VIVERE IL PRESENTE
Superando la tentazione dei SE e dei MA

Alcune  settimane fa abbiamo proposto delle riflessioni sulla speranza che spesso fatica ad essere presente nella nostra vita a causa dei fatti negativi presenti nella vita societaria e personale, e abbiamo concluso con l’invito più volte rivolto da papa Francesco: “Non lasciatevi rubare la speranza”. La riflessione di oggi ci suggerisce due atteggiamenti per concretizzare la speranza  nella quotidianità: vivere bene e con entusiasmo il presente superando la tentazione  del disimpegno.

A volte ci crogioliamo ripensando al passato dimenticando che ormai è storia, o  viviamo di rimpianti, oppure ci immedesimiamo in un ipotetico futuro che per il  momento è unicamente mistero, dimenticando che solo il tempo presente è l’unica  certezza che possediamo per essere attivi e realizzare quella che in termini cristiani  chiamiamo “vocazione”. Per questo, Lorenzo il Magnifico, ripeteva: “Chi vuol essere lieto sia, di doman non v’è certezza”. Questo non significa che non dobbiamo  progettare il domani ma non possiamo preoccuparcene troppo.  Il presente è un dono immediato che non possiamo assolutamente sprecare!

E’ questo un tema ricorrente nel cristianesimo e nelle grandi religioni, così come nella filosofia e nella saggezza popolare, infatti nella tensione a vivere l’attimo presente, apparentemente insignificante e breve, si nasconde il segreto di una vita serena.

Il presente è l’elemento chiave sia dell’aspetto umano che spirituale della vita.

Nel Vangelo sono molteplici le raccomandazioni a vivere bene il presente: “Non preoccupatevi del domani, perché il domani stesso si preoccuperà di sé. A ciascun giorno basta la sua pena (Mt. 6,34); “Non angustiatevi per nulla” (Fil. 4,6); “Gettate in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi” (1Pt. 5,7). Alla base di tutto vi è la certezza che il Padre che è nei cieli ci ama e ha cura di noi. Egli sa di cosa abbiamo bisogno e ci segue momento per momento come potrebbe fare la più affettuosa delle madri.Vivere il presente significa non affannarsi (cfr. Mt. 6,24-34).

Non è affanno lavorare con impegno e con competenza utilizzando adeguatamente le scoperte scientifiche e i mezzi che la tecnica ha approntato. È semplicemente un dovere essendo la nostra collaborazione un prolungamento del gesto creatore di Dio  nel progettare e nel costruire una società rispondente alle esigenze dell’uomo.

Non è affanno la prudente e previdente attenzione per il futuro mediante un oculato  risparmio e un adeguato investimento soprattutto avendo responsabilità di famiglia.

È affanno l’ansia, la preoccupazione e I’eterna scontentezza nei riguardi di quello che  si è e di quello che si ha, soprattutto quando il  confronto con gli altri determina  l’insorgere di sentimenti di invidia e di rancore e I’accumulo avviene con operazioni rischiose e poco trasparenti. E’ affanno il vivere con il fiato sospeso, temendo che in ogni momento possa  succedere I’imprevisto e, di conseguenza, attendere il domani con paura e angoscia. In questa prospettiva si ingigantiscono le cose, per cui il niente o quello che esiste solo nella fantasia pone in agitazione. È affanno la mancanza di tempo da riservare alla preghiera, al dialogo e alla permanenza in famiglia, al ritrovarsi in spirito di fraterna amicizia e solidarietà con gli altri.

L’affanno è una stoltezza e una stortura perché indirizza la ricerca della sicurezza verso elementi che non sono in grado di offrirla: l’attaccamento alle cose materiali, il dominare sugli altri, I’inseguire un determinato ruolo utilizzando atteggiamenti scorretti e calpestando la giustizia. Si crede di aver raggiunto la felicità mentre, alla fine, ci si accorge del fallimento e si è spinti a trafficare maggiormente esasperando I’affanno. Il Vangelo ricorda: “Chi di voi, con tutto il suo affannarsi può aggiungere un’ora sola alla propria vita?”.

L’affanno è peccaminoso perché diminuisce la fiducia in Dio come Padre buono, esaspera I’ ambizione dell’ autonomia facendo dimenticare la propria creaturalità. Inoltre, sfuma la gerarchia dei valori per cui si ritengono assolutamente importanti, cose ed eventi secondari e marginali.

Per un sano umanesimo del quotidiano e per vivere bene il presente, oltre che la virtù della saggezza, il Vangelo propone due suggerimenti: “Cercate prima di tutto ilRegno di Dio e la Sua giustizia, il resto vi sarà dato in aggiunta”, “Non vi affannate per il domani: il domani avrà già i suoi affanni. A ciascun giorno basta la sua pena”.

Per eliminare I’affanno è doveroso ripensare la gerarchia dei valori e degli oggetti dato che oggi sono stati innalzati alcuni idoli da adorare: i vestiti firmati o un determinato look, i prodotti dell’ultima generazione per non sembrare inferiori agli altri, il calcio che da sport si è trasformato in un gigantesco affare e per molti la partita è il rito domenicale principale a cui non si può rinunciare.

Per distruggere questi idoli va riscoperto I’amore che Dio riserva ad ognuno di noi, accorgersi che nel cammino della vita non si è soli ma sempre accompagnati, passo dopo passo, dal Padre che nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo.

LA SCUSANTE DEL “SE” E DEL “MA”

La scusante del “se” e del “ma” non ci permette di vivere bene il presente.

Aveva perfettamente ragione il poeta greco Fedro che in una favola descriveva ogni uomo portatore di due invisibili bisacce. Quella posta sulla schiena racchiude le proprie colpe e i propri difetti che si riconoscono con difficoltà essendo nascosti; mentre quella sul davanti contiene gli errori e le incoerenze degli altri, ben visibili e riconoscibili. Di conseguenza diventano abituali affermazioni quali: “è colpa di… “, “io non c’entro”, “così non si può andare avanti”.

E’ questa una mentalità che ci contagia sia a livello sociale, professionale ed ecclesiale, che nelle piccole e nelle grandi decisioni. Ci troviamo in uno scenario politico-sociale negativo costruito da noi tutti per gli errori commessi in passato, per l’incapacità dimostrata di esprimere consenso o dissenso, per I’inettitudine ad assumere una cittadinanza attiva. Anche se, ovviamente, alcuni sono più responsabili di altri, non avendo corrisposto moralmente ai mandati popolari per la gestione del bene comune, ognuno di noi con i suoi silenzi e le sue passività, ha permesso che ciò avvenisse. È troppo semplice puntare il dito sugli altri senza domandarci cosa noi abbiamo fatto e magari avere anche il coraggio di affermare, per giustificarci, che “fanno tutti così”. Lo stesso avviene anche a livello professionale dove è presente, come in altri ambiti, la cultura della lamentela.
Tanti eseguono svogliatamente il proprio lavoro, si presentano in ritardo, fanno assenze improvvise e ingiustificate che mettono in difficoltà il servizio scaricando sui colleghi gli oneri. Anche in questo caso, per quelli sempre pronti a difendere i propri diritti ovviamente disgiunti dai doveri, la colpa è degli altri: della struttura male organizzata, dei troppi carichi di lavoro, della carenza di personale. È vero, che possono esserci queste carenze, ma spesso la causa va ricercata nella bisaccia posta sulla schiena e che apriamo raramente.
Anche nella comunità ecclesiale, a volte, ritroviamo atteggiamenti analoghi. Tanti affermano che la gestione delle varie attività parrocchiali sia compito solo dei preti. I più, di fronte ad una proposta, ad un’iniziativa, richiesti di una collaborazione rispondono: “Se avessi tempo… se la mia casa fosse diversa… se mia moglie o mio marito avessero un altro carattere… se la gente fosse più simpatica… se I’impegno fosse in un altro giorno della settimana…, allora mi impegnerei, ma adesso, qui, non posso, mi dispiace!”

“Se mi va, se posso, se mi sento, se ho voglia, se mi piace, se ho tempo…”; piccole bugie quotidiane per difendersi dalla fatica delle scelte e dagli impegni in una società egoista e pavida. Si ha I’impressione che questo ritornello cresca in proporzione inversa alla fede: diminuisce la fede, aumentano le scuse e il disimpegno.2014-01-25_170504

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