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“SOLO STRESS” INVECE HA UN ANEURISMA/ Morire di abbandono in un sistema nato per proteggerci

Un aneurisma cerebrale scambiato per un caso di stress ha condannato a morte una studentessa di 14 anni. Una negligenza scandalosa, una sfida per la medicina.

Il senso comune si ribella davanti alla sola ipotesi che si possa morire a 14 anni per una diagnosi sbagliata. Eppure è accaduto poche settimane fa ad una ragazza che si è sentita male a scuola: il suo malore è stato scambiato per un semplice stress ed è stato curato in modo coerente con una diagnosi sbagliata. Eppure i segnali d’allarme c’erano tutti e avrebbero dovuto impedire una diagnosi così superficiale. Quando una persona perde sangue dalla bocca e dalle orecchie è ben difficile poter parlare di stress!

Secondo i fatti raccolti tra i compagni e i docenti, la ragazza, studentessa del liceo classico Orazio, si è sentita male appena arrivata a scuola, subito. Ha cominciato a perdere bava e sangue dalla bocca, prima ancora dell’inizio delle lezioni, alle otto e mezza, e ha logicamente detto di non sentirsi bene. Davanti ad un quadro così eclatante di malessere è stata trasportata all’ospedale Pertini, al pronto soccorso più vicino, come vuole la legge. Ma qui accade l’incredibile: invece di assegnarle un codice rosso, o tutt’al più giallo, come avrebbe richiesto la doppia emorragia dal naso e dalla bocca, la si lascia per tre ore sdraiata su di un lettino, in stato di totale incoscienza. I medici hanno parlato di stress, minimizzando la sintomatologia presentata dalla ragazza, invece — come ha confermato prima la Tac e poi l’autopsia — si trattava di aneurisma cerebrale. Il trasferimento dal Pertini al Bambin Gesù per un intervento di neurochirurgia è risultato vano e la giovane è morta. Ci sono molti interrogativi che attendono risposta, pur senza voler anticipare i risultati dell’indagine per omicidio colposo a carico di ignoti indetta dalla procura di Roma, dopo la denuncia dei familiari.

Né basterà la classica inchiesta indetta dal ministro della Salute per restituire a questa ragazza la vita; e forse non servirà neppure ad identificare responsabilità più o meno gravi del personale sanitario, secondo la buona prassi della legge Gelli. Non vogliamo neppure sapere se si tratta più o meno di un caso di malasanità: vorremmo solo che questo fatto non si ripetesse più!

E per questo urge assumere una serie di misure di governance della salute, che restituiscano ad ogni pronto soccorso la dignità che merita e che l’attuale stato semi-confusionale dei suoi corridoi e delle sue sale d’attesa non consente. Troppi e troppo spesso inutili gli accessi al pronto soccorso, che ne ingolfano le richieste, impedendo di concentrarsi sulle vere urgenze. Ma il paziente va al pronto soccorso mosso più che dall’urgenza del suo bisogno dalla sicurezza di trovare qualcuno che prima o poi si prenderà cura di lui. Manca il filtro fondamentale del territorio, la rete poliambulatoriale dei medici di famiglia, le famose case della salute, che potrebbero soddisfare molte delle richieste poste dai malati. E’ mancata una corretta assegnazione del codice giusto! Nessun paziente in codice rosso attende tre ore prima di fare una Tac! E’ mancata però anche quella intelligente lettura delle emergenze che avrebbe consigliato di portare subito la ragazza al Bambin Gesù: l’ospedale pediatrico di eccellenza della città di Roma. Forse lì avrebbero interpretato diversamente la sintomatologia di una adolescente, che per quanto stressata, non perde certamente sangue dalla bocca e dal naso. L’osservazione dell’emergenza pediatrica avrebbe suggerito subito un diverso approccio all’approfondimento diagnostico e la Tac avrebbe potuto essere fatta subito, con un invio diretto in sala operatoria, senza ulteriori attese. Ma, nella narrazione dei genitori, è mancato anche quel dialogo con i medici che avrebbe dovuto consentire subito un diverso comportamento davanti alla perdita di coscienza della figlia. Un dialogo che avesse consentito ai medici di capire subito chi era la ragazza che avevano davanti, la sua maturità e il suo equilibrio emotivo e psicologico. Non si trattava certamente di una sorta di svenimento adolescenziale legato alle tante cause possibili.

Difficile a questo punto ricostruire la filiera delle responsabilità e ancor più difficile attribuire quelle colpe che non richiameranno in vita la ragazza. Perché una cosa è certa: un aneurisma ben operato, dopo un’adeguata fisioterapia, lascia intatte tutte le capacità di una persona. Ma il segreto è intervenire il prima possibile, prima che l’emorragia cerebrale faccia danni irreversibili. E questo è ciò che spiace più di tutto: la scienza e la tecnica medico-chirurgica oggi consentono veri e propri miracoli, purché sia fatta una diagnosi esatta nel tempo più breve possibile. Ed è questo che è mancato a questa giovane studentessa liceale.

Paola Binetti

Il Sussidiario.net, 22 novembre 2017

24 novembre 2017

“Solo stress”, invece ha un aneurisma. Morire di abbandono in un sistema nato per proteggerci

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