Schiavitù

Il 1 gennaio la Chiesa celebra la 48° “Giornata Mondiale per la pa­ce” e il tema scelto quest’anno da papa Francesco è: “Non più schiavi ma fratelli”. Un argomento di grande attualità, poiché con troppa superficialità, ritieniamo che la schiavitù sia un fatto del passato, invece, questa piaga sociale è presente anche nel mondo attuale.

1Anche oggi, secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), parecchi milioni di persone sono costrette a “vivere come schiavi”. Costoro contribuiscono alla produzione di circa 120 beni di consumo e sono presenti in 58 Paesi, con un giro d’affari di 15,5 miliardi di dollari. Questo significa che nonostante la schiavitù sia riconosciuta come una forma di “lesa umanità” e sia stata abolita dalla maggioranza dei Paesi mondiali, essa continua a sussisterne con forme e metodologie nuove.

Il Messaggio del Papa è diviso in cinque parti che ora esamineremo. Termineremo proponendo due testimonianze di persone che operano per debellare la schiavitù.

 1.IN ASCOLTO DEL PROGETTO DI DIO SULL’UMANITA’

In questa parte il Pontefice cita un episodio del Nuovo Testamento, precisamente la Lettera di San Paolo a Filemone, nella quale l’Apostolo chiede al suo collaboratore di accogliere Onesimo, già schiavo dello stesso Filemone e ora diventato cristiano, quindi, secondo l’Apostolo delle Genti, meritevole di 1essere considerato non più uno schiavo ma un fratello (cfr.: Fm. Capp.15-16). E il concetto della totale uguaglianza san Paolo lo aveva già affermato nella lettera ai Galati: “Non c’è più giudeo nè greco; non c’è più schiavo nè libero; non c’è più uomo nè donna, poichè tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal. 3,28). Da questo episodio nasce l’appello del Papa affinché́ siano “riconosciute e rispettate la dignità, la libertà e l’autonomia dell’uomo”, orientando ogni rapporto umano verso il rispetto, la giustizia e la carità. Poiché tutti gli uomini, seppur “nella molteplicità e nella differenza”, sono creati a immagine e somiglianza di Dio e quindi “aventi stessa natura e stessa dignità”, la comunità cristiana è il “luogo della comunione vissuta tra i fratelli”, dove la diversità di origine e di stato sociale “non ne sminuisce la dignità né li esclude dall’appartenenza al popolo di Dio”.

 2.I MOLTEPLICI VOLTI DELLA SCHIAVITU’ IERI E OGGI

Il Papa, nella seconda parte, denuncia che “milioni di persone sono costretti a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù” poiché costretti a lavorare da schiavi dalle leggi di alcuni Paesi. E qui, 1possiamo osservare, anche se il Papa non lo cita, ad esempio lo sfrtuttamento del lavoro della popolazione cinese in patria o all’estero, oppure altri, i migranti che mentre tentano di raggiungere Paesi con maggiori garanzie di vita sono ricattati dal datore di lavoro che condiziona la legalità del loro soggiorno al contratto lavorativo. E’ presente, inoltre, la schiavitù sessuale che colpisce particolarmente le donne, costrette a prostituirsi o vendute per il matrimonio. Il Pontefice non dimentica i detenuti in condizioni disumane e i ragazzi vittime di espianti di organi o quelli arruolati come soldati o rapiti e fatti prigionieri da gruppi terroristici, oppure quelli che diventano manovalanza dei signori dell’accattonaggio o obbligati allo spaccio di droghe. Da ultimo troviamo i neonati oggetto di “forme mascherate di adozione internazionale”.

 3.ALCUNE CAUSE PROFONDE DELLA SCHIAVITU’

1Quali le cause? La prima è il “peccato che corrompe il cuore dell’uomo” perciò l’altro è trattato “come un oggetto, un mezzo e non un fine”, non come un fratello, ma come merce di scambio per i propri interessi di potere e di ricchezza. Altre cause sono la povertà, la mancata educazione, la criminalità e terrorismo e anche il “mondo web” che con le tecnologie informatiche gestisce “reti criminali di traffico di esseri umani”. E tutto questo, spesso, avviene nell’ “indifferenza generale” o con l’appoggio dei membri delle forze dell’ordine, delle istituzioni civili e militari e dei politici.

 4.UN IMPEGNO COMUNE PER SCONFIGGERE LA SCHIAVITU’

Ma fortunatamente è presente anche chi s’impegna lodevolmente e con grande coraggio a contrastare questo drammatico fenomeno, e il Papa TRATTA: 50 MILA VITTIME ASSISTITE IN ITALIA, MILLE MINORIsottolinea il ruolo basilare delle congregazioni religiose, specialmente femminili, che svolgono un “enorme lavoro” per “spezzare le catene invisibili che tengono legate” migliaia di persone. Queste religiose, si pongono accanto alle fragili con “coraggio, pazienza e perseveranza”: soccorrendole, riabilitandole con percorsi di psicoterapia e reintegrandole nella società. Il Papa, inoltre, si rivolge agli Stati e alle organizzazioni che si avvalgono di reti globali, affinchè intraprendano una lotta totale alle schiavitù, come pure chiede alle imprese di offrire ai propri dipendenti uno stipendio dignitoso.

L’appello del Papa si allarga poi a tutta la società civile, quindi a ciascuno1 di noi, ricordandoci la “responsabilità sociale” nell’acquisto di determinati prodotti frutti di sfruttamento delle persone, poiché “acquistare è sempre un atto morale, oltre che economico”. Ma, purtroppo, “alcuni di noi, per indifferenza, o perché distratti dalle preoccupazioni quotidiane, o per ragioni economiche, chiudono un occhio”. L’esortazione, infine, a gesti concreti alla portata di tutti: anche un semplice saluto o sorriso è importante per chi è vittima di asservimento.

Da ultimo sono ricordate tipologie di “schiavitù” diffuse anche nel nostro Paese, dalla dipendenza, in particolare quella da gioco, alla riduzione del corpo della donna a merce di consumo .

 5.GLOBALIZZARE LA FRATERNITA’, NON LA SCHIAVITU’ NE’ L’INDIFFERENZA

Nella parte conclusiva del Messaggio, il Papa affida questo immenso 1dramma alla protezione di Santa Giuseppina Bakhita, religiosa sudanese schiava per molti anni, canonizzata da san Giovanni Paolo II il 1° ottobre del 2000. “Questa Santa, vissuta fra il XIX e il XX secolo, è anche oggi testimone esemplare di speranza per le numerose vittime della schiavitù e può sostenere gli sforzi di tutti coloro che si dedicano alla lotta contro questa ‘piaga nel corpo dell’umanità contemporanea, una piaga nella carne di Cristo’”.

E, poi, la conclusione: siamo di fronte “ad un fenomeno mondiale che supera le competenze di una sola comunità o nazione”. E a questa “globalizzazione dell’indifferenza” che regna sovrana nel mondo attuale, va opposta una “globalizzazione della fraternità” che ridia speranza a chiunque l’abbia perduta.

DUE TESTIMONIANZE

L’Associazione Talitha Kum

1Il 10 dicembre 2014 nel corso della Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio per la Giornata della Pace ha preso la parola suor Gabriella Bottani, missionaria comboniana, impegnata da anni contro la tratta delle persone e presidente dell’Associazione Talitha Kum presente in 81 Paesi con più di mille religiose di diverse congregazioni. Le attività svolte sono diverse secondo i contesti in cui operano: accompagnamento ai sopravviventi della tratta, progetti preventivi di formazione e sensibilizzazione, impegno per politiche sociali più efficaci contro la tratta.

Padre Domingo Cho

“Padre Domingo Cho, 40 anni, sacerdote da 12, è un domenicano di Seoul. Il suo lavoro pastorale è la cura dei profughi nordcoreani che chiedono asilo al Sud, aiutandoli nella difficile integrazione con una società che sebbene parli (quasi) la stessa lingua, è estranea e lontana dallo stile di vita in cui sono cresciuti.

Secondo studi di organizzazioni non governative, almeno il 90% delle donne nordcoreane che fuggono dalla dittatura, diventano vittime del traffico di esseri umani, talvolta come prostitute, più spesso come spose-schiave di qualche cinese.

Il problema, spiega p. Domingo, è che nelle campagna della Cina vi è un numero troppo basso di donne a causa della legge del figlio unico e dell’enorme numero di aborti selettivi. Vi sono zone del Nordest della Cina dove la ratio fra giovani maschi e giovani donne è di 14 a 1. Ciò rende il traffico di donne molto redditizio.

Dal 2007 la Cina ha deciso di rimandare indietro tutti i nordcoreani fuggitivi. Questo rende ricattabili tutti i profughi. Così le donne, pur di non tornare indietro, accettano la schiavitù.

1‘Di solito – spiega p. Cho – una donna è venduta per 2mila dollari Usa. Nella maggior parte dei casi esse vivono come schiave: fare figli, lavorare dando i soldi al marito, pulire la casa’. Fra le tante storie di cui egli è testimone vi è pure quella di una donna venduta contemporaneamente a cinque uomini che la utilizzavano a turno.

Attraverso una rete di amici e mediatori ‘noi cerchiamo di liberarle. Raccogliamo qui in Corea i soldi e le ‘ricompriamo’ ai loro padroni, facendole poi venire nel Sud’. P. Cho racconta anche di donne che, ribellatesi, sono state rimpatriate in Corea del Nord. ‘Queste vengono giustiziate, o obbligate ai lavori forzati. E se per caso sono state messe incinta da mariti cinesi, sono obbligate ad abortire per salvare la purezza della razza coreana (del Nord)’. Quando le donne giungono al Sud, esse sono anzitutto interrogate dai servizi del governo di Seoul per verificare se esse sono spie o veri rifugiati. Poi vengono inserite in centri di addestramento, per introdurli nella società coreana del sud.

‘Io – spiega p. Cho – le aiuto con dialoghi,  offrendo assistenza per i loro bisogni. Ma il loro più grande problema è la solitudine: non hanno nessuno, si trovano in una situazione che è loro estranea, in un mondo che non conoscono; hanno estremo bisogno di parlare e di essere confortate’.

‘Con l’andar del tempo – continua il sacerdote – alcune esprimono il desiderio di diventare cristiane’.  P. Domingo fa notare che fra le donne nordcoreane vi sono di quelle che magari hanno sposato un cinese cattolico, che le ha trattate bene e in modo umano. Per questo esse conservano gratitudine per i loro mariti e vogliono conoscere quella fede che ha permesso loro di vivere con dignità. Se questo è il caso, spiega ancora il sacerdote, talvolta dalla Cina arrivano a Seoul anche il marito cinese e i loro figli. Ma il più delle volte arrivano donne sole e provate da anni di schiavitù.  ‘Anche queste – aggiunge p. Cho – sono spesso interessate a conoscere la fede cristiana o altre religioni (protestantesimo o buddismo). Ma il motivo sembra essere più il loro bisogno di aiuto, l’urgenza di volersi integrare’.

P. Domingo non nasconde che oltre al problema dell’integrazione dei rifugiati, vi è anche il problema di far accettare i profughi alla popolazione del sud: ‘I sudcoreani non li accettano volentieri e così i nordcoreani non si sentono a casa loro. Occorre cambiare davvero il nostro cuore. La Chiesa ha il compito di cambiare i cuori della gente e accogliere le persone non per motivi politici, cancellando gli occhiali ideologici con cui noi del sud vediamo i nordcoreani’. ‘Le due Coree – conclude – esistono da 60 anni e abbiamo una storia di competizione, di guerra e di scontro. Ed entrambi i lati della penisola continuano a mantenere  questa mentalità di scontro La mia generazione, per esempio, è stata educata nell’anti-comunismo. Ma poi studiando ho capito che i nordcoreani erano parte dello stesso popolo e veniamo dalla stessa cultura. Per questo ho deciso di lavorare per la riconciliazione dei coreani’”.

B. C. AsiaNew 10.12.2014

1 gennaio 2015

“NON PIU’ SCHIAVI MA FRATELLI”. Il tema per la Giornata Mondiale della Pace

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