Giacomo Rocchi

Il 9 febbraio, come ogni anno dal 2010 cioè dal primo anniversario della morte di Eluana Englaro,  si è celebrata la “Giornata Nazionale degli Stati Vegetativi” per sensibilizzare l’opinione pubblica a questa tipologia di malati che in Italia sono circa 3.000. Anche noi vogliamo approfondire l’argomento con la finalità di correggere stereotipi e idee errate presenti in molti.

DISTINZIONE TRA “COMA” E  “STATO VEGETATIVO PERSISTENTE”

“Coma” e “stato vegetativo”, non sono sinonimi, ma situazioni notevolmente diverse.

Il coma è la perdita di coscienza causata da un danno subito dalla corteccia celebrale. Rende la persona  totalmente incapace di relazionarsi con l’ambiente e per continuare a vivere, il più delle volte, gli organi vitali del malato, sono supportati da dispositivi medici. Il coma, ha alcuni gradi di profondità, a secondo della sede e della lesione subita: superficiale, medio, profondo e depassè (morte cerebrale). Si evolve con tre modalità: la guarigione, lo stato vegetativo persistente o la morte.

Nello stato vegetativo, il malato oltre che essere autonomo nelle funzioni organiche, cioè non è supportato da nessun dispositivo medico, apre gli occhi, riprende il ritmo sonno-veglia, riacquista una mimica espressiva, evidenzia reattività agli stimoli esterni, a volte ride o piange. Ad esempio, nell’ottobre 2009, nella clinica di Erlagen, in Baviera, una donna di quarant’anni, diede alla luce un bambino sano. È definito persistente, quando perdura da oltre due anni e le possibilità di guarigione diminuiscono.

LO STATO VEGETATIVO PERSISTENTE E’ SEMPRE DEFINITIVO?

Il “risveglio” non può essere escluso aprioristicamente; la scienza, sull’ argomento, è notevolmente approssimativa. Abbiamo assistito, a livello nazionale e internazionale, ad alcuni risvegli dopo vari anni. Un esempio, tra i molti, è Massimiliano Tresoldi di Carugate (Mi). “Max, nel 1991, fu vittima di un terribile incidente stradale, rimase in stato vegetativo persistente per dieci anni, dal quale ne uscì nove anni fa. Ce l’ha fatta 1grazie ai suoi genitori che per anni hanno lottato contro tutti e hanno sacrificato tutto per lui. Afferma la mamma: ‘Mio figlio capiva tutto quando era in stato vegetativo. Nessuno se lo sa spiegare, nemmeno i medici, ma lui ricorda perfettamente i discorsi che abbiamo fatto quando lui non era cosciente. Stava sdraiato con gli occhi aperti, non comunicava, ma capiva tutto: di questo noi abbiamo la certezza (…). Io ho scelto, quando mio figlio era ancora in coma, consapevole dei rischi, di interrompere quell’alimentazione forzata e di tornare a imboccarlo con pazienza ed amore ogni giorno. Certo è stato un lavoro lungo, ma vederlo rifiorire e recuperare peso è stato per noi una grande ricompensa’ “ (La Gazzetta della Martesana, 9 febbraio 2009, 11) (cfr Lucrezia Povia Tresoldi et al, Adesso vado al Max. Massimiliano Tresoldi, 10 anni di «coma» e ritorno, Ancora 2012). Accanto a Max, la letteratura dei risvegli, è ricca di vissuti commoventi. Terry Wallis, statunitense, in stato vegetativo dal 1984 al 2003. Jan Grzebski, polacco, dal 1988 al 2007. Rom Houben, belga, dal 1988 al 2009, Salvatore Crisafulli, italiano, dal 2003 al 2006 (cfr www.salvatorecrisafulli.it). Questi, ed altri casi, sono sufficienti per esigere dai medici e dall’opinione pubblica un approccio più cauto, soprattutto nell’affermare l’inutilità della cura e dell’assistenza per questi malati.

IL GRADO DI PERCEZIONE

Le storie dei risvegliati posseggono dei tratti comuni. Tutti hanno narrato il loro stato di “non vita” solo apparente. Udivano i discorsi ed avvertivano gli stimoli esterni; di conseguenza, la disperazione, era procurata dall’impossibilità e dall’incapacità di comunicare.

1Studi recenti hanno dimostrato con sistemi sofisticati che in alcuni pazienti si attivano aree celebrali di fronte a determinati stimoli. Di conseguenza, la loro, non è una veglia priva di coscienza. Negli ultimi dieci anni, inoltre, sono state pubblicate numerose ricerche in prestigiose riviste internazionali riguardanti le attività di “coscienza sommersa” in questi malati, anche in assenza di consapevolezza*.

La riflessione sull’ attitudine di percezione ci porta centro del problema: l’ammalato in stato vegetativo persistente è una persona? Alcuni medici 1anche tra i più noti, e purtroppo opinion leaders, reputano che questi malati muoiono il giorno dell’ inizio dello stato vegetativo,  oppure giudicano la loro esistenza affine a quella dei vegetali. Ma come ricorda G. Rocchi, questa posizione “è scientificamente improponibile; una persona è viva o morta: tertium non datur” (Il caso Englaro. Le domande che bruciano, Edizioni Studio Domenicano 2009, 49), non essendoci in natura una terza eventualità di intermedialità tra vita e morte. E’ opportuno evidenziare, scrive Rocchi, che la constatazione di morte è legata oltre che alla sospensione del battito cardiaco all’interruzione dell’attività cerebrale determinata da tre condizioni: lo stato di incoscienza, l’assenza di riflessi del tronco e di respirazione spontanea e il silenzio elettrico celebrale protratto per un convenzionale periodo di tempo. Negli ammalati in stato vegetativo persistente queste condizioni sono assenti; il loro cuore funziona regolarmente e  spontaneamente e il loro cervello opera. Da ciò deduciamo che tutti i pazienti in stato vegetativo persistente, sono persone perfettamente e totalmente vive (Cfr.: Il caso Englaro. Le domande che bruciano, op. cit., pp. 50-51).

1Ecco il commento di due Papi. Benedetto XVI: “le persone in situazione di stato vegetativo persistente, anche quelle che vivono in questo stato da molti anni, possono percepire l’amore, l’attenzione, l’affetto di chi sta loro intorno” (22 aprile 2011). San Giovanni Paolo II: “Un uomo, anche se gravemente malato o impedito nell’esercizio delle sue funzioni più alte, è e sarà sempre un uomo, mai diventerà un ‘vegetale’ o un ‘animale’” (20 marzo 2004).

LA CONCLUSIONE l’affidiamo ai coniugi Anita e Giorgio Gorla di Fino Mornasco (Co). Per 37 anni assistettero con immenso amore la figlia Paola in stato vegetativo persistente dall’età di quattro mesi; eravamo nel lontano 1972. Paola entrò in questa situazione dopo la somministrazione del vaccino antipertosse trivalente. Per la figlia cieca, sorda e muta, i genitori costruirono una casa su misura, con l’ascensore e la piscina per la fisioterapia. Morì per polmonite virale l’11 ottobre 2009. Per 13.505 giorni, papà e mamma, la nutrirono tramite Peg, gli posizionarono il catetere tre volte al giorno per liberarle la vescica e l’aspiratore per la 1pulizia del naso e della bocca. Il giorno del funerale, un giornalista domandò ad Anita e a Giorgio: “Tutto inutile?”. Essi risposero con un filo di voce, straziati dal dolore: “Paola ci ha reso la vita più gioiosa e più felice. Ci manca tantissimo, anche se abbiamo la certezza che, adesso, dopo 37 anni, può fare finalmente ciò che le sarebbe tanto piaciuto: correre, giocare e ammirare tutti i doni che Dio ci ha fatto. Ora può farlo e questo, potrà apparire paradossale, ci rende gioiosi e riempie almeno in parte il grande vuoto che ha lasciato nella nostra casa e nelle nostre vite. Questo pensiero ci dà forza e ci sostiene nella prova. L’amore per Paola non è stato vano; lei è stata il nostro ossigeno e la nostra ragione di vita e vogliamo ringraziare il Signore per ogni singolo giorno che ci ha concesso di trascorrerle vicino” (Avvenire, 14 ottobre 2009, 11).

* Tra i molti studi riportiamo quello di un gruppo di ricercatori dell’Università del Western Ontario (USA), coordinati dal professor Damian Cruse, che ha dimostrato che è possibile individuare lo stato di coscienza anche in questi pazienti.  Sono stati sottoposti allo studio 16 pazienti in stato vegetativo a cui veniva chiesto di stringere il pugno ogni volta che sentivano il bip. Poi, in una successiva prova, i soggetti venivano invitati a muovere le dita, ogni volta che sentivano un suono. Per avere la certezza che le risposte motorie fossero realmente la conseguenza degli ordini impartiti, i ricercatori hanno ripetuto entrambe le prove per 200 volte. Si è visto che il cervello di 3 di essi su 16 rispondeva allo stesso modo di quello dei soggetti sani (Cfr.: Bedside detection of awareness in the vegetative state: a cohort study The Lancet, vol.378, Iussue 9809, Pp.  2088 – 2094, 17 December 2011).

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