rapporto costi-benefici

BIOETICA PER TUTTI (2) – Quale modello di riferimento porre alla base delle nostre scelte o opinioni bioetiche?

Nella scorsa “Pillola di saggezza” abbiamo evidenziato cos’è la bioetica e mostrato come questa disciplina non può essere conosciuta unicamente dagli “addetti ai lavori” (bioeticisti, operatori sanitari, opinion leader…) ma da tutti coloro che vogliono essere presenti nella società come “uomini pensanti”, poiché la bioetica condiziona tutte fasi della vita dell’uomo.

Ma per portare un valido contributo anche “nella quotidianità” dove spesso si discute di tematiche definite “eticamente sensibili”  (si pensi al dibattito in corso in Parlamento sul termine vita), dobbiamo “conoscere” (è una delle finalità di questo blog) ma anche “accorgerci” che nella nostra società “plurale”, come l’ha definita il cardinale A. Scola, sono presenti varie correnti di pensiero riguardanti la vita e di conseguenza la “visione di uomo” che spesso “respiriamo acriticamente”. In questa seconda “Pillola” vogliamo evidenziarle con la finalità di comprendere perché sono inaccettabili da chi ama la vita e vuole onorare l’uomo anche se malato o fragile affinchè, come ripetuto più volte da papa Francesco, non sia ritenuto “uno scarto” della società ma possa anch’esso, accanto a noi e con il nostro supporto, vivere una degna qualità di vita.

Ecco i tre modelli che dobbiamo rifiutare: quello soggettivista o liberalista, quello sociologico-utilitarista, quello scientista-tecnologico.

Ecco il nostro modello di riferimento: il personalismo ontologico.

 

NO al “Modello soggettivista o liberalista”.

La visione soggettivista, riferimento di varie correnti filosofiche (cfr.: il liberalismo etico di K. Popper, P.R. Nozick, R. Dworkin, A.J. Ayer, K. Stevenson), dell’esistenzialismo nichilista (cfr.: J.P. Sartre) e del libertarismo (cfr.: H. Marcuse), “esaspera il principio di autonomia” esaltando la libertà individuale intesa come valore unico e assoluto, svincolata dalla legge naturale e da ogni normativa etico-morale considerate oppressive e repressive. Il modello, perciò, propone legittimo ciò che è liberamente accettato, voluto e compiuto!

Il  modello, dunque, concependo la libertà come “totale affermazione di sé”, esalta il diritto dell’uomo a non essere ostacolato nelle proprie azioni e nella realizzazione dei propri desideri, separando la libertà dal suo costitutivo legame con la verità e con la responsabilità. Ma, la libertà, privata della responsabilità è dimezzata, distruttrice di se stessa e disgregatrice della convivenza sociale poichè, esaltando i diritti soggettivi, dimentica i doveri dell’ io personale verso il tu comunitario. Rammentava il filosofo J. F. Malherbe che “il paradosso dell’autonomia è che l’autonomia non è niente, se non è reciproca. In altre parole, non c’è autonomia possibile al di fuori di un contratto sociale che ne garantisca l’esercizio. Da solo, infatti, non potrei garantirmi nessun diritto” (in AA VV, I Comitati di etica in ospedale, Paoline 1988, pg. 44). E continua affermando che, ad esempio,  il diritto al rispetto della vita precede quello della libertà,  non potendo dimenticare che per “essere liberi” è indispensabile “essere vivi”. Perciò,  la vita, precede la libertà! Il modello, applicato alla bioetica, manifesta che quando un uomo fragile o bisognoso di cura, turba i propri equilibri, la soppressione è stimata legittima ed anche “una scelta di libertà”. Chiari esempi sono l’aborto e l’eutanasia.

 NO al “Modello sociologico-utilitarista”.

Il modello radicato nel “principio di utilità” (cfr.: J. Bentham, H. Kuhse, J.Rachels, J. S. Mill, M.Tooley, P. Singer), fa “equivalere il bene all’utile”, giudicando l’azione esclusivamente sulla base delle conseguenze prodotte. Rispetto al  precedente, questo, compie il passaggio dall’individualismo al soggettivismo della maggioranza utilizzando come criterio valoriale e di giudizio la cultura di un popolo o di un’epoca. Inoltre, determina il valore della singola azione prevalentemente sulla base del “rapporto costo-beneficio”, oppure dal vantaggio derivante al maggior numero di individui. Da ciò si comprende “il rischio” per il futuro del malato se il rapporto costi-benefici fosse l’ elemento di valutazione nel settore socio-assistenziale o costituisse la base del concetto di “qualità della vita”. Molti, potrebbero essere privati di assistenza e quindi avviati alla morte, essendo ritenuti “troppo onerosi” per la società.

 NO al “Modello scientista-tecnologico”.

E’ il modello societario della “manipolazione dell’uomo” mediante l’ equazione tra “possibilità tecnica” e “liceità morale” (cfr.: C. Darwin, M. Weber, H. J. Heisenk, E.O Wilson). All’interrogativo: “Ciò che è tecnicamente attuabile è anche moralmente lecito?”, il modello risponde affermativamente, essendo quella scientifica l’unica verità verificabile e dimostrabile empiricamente mentre l’etica, la bioetica, come pure il diritto, sono soltanto espressioni culturali modificabili nelle varie epoche. Partendo dal presupposto che tutto è in divenire, lo scientismo definisce positivo e buono ciò che è “tecnicamente fattibile”; perciò, di fronte all’evoluzione scientifica, biologica e sociologica, i valori si devono adeguare senza porre limite alla ricerca e alla scienza.

Comprendiamo la pericolosità dell’impostazione costatando le particolari enfasi delle società attuali nei riguardi della salute e delle immense possibilità prodotte dalle scoperte scientifiche e dalle loro applicazioni sulla vita, riconoscendo, inoltre, le difficoltà nel superare le tentazioni d’intervenire nel “gioco del caso”, imponendo regole non sempre dettate dalle migliori intenzioni, dove il coinvolgimento degli esseri umani è ritenuto semplicemente un “passo necessario”. Osservando gli ultimi periodi troviamo l’attuazione di questo modello nelle ricerche applicate all’editing genetico, alla procreazione medicalmente assistita, alla maternità surrogata, al cambio di sesso… fino a giungere al folle progetto della clonazione umana.

 SI al “Modello personalista ontologico”.

La “centralità dell’uomo” come valore assoluto, e di conseguenza, “l’approccio integrale” alla persona sono le basi della corrente di pensiero denominata “personalismo”. Tutti i filosofi personalisti concordano che l’uomo è il centro del creato e il soggetto primario dell’universo (cfr.  E. Mounier, J. Maritain, A. Rosmini).

“Il personalismo – scrisse Mounier – è uno sforzo integrale per comprendere e per superare la crisi dell’uomo nella sua totalità” (Il Rinascimento, Esprit 12/1931). “Uomo”, interpretato come “una tensione fra le sue tre dimensioni: quella che sale dal basso e l’incarna in un corpo; quella che è diretta verso l’alto e la solleva ad un universale; quella che è diretta verso il largo e la porta verso una comunione. Vocazione, incarnazione, comunione sono le tre dimensioni della persona” (Le personnalisme, Presses Universitaires de France 1950, pg. 52). Quello presentato da Mounier è anche un “personalismo comunitario”; nel suo pensiero la persona non è un’entità giuridica da difendere nei confronti della collettività, ma un soggetto impegnato fin dalla nascita in una comunità. Per questo, sottolineava l’apertura dell’uomo alla trascendenza, partendo dal suo legame essenziale con l’universo. Dunque, per il modello personalista ontologico, “la dignità” è il fattore costitutivo della persona, perciò un valore da rispettare pienamente in tutte le fasi dell’esistenza; dal concepimento alla morte naturale. La dignità umana è il valore universale e il legame che unisce tutti gli esseri umani. Tommaso d’Aquino sosteneva che la persona umana rappresenta “l’essere più perfetto della natura” (Summa Theologiae, I, q.29, a, 3g.); perciò, ledendola, si infligge una ferita alla società nelle sue radici e nel suo vertice.

“Il bene della persona” nella sua unitotalità dovrebbe costituire anche il “nostro criterio” di giudizio, di decisione e di azione.

(seconda continua)

 

 

15 settembre 2017

“BIOETICA PER TUTTI” (2) – Quale modello di riferimento porre alla base delle nostre scelte o opinioni bioetiche?

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