infermiere

1In questi giorni, in occasione della Canonizzazione del papa san Giovanni Paolo II molti hanno scritto riguardo alla sua vita. In questa “Pillola di saggezza” vorrei ricordare questo grande pontefice da una angolatura particolare: quella della sofferenza. Presenterò brevemente tre importanti Documenti e attingendo ai molti discorsi rivolti agli operatori sanitari presenterò un decalogo che dovrebbe guidare tutti coloro che accostano gli ammalati.

Lettera Apostolica “Salvifici doloris”

L’ 11 febbraio 1984 papa Giovanni Paolo II indirizzò alla Chiesa Cattolica la Lettera Apostolica “Salvifici doloris” per presentare e commentare una delle più laceranti esperienze umane: la sofferenza. Fu il primo documento di un pontefice che affrontò, in modo organico, l’argomento.

1Presentandolo la Lettera Apostolica, il Papa, ha riassunto anche significato: “Ho ritenuto opportuno e significativo nell’Anno Santo della Redenzione esortare tutti i cristiani a meditare, con più profondità e maggiore convinzione, sul valore insostituibile della sofferenza per la salvezza del mondo. Tale lettera vuole essere di aiuto a guardare a Cristo crocefisso e accettare il ‘Vangelo della sofferenza’ con amore e coraggio nel disegno misterioso, ma sempre amoroso, della divina provvidenza. Infatti, ciò che per la ragione rimane inscindibile enigma, per la fede alla luce del Cristo morto e risorto diventa messaggio di elevazione e di salvezza” (9 febbraio 1984) .

Da questo documento, intessuto da continui rimandi alla Bibbia, emergono tre impegni:

– il tema della sofferenza umana deve occupare un adeguato spazio nella catechesi e nell’educazione alla fede delle comunità; infatti l’azione pastorale della Chiesa in questo “settore” non può ridursi a momenti specifici ma deve abbracciare tutta l’esistenza;

– secondo l’insegnamento di Gesù, i colpiti dalla sofferenza, devono essere i privilegiati dell’attenzione e dalla solidarietà della Chiesa;

– la cura dei malati è missione di tutta la comunità cristiana.

Dunque, la speciale sollecitudine di papa Giovanni Paolo II espressa in questa Lettera deve stimolare e rinnovare l’atteggiamento di tutti coloro che operano nel settore della salute.

 Il testo è composto da otto capitoli.

Dopo un’ “introduzione generale” nella quale è evidenziato che la Chiesa è tenuta a ricercare I’ incontro con l’uomo in modo particolare “sulla via della sua sofferenza” poiché questa è inseparabile dall’esistenza terrena di ogni persona (cfr.: nn. 1-4) , è presentata la sgradevole esperienza del dolore e della sofferenza che non può essere ridotta unicamente alla malattia (cfr.: nn. 5-8).

Di seguito si tratta dei rapporti tra la sofferenza e le altre dimensioni della natura umana:rapporto tra sofferenza e malattia; infatti la sofferenza è più ampia e più complessa della malattia; rapporto tra sofferenza e male; infatti la sofferenza fa sgorgare nel cuore delI’uomo I’interrogativo: “cosa ho fatto di male?”; rapporto tra sofferenza e solidarietà .

Nella “terza parte” si ricercano della risposta ai “perché” sul senso della sofferenza, sul valore della sofferenza, sull’interpretazione della sofferenza dell’ innocente. Con questi paragrafi si vuole sfatare un’idea ancora diffusa: la diretta connessione tra peccato individuale e sofferenza come espressione punitiva per delle colpe (cfr.: nn.9-13).

La “quarta parte” s’intitola “Gesù Cristo: la sofferenza vinta dall’amore” (cfr.: nn.14-18). Qui si rileva che il Signore Gesù nel suo itinerario terreno ha vinto per sempre il peccato e la morte; la parola ultima e definitiva non è più loro ma di Cristo. Tutto avvenne mediante “un itinerario di amore”: Dio dona il suo Figlio al mondo e il Figlio accetta la sofferenza e la morte.

Il contenuto della “quinta parte” è riassunto nel titolo: “Noi partecipiamo delle stesse sofferenze di Cristo” (cfr.: nn. 19-24). Il Papa, prendendo come riferimento alcuni brani delle lettere di san Paolo, illustra sinteticamente la teologia della croce e della gloria per evidenziare come avviene, anche oggi, la partecipazione mistica alla corporeità storica del Cristo sofferente.

La sesta parte, “Il Vangelo della sofferenza” (cfr.: nn. 25-21), pone l’accento sul valore della testimonianza anche attraverso questo aspetto con I’ accettazione della sofferenza personale e delle sofferenze apostoliche che il seguire il Signore Gesù comporta.

E sull’esempio di Cristo, ogni uomo è invitato a essere il “buon Samaritano” del Vangelo (cfr.: nn. 28-30), personaggio principale della “settima parte”. E il buon Samaritano mostra che il Vangelo è I’antitesi della passività di fronte alla sofferenza (cfr.: n.30).

L’ impegno a lottare per lenire il dolore dell’uomo deve impegnare tutti, particolarmente chi opera nella sanità: questo è l’insegnamento dell’ “ottava parte”.

La Lettera Apostolica è riassumibile in sei argomenti:

– cos’è la sofferenza;

– perché esiste la sofferenza;

– Cristo, mediante un gesto d’amore, ha dato il senso alla sofferenza;

– il cristiano è invitato a partecipare alle sofferenze di Cristo;

– vivendo il vangelo della sofferenza;

– assumendo le caratteristiche del buon Samaritano.

 Motu proprio “Dolentium Hominum”

1Con questo documento (11 febbraio 1985), il beato Giovanni Paolo II costituì la “Pontificia Commissione per la Pastorale degli Operatori Sanitari”. Il Pontefice, dopo aver enunciato le motivazioni della sua decisione, specifica le finalità del nuovo Organismo: diffondere, spiegare e difendere gli insegnamenti della Chiesa in materia di sanità e favorirne la penetrazione nella pratica sanitaria; seguire con attenzione e studiare orientamenti programmatici e iniziative concrete di politica sanitaria, a livello sia internazionale che nazionale, al fine di coglierne la rilevanza e le implicanze per la pastorale della Chiesa (cfr.: DoH. n. 6).

Si tratta di un documento di spiccata importanza pratica, perché crea nella Chiesa l’0rganismo che può convogliare, animare ed articolare quanto nel vasto ambito della sanità viene fatto nel nome del Vangelo.

 Istituzione della Giornata Mondiale del Malato

L’11 febbraio 1993, memoria liturgica della Beata Maria Vergine di Lourdes, papa Giovanni Paolo II stabilì che la Chiesa Universale celebrasse la “Prima Giornata Mondiale del Malato”.

1Nella lettera di Istituzione inviata al cardinale Fiorenzo Angelini , indicò, oltre che il modo di celebrarla, alcune finalità: sensibilizzare il Popolo di Dio e di conseguenza le molteplici Istituzioni sanitarie cattoliche e la stessa società civile, alla necessità di assicurare la migliore assistenza agli infermi; richiamare l’importanza della formazione spirituale e morale degli operatori sanitari; far meglio comprendere l’importanza dell’assistenza religiosa agli infermi da parte dei sacerdoti diocesani e regolari, nonché di quanti vivono ed operano accanto a chi soffre.

 Decalogo per chi accosta e assiste gli ammalati

Un’immagine abitudinale delle udienze del beato Giovanni Paolo II, come oggi di papa Francesco, era il suo essere paternamente chinato sulla persona malata con delicatezza e comprensione, desideroso di confortare e di lenire ogni dolore umano. Inoltre, con i suoi discorsi, ha offerto un modello pedagogico di assistenza agli operatori sanitari. Lo presentiamo sotto forma di decalogo.

1. L’operatore sanitario vive la sua professione come una “nobile vocazione”.

Ha affermato papa Giovanni Paolo II, parlando a Southwark (Inghilterra): “…vorrei dire a voi medici, infermieri ed a tutto il personale ospedaliero: la vostra è una nobile vocazione, perché si ha l’occasione di prendersi cura, aiutare e dare sollievo all’uomo che sta vivendo uno dei momenti più difficili della vita. In nessuna professione o missione serve tanta attenzione per l’altro come in quella sanitaria” (28 maggio 1982).

2. L’operatore sanitario deve porre alla base del suo servizio una “seria preparazione” professionale, etica e morale.

Oltre ad una doverosa preparazione tecnica per sapere “come” e “dove” intervenire, é richiesta anche una conoscenza etico-morale per sapere ciò che é lecito fare, dato che: “il corpo umano, la carne dell’uomo di cui si stanno esplorando tutti i segreti fisici e biologici é sacra; il divino vi abita” (20 settembre 1993) . Questa preparazione é necessaria oggi più che mai essendoci “forme di avanzamento scientifico che non coincidono con l’autentico bene dell’uomo: il progresso scientifico dell’uomo si risolve, in tali casi, in un regresso umano che può preludere anche a esiti drammatici. Per resistere alla suggestione di simili prospettive é indispensabile disporre di riferimenti antropologici, etici e morali adeguati, alla cui elaborazione molto potrà contribuire la riflessione sui dati della rivelazione cristiana” (7 gennaio 1979).

3. L’operatore sanitario “ama la vita” ed è a servizio della vita.

“Dio creò l’uomo a Sua immagine (…) maschi e femmine li creò (cfr. Gen. 1,27); l’uomo, come essere fornito di intelligenza e di libera volontà, desume il diritto alla vita direttamente da Dio, di cui é immagine, non dai genitori, né da qualsiasi società o da autorità umana. Dio soltanto può, quindi, disporre di tale suo dono singolare: ‘Io, Io solo sono Dio e nessun altro é Dio come me. Sono Io che faccio morire e resuscito, sono Io che ferisco e risano e non c’é nessuno che si possa liberare dal Mio potere’ (Dt. 32,39). L’uomo, dunque, possiede la vita come un dono, della quale non può però considerarsi padrone; per questo, della vita, tanto propria che altrui, non può sentirsi arbitro: il ‘servizio alla vita’ é stato ed é la ragion d’essere essenziale di questa professione” (26 gennaio 1980). E la vita , oggi soprattutto, é minacciata, in 1varie fasi, a causa di numerose azioni; si pensi all’aborto: “Finanziato con il contributo del denaro pubblico, é facilitato dalle leggi umane con un insieme di argomentazioni, di cui, in verità, non é difficile vagliare l’inconsistenza e la capziosità. In realtà l’aborto é una grave sconfitta dell’uomo e della società civile. Con esso si sacrifica la vita di un essere umano a beni di valore inferiore, adducendo motivi spesso ispirati da mancanza di coraggio e di fiducia nella vita e talora dal desiderio di un malinteso benessere”(25 gennaio 1986). Si pensi all’Eutanasia: “come già si é verificato per l’aborto, l’accettazione sociale dell’eutanasia é in crescita e la condanna morale resta inascoltata” (24 febbraio 1980), oppure all’affacciarsi di varie scoperte scientifiche: “Si consideri l’implicita pericolosità che il diritto dell’uomo alla vita subisce dalle stesse scoperte nel campo dell’inseminazione artificiale, del controllo delle nascite e della fertilità, dell’ingegneria genetica, dei farmaci della psiche, dei trapianti d’organo…”(27 ottobre 1980).

4. L’operatore sanitario pone la “carità” alla base della sua professione.

“I vostri pazienti hanno bisogno, sì, della vostra scienza, competenza e servizio, ma richiedono altresì molta comprensione e molto amore. Una scienza fredda, che non s’immedesimi con chi soffre e non ne percepisca tutti i riflessi psicologici, come ansie, la sfiducia, la ribellione, la rassegnazione, non li cura perfettamente. Ecco allora l’importanza della carità cristiana nell’esercizio della vostra arte: é tanto più facile, tanto più bello, tanto più meritorio quando si assiste il dolore umano per l’amore di Cristo, il grande misterioso Paziente, che soffre in ciascuno di coloro sui quali si curva buona e saggia la vostra professione” (10 ottobre 1989) .

5. L’operatore sanitario sa che chi gli sta di fronte é un “uomo”.

La malattia isola la persona dal “mondo” in cui era abituato a vivere: “il malato é un ‘solo’, un solitario, si sente quasi diviso da un abisso dagli altri che stanno bene, che hanno la loro vita”(12 aprile 1992). La struttura sanitaria, molte volte, rischia anche di trasformare il “qualcuno” in “qualcosa”. “Il secolarismo, che pretende di affermare e promuovere i valori umani staccandoli dalla religione e proclamandoli autonomi da Dio, sta operando un cambiamento di mentalità e di sensibilità anche nei confronti1 della malattia. Gli ospedali, le cliniche, le case di cura, diventano talvolta luoghi dove gli ammalati sono affidati alle sole risorse della tecnica e della scienza, come uniche armi di guarigione e di salvezza. Così, spesso, il malato è relegato nell’anonimato e rimane solo con un dramma che i farmaci e gli interventi non riescono a far superare”(24 ottobre 1986). L’obiettivo da raggiungere é: “Cercate di non ridurre il malato a un oggetto di cura, ma farne compagno in una guerra che é la sua guerra” (24 ottobre 1986).

A questo punto, si concretizza il “decalogo” presentando delle “indicazioni pratiche” sul comportamento da assumere nei riguardi del malato.

6. L’operatore sanitario è “ricco di umanità”.

“E’ necessario impegnarsi in una ‘ri-personalizzazione’ della medicina che, portando nuovamente a una considerazione più unitaria del malato, favorisca l’instaurarsi di un rapporto più umanizzato” (12 novembre 1987). E per stabilire rapporti più umani, serve innanzitutto una forte “comprensione”: “Sapete bene che chi soffre non cerca solo il sollievo al suo dolore o alle sue limitazioni, ma cerca anche il fratello o la sorella capaci di comprendere il suo stato d’animo, che lo aiuti ad accettare se stesso e a sopportare questa vita” (23 ottobre 1986). Dall’atteggiamento di comprensione 1nasce il dialogo: “il rapporto malato-operatore sanitario, deve tornare a basarsi su di un dialogo fatto di ascolto, di rispetto, d’interesse… ciò consentirà al malato di sentirsi capito per quello che veramente é: un individuo che ha delle difficoltà nell’uso del proprio corpo o nell’esplicazione delle proprie facoltà; ma che conserva intatta l’intima essenza della sua umanità, i cui diritti alla verità e al bene, tanto sul piano umano che su quello religioso, attende di veder rispettati”(23 ottobre 1986). Il dialogo inoltre deve aprire alla “speranza”: “Una delle più intense forme di sofferenza, che la persona umana può sperimentare, deriva dalla tentazione di rinunciare alla speranza: speranza in un’eventuale o possibile guarigione, speranza nella propria capacità di superare una particolare malattia, speranza di ritornare a una vita normalmente felice e produttiva. La vostra professione offre la promessa di un futuro più luminoso a chi conosce per esperienza personale le molte frustrazioni e i conflitti che nascono dalla sofferenza umana”(1 giugno 1984) .

7. L’operatore sanitario crea un “clima sereno nell’ambiente dove lavora”.

“Fate in modo che nei centri ospedalieri si senta uno spirito di amicizia e di famiglia nonostante le difficoltà continuamente emergenti, la pressione del lavoro e delle esigenze, la stanchezza per certi servizi assillanti e opprimenti” (23 marzo 1985). 1Rivolgendosi agli ospedali cattolici, aggiunge: “L’Ospedale cattolico poi, essendo tenuto a dare testimonianza di Chiesa, deve rivedere a fondo l’organizzazione affinché essa rifletta sempre meglio i valori evangelici, già presenti nelle direttive sociali e morali del Magistero; e non si lascino assorbire dai ‘sistemi’ che mirano solo alla componente economico-finanziaria e agli aspetti clinico-patologici; sappia stare sempre più vicino all’uomo e assisterlo di fronte alle ansietà che lo investono nei momenti più critici della malattia; sappia creare una cultura diretta a umanizzare la medicina e la realtà ospedaliera”(13 febbraio 1982).

 8. L’operatore sanitario chiede aiuto a Dio nella “preghiera”.

“Sappiamo tuttavia che le forze umane non sono sufficienti da sole a far fronte a compiti tanto alti e impegnativi. E’ necessaria la preghiera, vera medicina del corpo e dello spirito, canale e ponte della nostra speranza. Di fronte a Gesù che sanava, un uomo, che implorava guarigione, chiese al Signore di accrescere la sua fede. Quella sua domanda era una preghiera, e forse da nessun luogo della terra, come dai luoghi destinati ad accogliere persone provate dalla sofferenza, la domanda di fede é sincera e spontanea, essenziale e, insieme, efficace. Preghiera individuale, personale, intima, ma anche preghiera comunitaria, invocazione collettiva, capace di chiamare a raccolta quanti condividono questo servizio alla vita, pur nella diversità della condizione e delle mansioni. Il mio pensiero va, in questo momento, alla Santa Messa che spesso è celebrata nelle corsie di questo ospedale: in essa, Cristo si fa sacramentalmente presente realizzando un’autentica comunione tra i malati e chi lavora accanto ad essi” (3 luglio 1987) .

9. L’operatore sanitario “ama la sua professione”.

“…Amate la vostra professione! Essa é una grande scuola per voi e per la società. Poiché é ancora e sempre l’esempio di generosità e bontà verso i fratelli, che, più di ogni parola, trascina le anime, smuove gli animi anche i più freddi, e offre alla vita della comunità un argomento di fiducia e di stabilità morale”(13 novembre 1998).

10. L’operatore sanitario cattolico “vive questa qualifica”.

In questo modo già Papa Paolo VI esortava settecento infermieri cattolici a proposito della loro “qualifica” di “cristiani”: “Come cristiani, voi portate nella vostra professione la ricchezza splendida e impegnativa di questo nome, che conferisce a questa professione nuove risorse e responsabilità. Se il malato guarda già a voi con speranza e fiducia, lo farà tanto più perché siete cristiani, cioè consacrati a un titolo particolarissimo al servizio del prossimo, nel quale voi vedete per continuo allenamento il Cristo Gesù: ‘Ero infermo e Mi avete visitato’ (Mt. 25,36); ‘Tutto quanto avete fatto ai più piccoli dei miei fratelli, l’avrete fatto a Me’ ” (11 maggio 11969). E, il papa Giovanni Paolo II aggiunse, quasi per completare il discorso: “L’esperienza insegna che l’uomo, bisognoso di assistenza, sia preventiva che terapeutica, svela esigenze che vanno oltre la patologia organica in atto. Dall’operatore sanitario egli non s’attende soltanto una cura adeguata, cura che, del resto, prima o poi finirà fatalmente per rivelarsi insufficiente, ma il sostegno umano di un fratello, che sappia partecipargli una visione della vita, nella quale trovi senso anche il mistero della sofferenza e della morte. E dove potrebbe essere attinta, se non nella fede, tale pacificante risposta agli interrogativi supremi dell’esistenza?” (3 ottobre 1982) .