Ma perché mezzo mondo vuole rifilarci l’aborto in Irlanda?

Catholic Herald, 29 settembre 2017

Ma perché mezzo mondo vuole rifilarci l’aborto in Irlanda?

Indagine sui motivi che spingono i grandi della Terra (Onu, Trudeau, Soros) a spendere se stessi e i loro soldi per cambiare la cultura e la legge pro-life irlandesi.

I grandi della Terra sono molto interessati al risultato dell’imminente referendum sull’aborto in Irlanda, in programma per l’anno prossimo. Vogliono che gli elettori irlandesi cancellino dalla loro costituzione il cosiddetto Ottavo Emendamento, che riconosce al bambino non nato lo stesso diritto alla vita di ogni altro essere umano.

L’aborto è consentito in Irlanda solo nel caso in cui la vita della madre sia in pericolo reale e sostanziale. Questo emendamento è stato introdotto nella costituzione in seguito a un referendum passato nel 1983 con un margine di due voti contro uno.

Da allora il pensiero laico liberal è determinato a rovesciare quel referendum. Quando i liberal perdono un referendum, non accettano un no come risposta, e i liberal irlandesi hanno trovato all’estero parecchi alleati nella loro lotta per il cambiamento.

Tra questi alleati ci sono il primo ministro canadese Justin Trudeau e diverse commissioni delle Nazioni Unite, comprese la commissione per i Diritti umani e la commissione contro la Tortura (sì, la tortura), oltre al miliardario George Soros.

Attreverso la sua Open Society Foundations, [il magnate] di origine ungherese ha già finanziato tre gruppi pro-aborto in Irlanda, tra cui il ramo irlandese di Amnesty International, per un totale di circa 400 mila dollari (295 mila sterline). Gli altri due gruppi sono la Irish Family Planning Association e la Abortion Rights Campaign.

Il leak di un documento riservato della Open Society Foundations ha rivelato le ragioni di quel finanziamento. Dice che è stato effettuato affinché i tre gruppi possano «lavorare insieme a una campagna per l’abrogazione dell’emendamento costituzionale irlandese che garantisce a un embrione impiantato diritti pari a quelli della donna incinta».

Prosegue [il documento trapelato]: «Con una delle leggi sull’aborto più restrittive al mondo, una vittoria [in Irlanda] potrebbe avere un forte impatto su altri paesi fortemente cattolici in Europa, come la Polonia, e potrebbe rappresentare la dimostrazione che il cambiamento è possibile, anche in luoghi molto conservatori».

Il fatto che gruppi pro-aborto in Irlanda ricevano finanziamenti dall’estero ha ottenuto assai poca attenzione da parte dei media e quasi nessuna reazione politica. Questo nonostante giornalisti e politici si interessino regolarmente dei presunti finanziamenti dall’estero destinati a organizzazioni pro-life irlandesi. La mancanza di curiosità verso i finanziatori esteri dei gruppi pro-choice la dice lunga riguardo ai doppi standard dei media irlandesi e di tanti politici.

Ad ogni modo, la ragione data dalla Open Society Foundations per quella sovvenzione – e cioè che trasformare un paese fortemente pro-life in un paese pro-aborto servirebbe da esempio per altri paesi – è la stessa ragione per cui Justin Trudeau e l’Onu ritengono di dover dire la loro sulla nostra legge pro-life.

Quando Trudeau recentemente ha incontrato in Canada il primo ministro irlandese, Leo Varadkar, ha menzionato l’Ottavo Emendamento e ha consigliato all’Irlanda di abrogarlo nel nome dei «diritti umani». Non risulta che abbia incontrato restistenze da parte di Varadkar o che il Taoiseach [il primo ministro irlandese, ndr] abbia criticato la legge ultra permissiva del Canada, che consente di abortire per qualunque ragione fino al momento della nascita e offre scarsa tutela alla coscienza di medici e infermieri.

Varadkar si definisce un «pro-life» ma è favorevole all’abrogazione dell’Ottavo Emendamento nel caso in cui la salute della donna sia ritenuta a rischio. Tale motivazione suonerà familiare ai lettori inglesi, i quali sanno che la stessa nel loro paese ha portato all’aborto on demand e a quasi 200 mila interruzioni annuali.

Anche l’Onu ci ha messo il becco regolarmente, incoraggiata dai gruppi pro-aborto irlandesi. L’Irlanda, come la Gran Bretagna, è firmataria di molti convenzioni Onu, e sempre al pari della Gran Bretagna, periodicamente è tenuta a comparire davanti a questa o a quella commissione Onu per riferire su quanto stia implementando a dovere i vari trattati.

Ci viene continuamente ripetuto che dobbiamo consentire l’aborto. Queste commissioni Onu sono ideologicamente parecchio prevenute. Sono state cooptate da tempo dalla sinistra pro-aborto e sono più che felici di eseguire qualsiasi spartito vogliano suonare i gruppi per l’aborto irlandesi. Le commissioni non tengono mai in considerazione i diritti dei bambini non nati. Fingono che qualunque trattato o convenzione Onu esse siano incaricate di supervisionare autorizzi l’aborto. E questo malgrado l’aborto non sia citato in alcun documento o convenzione Onu. Le stesse commissioni poi danno l’errata impressione che le loro idee comportino un peso legale che semplicemente non hanno.

Tristemente, i governi irlandesi tendono a levarsi il cappello davanti a queste commissioni e le trattano con un deferenza che esse non meritano assoltamente. Questo vale anche per l’attuale governo, naturalmente, che vuole vedere revocata la nostra legge pro-life. Dunque gli conviene fingere davanti al popolo irlandese che «siamo una delusione» agli occhi della comunità internazionale, guidata dall’Onu, e che l’Onu sia in qualche modo l’arbitro imparziale e obiettivo della moralità. In effetti l’Onu rappresenta una sorta di Magistero per chi ha idee laiche liberal. Non può essere messa in questione. L’Onu ha parlato, la questione è chiusa.

Per quale motivo queste personalità internazionali sono tanto ansiose di vederci modificare la nostra legge sull’aborto? La spiegazione benevola è che credano sinceramente nel diritto all’aborto e che il bambino nel grembo materno abbia pochi diritti, se non nessuno. Molti ovviamente ci credono davvero. Ma la spiegazione meno benevola è che essi sanno che la legge dell’Irlanda e la sua cultura pro-life ancora abbastanza solida sono un ammonimento permanente nei confronti delle leggi sull’aborto e della cultura pro-choice che esistono in pratica in tutti gli altri stati occidentali, Gran Bretagna inclusa.

Nel Regno Unito, una gravidanza su cinque termina in un aborto. In Svezia, una su quattro. Il tasso irlandese è di circa una gravidanza su 18, anche considerando le circa 3.500 donne che si recano ogni anno in Gran Bretagna per abortire. In altre parole, l’Irlanda dimostra che quando un paese ha una legislazione sull’aborto molto restrittiva, avvengono molti meno aborti, anche qualora un paese vicino consenta l’aborto e le donne possano raggiungerlo facilmente.

Ma di certo, dicono alcuni, la nostra legge sull’aborto comporterà che più donne muoiano durante la gravidanza. Non è così. Il tasso di mortalità materna in Irlanda è un po’ inferiore di quello britannico.

Contro questo dato, qualcuno potrebbe aver letto della tragica fine di Savita Halappanavar, che morì in un ospedale irlandese nel 2012 dopo essersi vista rifiutare un aborto. Ma in seguito è emerso che in realtà [la ragazza] perse la vita per una setticemia, e che l’ospedale non si era accorto dell’infezione letale fino a che non fu troppo tardi. Se avesse saputo che [Savita] aveva una setticemia, avrebbe potuto interrompere la gravidanza, che sarebbe finita comunque in un aborto spontaneo. Anche negli ospedali britannici le donne incinte muoiono di setticemia in rare occasioni. La lasca legge sull’aborto britannica non le può salvare.

Dal momento che la legge irlandese è un tale affronto per il regime dell’aborto in vigore nella maggior parte dei paesi occidentali, si può capire perché i grandi della Terra vogliono che l’Irlanda cambi la sua legge. La legge irlandese ha salvato le vite di innumerevoli bambini non nati, proteggendo nello stesso tempo le vite delle donne incinte. Vincono tutti. L’Irlanda dovrebbe essere orgogliosa della sua legge. Sono altri i paesi che dovrebbero provare vergogna.

Riusciremo a resistere alle pressioni interne ed esterne a favore del cambiamento della nostra cultura pro-life? Entro la prossima estate probabilmente lo sapremo, poiché per allora il referendum avrà avuto luogo.

David Quinn

Commentatore del Sunday Times e dell’Irish Catholic, fondatore e direttore del Iona Institute for Religion and Society

 

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