Salvifici doloris

“APPUNTI DI PASTORALE DELLA SALUTE” (3) – I DOCUMENTI DEL MAGISTERO DELLA CHIESA RIGUARDANTI LA PAsTORALE DELLA SALUTE.

Molteplici sono i Documenti del Magistero della Chiesa riguardanti la Pastorale della Salute. Noi ne evidenzieremo tre che riteniamo i principali: la Lettera Apostolica “Salvifici doloris” di san Giovanni Paolo II; “La Pastorale della Salute nella Chiesa Italiana”, della Consulta Nazionale CEI per la Pastorale della Sanità; “Predicate il Vangelo e Curate i Malati. La comunità cristiana e la Pastorale della salute” della Commissione Episcopale per il Servizio della Carità e della Salute.

Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica “SALVIFICI DOLORIS (1984)

PREMESSA

L’ 11 febbraio 1984 san Giovanni Paolo pubblicò la Lettera Apostolica: “Salvifici doloris” presentando e commentando la lacerante esperienza della sofferenza. La Lettera, composta da 8 capitoli suddivisi in 31 paragrafi, fu il primo documento di un pontefice che affrontò sistematicamente l’argomento.

Presentando il testo il Papa riassunse anche significato: “Ho ritenuto opportuno e significativo nell’Anno Santo della Redenzione esortare tutti i cristiani a meditare, con più profondità e maggiore convinzione, sul valore insostituibile della sofferenza per la salvezza del mondo. Tale Lettera vuole essere di aiuto a guardare a Cristo crocefisso e accettare il ‘Vangelo della sofferenza’ con amore e coraggio nel disegno misterioso, ma sempre amoroso, della divina provvidenza. Infatti, ciò che per la ragione rimane inscindibile enigma, per la fede alla luce del Cristo morto e risorto diventa messaggio di elevazione e di salvezza” (9 febbraio 1984).

Dal Documento, ricco di riferimenti biblici, emergono tre impegni.

-La sofferenza umana deve assumere un adeguato spazio nella catechesi e nell’educazione alla fede delle comunità; di conseguenza, l’azione pastorale della Chiesa in questo settore, non può ridursi ad occasioni particolari.

-I sofferenti devono essere i “privilegiati” dalla Chiesa.

-La cura dei malati è un impegno di tutta la comunità cristiana.

 GLI OTTO CAPITOLI DELLA LETTERA APOSTOLICA

Come seguito ad un “introduzione generale” che evidenzia che la Chiesa deve perseguire I’ incontro con l’uomo particolarmente “sulla via della sofferenza” essendo inseparabile dall’esistenza della persona (cfr.: nn. 1-4): “il tema della sofferenza è un tema universale che accompagna l’uomo ad ogni grado della longitudine e della latitudine geografica: esso, in un certo senso, coesiste con lui nel mondo, e perciò esige di essere costantemente ripreso” (n. 2), è esposta la sgradevole esperienza del dolore (cfr.: nn. 5-8).

Di seguito sono analizzati “i rapporti” tra la sofferenza e le altre dimensioni umane:

-rapporto tra “sofferenza” e “malattia” essendo la sofferenza più ampia e più complessa della malattia;

-rapporto tra “sofferenza” e “male” generando I’interrogativo: “cosa ho fatto di male?”;

-rapporto tra “sofferenza” e “solidarietà”.

Nella “terza parte”, il Papa, indaga sulle risposte riguardanti il significato e il valore della sofferenza, soprattutto quella dell’ innocente. Con questi paragrafi, Giovanni Paolo II, corregge un opinione comune errata: il rapporto tra “peccato individuale” e “sofferenza” come punizione per le colpe commesse (cfr.: nn.9-13).

La “quarta parte” è intitolata: “Gesù Cristo: la sofferenza vinta dall’amore” (cfr.: nn.14-18). Il Signore Gesù ha sconfitto definitivamente il peccato e la morte; dunque “la parola ultima e definitiva” non è loro ma del Messia. Ciò si realizzò percorrendo “un itinerario di amore”: Dio donò il suo Figlio al mondo ed Egli accettò la sofferenza e la morte.

Il contenuto della “quinta parte” è riassunto nel titolo: “Noi partecipiamo delle stesse sofferenze di Cristo” (cfr.: nn. 19-24). Il Papa, riferendosi ad alcuni brani delle Lettere di san Paolo, illustra sinteticamente “la teologia della croce e della gloria” per mostrare come si attua anche oggi la “partecipazione mistica” alla corporeità storica del Cristo sofferente.

La “sesta parte”, “Il Vangelo della sofferenza” (cfr.: nn. 25-31), mostra la rilevanza della testimonianza anche mediante I’ accettazione delle sofferenze personali e apostoliche. E, imitando l’esempio di Cristo, ogni uomo è invitato ad identificarsi con il “buon Samaritano” (cfr.: nn. 28-30) che indica che il Vangelo è I’antitesi della passività nei riguardi della sofferenza (cfr.: n.30).

L’ impegno per attenuare il dolore umano deve vincolare tutti, particolarmente chi opera nella sanità (cfr.: n. 31)

La Lettera Apostolica è riassumibile in sei temi.

-Cos’è la sofferenza.

-Perché esiste la sofferenza.

-Cristo, mediante un gesto d’amore, presenta il significato della sofferenza.

-Il cristiano è invitato a condividere le sofferenze del Signore Gesù.

-“Vivendo” il Vangelo della sofferenza.

-“Assumendo” le caratteristiche del buon Samaritano.

INTRODUZIONE

Nell’ Introduzione si afferma che la sofferenza è un percorso privilegiato per incontrare l’uomo. Già nell’Enciclica “Redemptor hominis” (1979), la prima del pontificato di san Giovanni Paolo II, dichiarava che in Cristo “ogni uomo diventa la via della Chiesa” (cfr.: n. 7). Non possiamo scordare, come brevemente accennato, che un ampio settore di apostolato del cristianesimo fu quello assistenziale concretizzato nell’accoglienza e nella cura dei fragili e dei malati.

IL MONDO DELL’UMANA SOFFERENZA

La vita è continuamente ricattata dalla sofferenza, dai pericoli e dalla morte. Malattie, calamità naturali, minacce terroristiche, violazione dei diritti dell’uomo, errori umani…, rischio di autodistruzione causato da un eventuale guerra nucleare o terza guerra mondiale “a pezzi” come più volte citato da Papa Francesco, sono sempre in agguato. Dunque, nessuna esistenza o epoca storica, sfugge al dolore! Ognuno vorrebbe eliminare queste disavventure e sviluppare la sua esistenza senza intoppi poiché la sofferenza è assurda. Di fronte a tali “illogicità” e alla quotidiana pervasa dalla fatica, dal dolore, dagli anni che scorrono velocemente, l’ uomo si interroga. Molti, come C. Bernard, affermano: “Non mi lamento di soffrire, ma di soffrire per nulla” (L. Jerphagnon, Le mal et l’esistence, Cerf, pg. 24), oppure come J. Cotureau dichiarano: “Non credo in Dio. Se Dio esistesse sarebbe il male in persona. Preferisco negarlo piuttosto che addossagli la responsabilità del male” (Thomas l’imposteur, NRF, pg. 78). Il Papa, ben conscio dell’enigmaticità e dell’intangibilità del dolore, evidenzia due considerevoli sofferenze profondamente radicate nell’umanità: la “sofferenza fisica” (il dolore del corpo) e la “sofferenza morale” (il dolore dell’anima) (cfr.: n.5).

Evidenzia, poi, alcune “esperienze” dell’Antico Testamento:

-la propria morte o quella dei figli in particolare i primogeniti e i figli unici;

-l’assenza di prole poichè tutto si concluderebbe con la propria dipartita;

-la nostalgia per la patria quando il popolo d’Israele fu esule a Babilonia;

-la persecuzione e l’ostilità dell’ambiente;

-la derisione e I’abbandono degli amici e dei vicini;

-l’incomprensione della prosperità dei malvagi e del patimento dei giusti.

In queste pagine, anche se non citati esplicitamente, sono menzionati i vocaboli di “salute” e di “malattia” secondo l’accezione oggi più diffusa che illustreremo inseguito. Infine, la salute e la malattia, non sono eventi unicamente personali ma anche societari investendo le scelte della collettività e le sfide della comunione e della solidarietà (cfr.: n. 8).

L’ INTERROGATIVO SULLA SOFFERENZA

Gli interrogativi, in questo argomento, riguardano prevalentemente “il significato”: “Perché? Che senso ha tutto questo? Che colpa ho commesso?”. Domande complesse che coinvolgono lo stesso Dio!

Un esempio, tra i più espressivi, è Giobbe, l’uomo giusto tormentato da innumerevoli avversità e sciagure. Il Libro di Giobbe esordisce narrando la prosperità di questo giusto (cfr.: 1,1-5) che, improvvisamente, s’interrompe ed egli è “messo alla prova” da orrendi e molteplici dolori (è privato dei beni, dei figli e figlie ed è soggetto a malattie mortali…). Immediatamente, in Giobbe, scaturisce la domanda: “Che cosa ho fatto di male perché Dio mi punisca cosi?” (cfr.: cap. 3). Tre vecchi conoscenti tentano di convincerlo che è gravato da disavventure che sono le conseguenze degli orrendi reati che ha commesso. E’ la punizione per le colpe di cui si è macchiato. E’ acconsentita da Dio, assolutamente giusto, per proteggere “l’ordine di giustizia” del cosmo. Giobbe contesta queste affermazioni ritenendosi vittima senza colpa di un’ingiusta punizione ma, da credente, persevera nel confidare in Dio (cfr.: 42,2-4). Il dramma più intollerabile è “il silenzio di Dio”; attende una risposta e non si dà pace finché non l’ ottiene. E questa fiducia, alla fine, è vincente! Dio rimprovera i tre conoscenti e il racconto termina affermando: “(di nuovo) possedette quattordicimila pecore e seimila cammelli, mille paia di buoi e mille asine. Ebbe anche sette figli e tre figlie (…). Dopo tutto questo, Giobbe visse ancora centoquarant’anni e vide figli e nipoti di quattro generazioni” (42,12-16). Dunque, la sua sofferenza “innocente”, deve essere accolta come un “mistero”, non potendo, l’uomo, penetrare con la sua miserabile intelligenza questo meandro. Il Libro di Giobbe, osserva il biblista G. Helewa, mostra che “un individuo può soffrire, e soffrire molto, senza che per questo debba essere ritenuto in qualche modo colpevole e da Dio punito” (Voce: “Sofferenza” in Dizionario di teologia pastorale sanitaria, Camilliane, pg. 1169). Anzi, “l’autore ha voluto farci assistere ad una metamorfosi: da grande sofferente alla ricerca di Dio quale era, Giobbe si è convertito in un grande credente che ha trovato il suo Dio” (idem, pg. 1700).

Dunque, Dio, è il “colpevole” o il “lontano” dalla sofferenza? La Dottrina della Chiesa non approva l’interpretazione che escluda totalmente Dio da questo argomento, anche se si è concordi nel riconoscere che il Creatore non è l’origine del dolore conseguenza del peccato originale e causato da svariate situazioni, come pure non condivide quella “visione dolorista” che nel passato ha mitizzato le varie afflizioni della vita. La tendenza attuale è di celebrare il pregio dell’esistenza e della salute. Da qui, l’obbligo morale, della tutela del ben-essere, anche se, sottolinea il Papa, pure i patimenti sono impregnati di significati. Ma per intuire ciò è basilare fissare lo sguardo alla “rivelazione dell’amore divino” manifestato pienamente nell’Incarnazione.

GESÙ CRISTO: LA SOFFERENZA VINTA DALL’AMORE

La parte più considerevole della Lettera è il rimando alla nascita di Cristo, descritta da san Giovanni Paolo II valendosi del testo dell’evangelista Giovanni: “Dio infatti ha tanto amato il mondo che ha dato il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv. 3,16). Dio, dunque, offre al mondo il Figlio che non abolisce la sofferenza ma le conferisce un inedito contenuto. E, il Cristo, lo ha compreso pienamente, infatti esordì nella sinagoga di Nazaret leggendo un brano del profeta Isaia ed affermando che la profezia si realizzava: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con I’unzione e mi ha mandato per annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore” (Lc. 4,18-19). Sostengono i teologi M. Flick e Z. Alszeghy: “Cristo è il Liberatore, Cristo è il Guaritore; Cristo è colui che viene a liberare la creazione dalla servitù del peccato che I’ha coinvolta e viene a ricostruire il ‘disegno prioritario’ della creazione; Cristo è colui che assumendo la natura umana dà un significato al dolore”(Il mistero della Croce, Morcelliana, pg. 155). Il Messia avrebbe liberato l’uomo dalla schiavitù, dalla sofferenza e dalla malattia, ridonandogli gli equilibri della salute fisica e morale e del rapporto con Dio, con gli altri e con la creazione. L’essenza  della riflessione del Papa è il seguente: nel mondo sono presenti la sofferenza e il male essendosi troncato I’equilibrio tra I’uomo e se stesso, tra uomo e uomo, tra uomo e cosmo, tra uomo e Dio. Ciò è riconducibile al “peccato originale”. Spiega Helewa: “Dal racconto della creazione, traspare l’ intenzione di scagionare il Creatore e di non fare risalire, alla creazione come tale, le disarmonie che rendono penosa I’esistenza umana. L’uomo soffre perché, allontanandosi da Dio, si è procurato questa disgrazia: è espulso dal giardino, (cfr.: Gn. 3, 23) ossia non è più nella condizione di avvalersi di un rapporto integro con iI suo Creatore (…).Cedere alla lusinga del tentatore (cfr.: Gn. 3,1-7) è più che un errore mentale: è una ribellione a Dio, la hybris di una creatura che si rifiuta di gestire come tale i propri giorni. Genesi, dunque, dei mali che proliferano nella storia e pesano sull’essere umano è la tremenda realtà del peccato”(idem, pp. 1664-1655).

Cristo, assumendo il dolore e la morte, situazioni comuni a tutti gli uomini, divenne realmente “uno di noi” ma, con la sua divinità, spezzò la tragica frontiera del dolore, fecondò il soffrire, schiuse il morire all’alba della risurrezione. Da ciò scaturì “la rinnovata umanità dei figli di Dio” (cfr.: Rm. 6,6) e la “nuova Gerusalemme”, quando dalla terra rigenerata si affaccerà un “inedito cielo” (cfr.: Ap. 21,1-2) e nascerà, come da un parto sofferto, la “nuova creazione” (cfr.: Rm. 8,19-22).

Questo è l’ annuncio del cristianesimo, la religione che presenta Dio coinvolto “in prima persona” nella salvezza dell’uomo. La redenzione è un gesto di amore totale poichè il Creatore liberò l’uomo “non da lontano” o dall’esterno della storia, ma “dal di dentro” e da vicino, condividendone il suo destino. Il Signore Gesù, afferma il Papa, con la croce ha mozzato il male alla radice (cfr.: n. 13). Puntualizza il cardinale G.F. Ravasi che l’esperienza del male rimane “ ‘si’ angosciante come un carcere, ma l’ingresso del Figlio di Dio in questo carcere segnò una svolta: esso non è sbarrato per sempre, in un’immanenza che si consuma in se stessa, ma viene aperto per un ‘oltre’ ” (Sulle tracce di un incontro. Soglie del mistero per credenti in cammino, San Paolo, pg. 81).

PARTECIPI DELLE SOFFERENZE DI CRISTO

Nel quinto capitolo, san Giovanni Paolo II sostiene che la sofferenza dell’uomo, condividendo quella redentiva di Cristo, è rilevante “per tutti”, per la società e per il mondo. La sofferenza “offerta” è un capitale che la persona consegna a Dio per le esigenze del cosmo e per la salvezza di tutti gli uomini. Un patimento donato anche se il corpo è profondamente ferito, totalmente inabile, incapace di agire, costituisce un’espressiva lezione per i sani e si trasforma in fonte redentrice.

Il riferimento di questa “partecipazione” è la “teologia” di san Paolo ed ha come nucleo centrale l’incorporazione a Cristo e le sue conseguenze. Essendo il battezzato porzione di un “unico corpo” con il Signore Gesù, i suoi e nostri patimenti ora sono eguali; di conseguenza, anche il dolore dell’uomo, assume un pregio di espiazione. Dunque, la redenzione di Cristo è incompleta? “No”, risponde il Papa; “questo significa solo che la redenzione, operata in forza dell’amore soddisfattorio, rimane costantemente aperta a ogni amore che si esprime nell’umana sofferenza. In questa dimensione – nella dimensione dell’amore – la redenzione già compiuta fino in fondo, si compie, in un certo senso, costantemente” (n.24). Per comprendere il pensiero dobbiamo compiere tre passaggi.

Dalla sofferenza di Cristo alla sofferenza del cristiano. Alcuni brani di san Paolo pongono in un rapporto consequenziale la sofferenza del Cristo e quella del cristiano: “Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col. 1,24). “Infatti come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così per mezzo di Cristo abbonda anche la nostra consolazione; come siete partecipi delle sofferenze così lo siete anche delle consolazioni” (2Cor. 1,5-7); (cfr. anche 2Cor. 4,8-10; Rm. 12,1).

L’incorporazione a Cristo e le sue conseguenze. E’ questo un argomento cardine della teologia paolina che ha come punto di riferimento la Seconda Lettera ai Corinzi (cfr.: 12,12-13,27) riguardante la riflessione sul corpo e sulle sue membra e la Lettera ai Romani (cfr.: 6,3-5) che esamina la rilevanza del battesimo che nei primi secoli del cristianesimo era amministrato per “immersione”. Il battezzato “riemergeva” dall’acqua “rinato a vita nuova”, cioè era, a quel punto, tutt’uno con “il corpo di Cristo” e, di conseguenza, destinato alla risurrezione e alla vita eterna.

La valorizzazione delle sofferenze “in” Cristo. Essendo ora l’uomo “un unico corpo con Cristo”, le sofferenze del Signore Gesù e quelle del battezzato sono conformi. Il sacrificio di Cristo “è completo” ma la sofferenza dell’uomo si trasforma in “espiatrice” quando la persona è “unita a Lui”.

IL VANGELO DELLA SOFFERENZA

Nel sesto capitolo, il Papa, ripropone nuovamente e più intensamente alcune nozioni già espresse precedentemente.

-Gesù ha profondamente aderito al dolore dell’uomo soffrendo fisicamente, psicologicamente e spiritualmente: invocò il conforto umano (cfr.: Mt. 26,36-40); nel Getsemani ebbe paura e pianse (cfr.: Mt. 26,42-43); colto dall’angoscia sudò sangue (cfr.: Lc. 22,39). Inoltre, non nascose agli apostoli, l’ineluttabilità della sofferenza (cfr.: Lc. 9,23; Mt. 7,13-14; Gv. 15, 18-21). Il Signore Gesù, dunque, proclamò ma soprattutto visse il “Vangelo della sofferenza”, vivificato nella storia dall’esistenza eroica di uomini e di donne che accolsero pene ed afflizioni per Cristo e per la diffusione del Regno.

-Accanto a Cristo fu sempre presente la Madonna nella quale “numerose ed intense sofferenze si assommarono in una tale connessione e concatenazione, che furono prova della sua fede incrollabile” (n. 25). E sul Calvario raggiunse il vertice del dolore. Oggi Maria è accanto teneramente e maternamente a ogni dolore umano consolando e infondendo speranza.

-Il “Vangelo della sofferenza” illuminò, inoltre, la malattia di alcuni santi trasformandola in opportunità di conversione e di santificazione. Ne sono esempi, tra i molti, san Francesco d’Assisi e sant’Ignazio di Loyola che nell’ infermità individuarono “una nuova misura di tutta la propria vita e della propria vocazione” (n. 26).

-Il “Vangelo della sofferenza” sollecita, infine, a oltrepassare l’impressione di infruttuosità che alcune situazioni d’infermità o di disabilità possono comportare, poichè “il sofferente non solo è utile agli altri ma adempie un servizio insostituibile (…). Le sofferenze umane, unite con la sofferenza redentrice di Cristo, costituiscono un particolare sostegno per le forze del bene, aprendo la strada alla vittoria di queste forze salvifiche” (n.21). Infatti “quanto più l’uomo è minacciato dal peccato, quanto più pesanti sono le strutture del peccato che porta in sé il mondo d’oggi, tanto più grande è l’eloquenza che la sofferenza umana in sé possiede. E tanto più la Chiesa sente il bisogno di ricorrere al valore delle sofferenze umane per la salvezza del mondo” (n.27).

IL BUON SAMARITANO

Il “Buon Samaritano” è l’esempio per chi assiste e cura il malato! Nel racconto evangelico si afferma semplicemente che la vittima dell’aggressione è un uomo, “un volto umano”, come quelli che incontriamo quotidianamente.

Come agì il Samaritano? San Luca elenca tre azioni: “lo vide”, “ne ebbe compassione”, “gli si fece vicino” (cfr.: 10,22). Il Signore Gesù, con questa parabola, “insegna la carità concreta” chiarendo: chi mendica l’intervento, che cosa domanda e come rispondere a questi appelli. Scrive il Papa: “La parabola del buon Samaritano appartiene al Vangelo della sofferenza. Essa indica, infatti, quale debba essere il rapporto di ciascuno di noi verso il prossimo sofferente. Non ci è lecito passare oltre con indifferenza, ma dobbiamo fermarci accanto a lui. Buon Samaritano è ogni uomo che si ferma accanto alla sofferenza di un altro uomo, qualunque esso sia. Quel fermarsi non significa curiosità, ma disponibilità (…). Buon Samaritano è in definitiva colui che porta aiuto nella sofferenza, di qualunque natura essa sia. Aiuto, in quanto possibile, efficace. In esso egli mette il suo cuore, ma non risparmia neanche i mezzi materiali. Si può dire che dà se stesso, il suo proprio ‘io’, aprendo questo ‘io’ all’altro. Tocchiamo qui uno dei punti-chiave di tutta l’antropologia cristiana. L’uomo non può ‘ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé’ – cfr.: Gaudium et spes, 29 -. Buon Samaritano è I’uomo capace appunto di tale dono di sé” (n. 28).

Parafrasando la parabola, la Lettera Apostolica, illustra le molteplici azioni da compiere.

-ll nostro rapporto con il sofferente.

-Il servizio al malato è una vocazione.

-Le espressioni costitutive del servizio.

ll nostro rapporto con il sofferente.

La parabola espone chi è il prossimo: il fratello che sollecita il nostro soccorso e la nostra vicinanza. Il racconto indica, inoltre, il rapporto da stabilire con lui: una relazione suscitata e supportata dalla commozione: “Se Cristo, conoscitore dell’interno dell’uomo, sottolinea questa commozione, la commozione del samaritano, vuol dire che essa è importante per tutto il nostro atteggiamento di fronte alla sofferenza altrui. Bisogna, dunque, coltivare in sé questa sensibilità del cuore che testimonia la compassione verso il sofferente” (n. 28).

Il servizio al malato è una vocazione.

“Il dovere” è insufficiente; deve intersecarsi con l’amore che oltrepassi le leggi, le regole e i protocolli poiché servire il malato è una “vocazione”. Dunque, chiunque assiste i malati più che una “professione” svolge una “vocazione” ed una “missione”. Per questo san Giovanni Paolo II afferma: “Quest’attività assume, nel corso dei secoli, forme istituzionali organizzate e costituisce un campo di lavoro nelle rispettive professioni. Quanto è da buon Samaritano la professione del medico o dell’infermiere, o altre simili! In ragione del contenuto evangelico, racchiuso in essa, siamo inclini a pensare, qui, piuttosto a una vocazione che non semplicemente ad una professione (n.29).

Le espressioni costruttive del servizio.

“E le istituzioni che, nell’arco delle generazioni, hanno compiuto un servizio da samaritani, ai nostri tempi si sono ancora maggiormente sviluppate e specializzate. Ciò prova, indubbiamente, che I’uomo di oggi si ferma con sempre maggiore attenzione e perspicacia accanto alle sofferenze del prossimo, cerca di comprenderle e di prevenirle sempre più esattamente. Egli possiede anche una sempre maggiore capacità e specializzazione in questo settore” (n.29). Ma attenzione, “le istituzioni sono molto importanti e indispensabili; tuttavia, nessuna istituzione può da sola sostituire il cuore umano, la compassione umana; l’amore umano, l’iniziativa umana quando si tratti di farsi incontro alla sofferenza dell’altro” (n. 29). E san Giovanni Paolo II termina: “Guardando a tutto questo possiamo dire che la parabola del Samaritano del Vangelo è diventata una delle componenti essenziali della cultura morale e della civiltà universale umana. E pensando a tutti quegli uomini che, con la loro scienza e la loro capacità, rendono molteplici servizi al prossimo sofferente, non possiamo esimerci dal rivolgere al loro indirizzo parole di riconoscimento e di gratitudine” (n.29).

La parabola del Buon Samaritano, non può lasciare tranquillo e impassibile nessuno; infatti tutti possiamo agire affinchè si riduca la sofferenza e quella esistente riacquisti “dignità” e “significatività” non unicamente soprannaturale ma anche umana (cfr.: n. 30).

 CONCLUSIONE

Le parole conclusive del Papa al commento della parabola sono una valida sintesi della Lettera Apostolica, scritta da san Giovanni Paolo II stimolato anche da sofferte esperienze personali: “Cristo allo stesso tempo ha insegnato all’uomo a fare del bene con la sofferenza ed a far del bene a chi soffre. In questo duplice aspetto egli ha svelato fino in fondo il senso della sofferenza” (n. 31).

Consulta Nazionale CEI per la Pastorale della Sanità, Nota: “LA PASTORALE DELLA SALUTE NELLA CHIESA ITALIANA” (1989)

E’ il primo Documento della Chiesa Italiana che illustra organicamente la Pastorale della Salute. La Nota è composta da tre parti distinti in 82 paragrafi.

Prima parte: “Fondamento e motivazione della pastorale sanitaria” (cfr.: nn. 5-21).

La prima parte sottolinea che nel contesto societario i concetti di persona, di salute e di malattia sono percepiti “globalmente” oltrepassando le visioni riduttive del passato. Perciò l’attività pastorale deve assumere metodologie innovative. Sono delineati, inoltre, gli “obiettivi generali”: evangelizzazione del malato, dei suoi famigliari e degli operatori sanitari; umanizzazione dell’assistenza sanitaria; sostegno alle famiglie; formazione degli operatori; sensibilizzazione del territorio (cfr.: n. 20). S’identificano anche cinque “campi d’azione”: evangelizzazione e catechesi, celebrazione dei sacramenti, umanizzazione della medicina, rilevanza dei problemi morali, ampliamento delle aree di azione dall’ospedale al territorio (cfr.: n. 22).

Seconda parte: “I soggetti della pastorale sanitaria” (cfr.: nn. 23-64).

La Nota tratta l’ identità e i ruoli di chi cura ed assiste il malato e dell’ammalato stesso identificando “otto soggetti”: comunità ecclesiale (cfr.: nn. 23-25), malati (cfr.: nn. 26-32), famigliari (cfr.: nn. 33-37), assistente religioso (cfr.: n. 38-42), religiosi (cfr.: nn. 43-48), associazioni professionali sanitarie cattoliche (cfr.: nn. 49-53), istituzioni sanitarie di ispirazione cristiana (cfr.: nn. 54-58), volontariato (cfr.: nn. 59-64).

Quattro osservazioni.

-Il primo soggetto della Pastorale della Salute è la “comunità cristiana” (cfr.: n.23), quindi non unicamente un’élite di persone ma la Chiesa locale nella sua totalità.

-Non si evidenziano solo le esigenze e le attese dei sofferenti ma che questi, riprendendo un concetto della Esortazione Apostolica “Christefidelis laici” (cfr.: nn. 53-54), sono soggetti e protagonisti dell’ evangelizzazione.

-I “famigliari” vanno accompagnati e sostenuti nel convertire la malattia di un parente in un evento produttore di significato e di speranza, sconfiggendo la solitudine relazionale.

-Specifica attenzione è rivolta “all’operatore sanitario cattolico” del quale si afferma: “Se ogni operatore sanitario deve considerare I’esercizio della professione come un servizio prestato alla persona che soffre, a maggior ragione, sono chiamati a fare proprie queste convinzioni coloro che sono mossi nel loro operare dall’esempio di Cristo” (n. 52).

Terza parte: “Le strutture della pastorale della sanità” (cfr.: nn. 65-81).

La Pastorale della Salute esige programmazione, organizzazione e strutture “di collegamento” identificate nella Consulta Nazionale, in quelle Regionali e Diocesane, nelle Cappellanie ospedaliere e nel Consiglio pastorale ospedaliero.

Commissione Episcopale per il Servizio della Carità e della Salute, NOTA: “PREDICATE IL VANGELO E CURATE I MALATI. LA COMUNITA’ CRISTIANA E LA PASTORALE DELLA SALUTE” (2006)

Il Documento fu redatto a 17 anni di distanza dalla Nota precedente in un contesto sanitario rinnovato e riformato, ed è composto da tre parti.

Per recepire meglio la Nota riportiamo il paragrafo numero 4 che traccia gli obiettivi.

“-Favorire il discernimento delle sfide poste dal mondo della salute alla presenza e all’azione della Chiesa, prospettando linee di collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà;

-offrire stimoli per un’educazione ai valori della salute e al senso della sofferenza, interpretate alla luce del mistero di Gesù Cristo;

-sostenere I’integrazione della pastorale sanitaria nella pastorale d’insieme delle comunità cristiane;

-promuovere una maggiore integrazione tra I’assistenza spirituale assicurata nelle strutture sanitarie e la cura pastorale ordinaria nelle parrocchie, sviluppando forme di collaborazione tra le cappellanie ospedaliere e le comunità ecclesiali territoriali;

-fornire indicazioni per il coinvolgimento di tutte le componenti del popolo di Dio nella pastorale della salute, potenziando gli organismi di comunione e di corresponsabilità;

-promuovere una maggiore organicità e progettualità della pastorale sanitaria, anche mediante specifici itinerari formativi”.

Prima parte: “Il mondo della salute oggi” (cfr.: nn. 5-18).

E’ presentato lo scenario attuale del “pianeta sanità”, essendo impossibile operare fruttuosamente, anche a livello pastorale, ignorando il contesto di riferimento.

Negli ambienti sanitari riscontriamo elementi “positivi” e “negativi”.

-Elementi positivi. ”La Chiesa riconosce ed apprezza i preziosi contributi offerti dalla ricerca scientifica per la migliore cura e per l’assistenza sanitaria delle persone e incoraggia in tal senso ogni progresso rispettoso della persona umana. Parimenti, riconosce ed apprezza l’impegno profuso dai responsabili della vita politica e amministrativa nel promuovere e salvaguardare il diritto, costituzionalmente sanzionato, alla tutela della salute dei cittadini, e nell’assicurare al mondo sanitario il più alto livello scientifico e tecnico e le più ampie garanzie sociali” (n. 6). Più concretamente: la promozione societaria della salute, i progressi nel settore medico-scientifico, l’accresciuto interesse per l’individualità e contemporaneamente la globalità del malato…

-Elementi negativi. “Accanto a innegabili e provvidenziali benefici, il progresso della scienza e della tecnica non manca d’ingenerare, come ha fatto notare Giovanni Paolo II, ‘una sorta di atteggiamento prometeico dell’uomo che, in tal modo, si illude di potersi impadronire della vita e della morte’. Tale atteggiamento porta larghi settori della scienza e della medicina a ignorare i limiti inerenti alla condizione umana, contribuendo a coltivare l’immagine di un uomo padrone assoluto dell’esistenza, arbitro insindacabile di sé, delle sue scelte e delle sue decisioni” (n. 9). Concretamente assistiamo al degrado d’umanità nella cura, all’atteggiamento prometeico nei confronti del vivere e del morire, al passaggio “dalla medicina dei bisogni a quella dei desideri”, all’accrescersi della “medicina difensiva”, all’indiscriminata adozione del modello aziendalistico, al consistente e ingiustificato incremento della burocrazia…

Nell’odierno pluralismo culturale, inoltre, l’attenzione va riservata anche alle rilevanze bioetiche (cfr.: n. 16). Basilare, infine, è l’esortazione ad oltrepassare il “curare” per “prendersi cura”, cioè assistere il malato nella “totalità” del suo essere (cfr. n. 17).

Seconda parte: “Rendere ragione della speranza nel mondo della salute” (cfr.: nn. 19-47).

E’ la sezione “teologica” ed annuncia che il messaggio cristiano è incentrato sulla “gioiosa speranza” offerta dalla Risurrezione di Cristo. Una “speranza” da proclamare e concretizzare imitando l’esempio del Signore Gesù. Nel “prendersi cura” dei vari bisognosi d’aiuto è considerevole, inoltre, consolidare sia la speranza “terrena” che quella “escatologica” (cfr.: nn. 21-22).

Alcune “linee operative” per l’azione pastorale.

-“L’ospitalità” che evocando contenuti antichi, rispecchia l’etimologia per cui al luogo della cura fu assegnato il nome di “ospedale”, cioè l’ambiente che accoglie, ospita e cura (cfr.: n. 23).

-“L’umanizzazione” esige di interessarsi nuovamente del malato “olisticamente” essendo meritevole di rispetto, di devozione e di venerazione, oltre che la sollecitudine ad attuare dinamiche che mutino ogni luogo di cura a “misura d’uomo” (cfr.: nn.30-37).

Terza parte: “La pastorale della salute nella comunità” (cfr.: nn. 48-67).

Sono richiamati gli orientamenti pastorali e gli strumenti per realizzare azioni “adeguate ai tempi”. Si evidenzia, inoltre, l’importanza “dall’agire improvvisando alla progettualità”, valorizzando e potenziando tutti gli ambiti comunionali. Il rinnovamento è agevolato anche dalla ricettività sociale espressa nelle varie “Carte dei diritti dei malati”.

(fine parte terza)

 

 

 

 

 

 

 

20 ottobre 2017

“APPUNTI” DI PASTORALE DELLA SALUTE (3). I Documenti del Magistero della Chiesa riguardanti la Pastorale della Salute

“APPUNTI DI PASTORALE DELLA SALUTE” (3) – I DOCUMENTI DEL MAGISTERO DELLA CHIESA RIGUARDANTI LA PAsTORALE DELLA SALUTE. Molteplici sono i Documenti del Magistero della Chiesa riguardanti […]