorale del Pci del 1953, appellativo ovviamente riservato ai governanti democristiani. Ma, a differenza di quello che succede oggi, all’epoca c’erano ancora degli anticorpi determinati dalla forza delle ideologie che definivano l’identità dei partiti. Oggi la politica si presenta come un ”ventre molle”, facilmente aggredibile perché privo di difese, a partire dalla rinuncia alla costruzione di un orizzonte di valori a vantaggio di un puro ripiegamento al tatticismo, al posizionamento, in molti casi opportunistico, alla comunicazione al posto dei contenuti.

Un tempo la tattica era in funzione della strategia, oggi è esattamente il contrario. La strategia si costruisce strada facendo in un indifferenziato volteggiare di politiche contemporaneamente di destra e di sinistra. Si danno gli 80 euro mensili al ceto medio del lavoro dipendente e si indeboliscono le tutele, per i nuovi assunti, per quanto riguarda l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori; si aumenta la tassazione delle rendite finanziarie al 26% e si tagliano i fondi per i lavori usuranti e per incentivare l’assunzione dei disabili. Che la mano destra non sappia quel che fa quella sinistra. La politica del ”flipper” può funzionare fino ad un certo punto. Di fronte al persistere della stagnazione economica  e dell’occupazione ed al crescere delle tensioni sociali, qualcuno prima o poi ci stacca la corrente.

Il Garantista, 7 dicembre 2014

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