Umberto Veronesi

I DANNI DELLA CANNABIS.

Di fronte alla scriteriata proposta del senatore B. Della Vedova che ha presentato in Parlamento un Disegno di legge per  la “legalizzazione della marijuna e della cannabilis” evidenziamo due pareri di esperti nel settore: il professor Umberto Tirelli e il professor Giovanni Serpellino che defiscono assurda e irragionevole la tesi di Della Vedova. Noi, possiamo unicamente mettere in guardia senatori e deputati, dal gravissimo danno che provocherebbero ai nostri adolescenti e giovani come ci ammonisce anche la scienza.

Il parere del professor Umberto Tirelli

Professor Tirelli, dicono che legalizzare la cannabis permetterà di smantellare lo spaccio illegale e dunque di togliere risorse ai criminali. Cosa risponde?
R. Come si fa a non capire che se l’uso della droga diventerà legale il problema aumenterà? Allora, visto che gli omicidi proseguono nonostante la legge li punisca, perché non li legalizziamo? Perché non si fa lo stesso ragionamento con il femminicidio, i furti e tutti i comportamenti ingiusti e quindi perseguibili? Inoltre, si alimenterebbe comunque un altro mercato proibito, fatto di sostanze nuove, come quelle chimiche. Altrettanto assurdo è sostenere che è giusto legalizzare la marijuana perché anche l’alcol e il fumo non sono proibiti. È come dire: risolviamo questi problemi aggiungendone un altro che è pure peggiore, dato che alcol e fumo non sono nocivi quanto lo è la marijuana.

Ci spieghi.
R. La marijuana, a differenza del tabacco, può provocare alterazioni cerebrali, senza contare le conseguenze a medio e lungo termine sulla funzionalità del cervello e sul sistema immunitario. La cannabis poi danneggia i polmoni in maniera molto più violenta del tabacco, aumenta il rischio di cancro, indebolisce le facoltà cognitive, la memoria, l’attenzione, e quindi fa aumentare il rischio di incidenti stradali. Aggiungerei che, contrariamente a quanto si pensa, i giovani sono molto inclini ad assuefarsi. La marijuana li rende ansiosi, angosciati, sonnolenti, il che si ripercuote sul loro rendimento scolastico, sui rapporti interpersonali e sulla loro vita in generale. Infine, aumentano i casi di schizofrenia.

Come mai?
R. Se negli anni Settanta la quantità di principio attivo della cannabis era del 5 per cento, oggi siamo al 50-80. Non esistono droghe leggere e la cannabis è superpotente, spacciata soprattutto fra i giovani incoscienti dei rischi che corrono. Persino il quotidiano britannico The Independent, dopo aver condotto per anni una campagna antiproibizionista, nel 2007 fece pubblica annenda, spinto proprio dai dati allarmanti che hanno dimostrato il collegamento fra uso di cannabis e schizofrenia. Tutti gli studi scientifici più seri rilevano gravi problemi vascolari alle arterie del cervello. Per quanto riguarda il cancro, invece, la British Lung Foundation tre anni fa ha pubblicato un rapporto in cui emerge come il rischio di tumore al polmone provocato dalla cannabis è 20 volte maggiore rispetto a quello causato dalla sigaretta.

Eppure la proposta di legge Della Vedova parla di “fini terapeutici”, prevedendo anche l’”autocoltivazione” di marijuana a questo scopo.
R. Ci vuole un gran coraggio per mettere nero su bianco una proposta del genere. In questo modo nell’immaginario collettivo si abbassa la percezione della pericolosità della cannabis, ma sopratutto si fanno affermazioni che non hanno nulla a che vedere con la scienza: l’uso terapeutico della marijuana riguarda l’assunzione di compresse con effetti del tutto differenti dallo spinello. Se i politici avessero davvero a cuore i malati, anziché liberalizzare la cannabis farebbero pubblicità a determinati farmaci, la cui efficacia nella terapia dolore è di gran lunga superiore.

L’abuso di droga cresce, però, e questo è un fatto. Come si risolve il problema?
R. Di sicuro il problema dei giovani esiste. Ma se volessimo risolverlo credo che tutti, dai genitori ai medici fino ai politici, per prima cosa dovrebbero opporsi con forza all’uso delle droghe e alla loro legalizzazione.

Umberto Veronesi, pur ammettendo che la marijuana «fa male», ha segnalato come un dato positivo i notevoli introiti fiscali incassati dal Colorado grazie alla liberalizzazione della marijuana. Cosa risponde al suo collega?
R. È come dire: lo Stato si arricchisce sulla pelle dei suoi cittadini e noi siamo contenti. Non si possono fare affermazioni simili a cuor leggero. Sì, con la legalizzazione lo Stato risparmierà anche i vent’anni di pensione che non dovrà pagare a quanti moriranno di tumore, ma a lungo andare uno scenario del genere sarà deleterio per tutti, perché avremo una società debole, fatta di drogati, malati e schizofrenici (B. Frigerio, “Chi propone di legalizzare la cannabis eviti di appellarsi alla scienza: non sa di cosa parla”, Tempi.it, 25 luglio 2015).

Prefazione del prof. Giovanni Serpeloni al testo “Varianti delle piante di cannabis e danni alla salute” (leggi)

La Scienza:  Cannabis. Dopo tante frivolezze sulla droga “leggera”, un po’ di informazione basata su dati “pesanti”

“Fumatevi questi numeri e vedrete: dopo, le “cannette” non saranno mai più l’innocuo sballo che vi hanno sempre fatto credere. Dagli studi scientifici esaminati, risultano evidenti le gravi conseguenze, ad oggi troppo sottovalutate, che possono comparire a seguito dell’uso di [cannabis] e dei suoi derivati. Tali conseguenze sono tanto più gravi quanto più precoce è l’inizio dell’assunzione e quanto maggiori sono la frequenza e la durata dell’uso (tutte le fonti scientifiche dalle quali Serpelloni attinge sono citate per esteso in una appendice al capitolo che qui è stata omessa, ndr). (…)

Secondo uno studio longitudinale di coorte (1.265 soggetti: nascita-25 anni), condotto in Nuova Zelanda da Fergusson (2006), la variabile “età di inizio” gioca un ruolo chiave: a 15 anni coloro che consumano cannabis settimanalmente hanno una probabilità di passare all’uso di altre sostanze illecite 60 volte maggiore rispetto a chi non la usa; a 25 anni, la probabilità si abbassa a 4. (…) Anche considerando le variabili legate alla devianza sociale, chi usa marijuana ha 3-5 volte più probabilità di usare altre droghe illecite, rispetto a chi non la usa (Rebellon, 2006). (…)

Le alterazioni cerebrali
Secondo Ameri (1999), la tossicità della marijuana è stata sottovalutata per molto tempo. Tuttavia, recenti scoperte hanno rivelato che il principio attivo della cannabis (Thc, ndr) induce la morte cellulare con restringimento dei neuroni e la frammentazione del Dna nell’ippocampo. Le evidenze in letteratura indicano che l’esposizione ai fitocannabinoidi può alterare la sequenza temporalmente ordinata di eventi che si verificano durante lo sviluppo dei neurotrasmettitori, oltre ad incidere negativamente sulla sopravvivenza e sulla maturazione delle cellule nervose. (…)

L’uso prolungato di cannabis in adolescenza o nella prima età adulta è pericoloso per la materia bianca cerebrale secondo uno studio (Zalescky et al., 2012) che, per la prima volta, ha indagato specificatamente il suo impatto sulla connettività delle fibre assonali attraverso la risonanza magnetica. È emerso che la connettività assonale risulta compromessa nelle seguenti aree cerebrali: fimbria destra dell’ippocampo (fornice), splenio del corpo calloso e fibre commissurali che si estendono fino al precuneo. È stata inoltre riscontrata un’associazione tra la gravità delle alterazioni e l’età in cui ha avuto inizio l’uso regolare di cannabis. L’uso precoce e prolungato di cannabis risulta quindi particolarmente pericoloso per la materia bianca del cervello in fase di sviluppo, portando ad alterazioni della connettività cerebrale che, secondo gli sperimentatori, potrebbero essere alla base dei deficit cognitivi e della vulnerabilità ai disturbi psicotici, depressivi e d’ansia dei consumatori di cannabis. Sotto effetto della cannabis, l’attività cerebrale diventa scoordinata e imprecisa, portando a disturbi neurofisiologici e comportamentali che ricordano quelli osservati nella schizofrenia. È quanto afferma uno studio inglese condotto dai neuroscienziati dell’Università di Bristol, e pubblicato sulla rivista Journal of Neuroscience. (…)

Gioventù bruciata
Gli studi animali hanno riscontrato un aumento dei cambiamenti cellulari associati all’esposizione alla cannabis durante l’adolescenza rispetto agli adulti (Cha et al., 2006; Kang-Park et al., 2007; Rubino et al., 2008; Schnider & Koch, 2003; Schneider et al., 1982; Quinn et al., 2007), e l’esposizione al Thc in questa fase della vita è stata associata a deficit cognitivi a lungo termine e ad una minore efficienza delle connessioni sinaptiche nell’ippocampo in età adulta (Rubino et al., 2009). Dagli studi sugli animali e sull’uomo emerge che l’adolescenza è un periodo vulnerabile alla cannabis a causa dello sviluppo cerebrale che durante questo arco temporale raggiunge il suo picco. (…)

Secondo uno studio (Heron J., Barker Ed., Joinson C., et al., 2013), volto ad indagare i fattori di vulnerabilità associati all’uso di cannabis, l’uso di cannabis sarebbe associato al disturbo della condotta, caratterizzato da comportamenti antisociali e da violazioni ripetute dei diritti fondamentali degli altri, oppure delle norme o regole della società. L’indagine è stata effettuata su un ampio gruppo di adolescenti (4.159 ragazzi di 16 anni, di cui 2.393 femmine) ed ha indagato fattori quali lo status socio-economico, l’uso di sostanze da parte della madre, eventuali problemi psichiatrici dei genitori e la presenza o meno di diagnosi di disturbo della condotta nei figli tra i 4 e i 13 anni. (…)

Gli studi sugli effetti cognitivi dell’uso di cannabis riportano deficit nell’attenzione sostenuta, nell’apprendimento, nella memoria, nella flessibilità mentale e nella velocità di processamento delle informazioni (Pope & Yurelun, 1996; Solowij et al., 2002). (…) Gli studi sugli umani indicano che più precoce è l’inizio d’uso di cannabis, maggiori e più gravi sono le conseguenze cognitive associate (Ehrenreich et al., 1999). (…)

La demolizione della mente
L’uso persistente di cannabis tra gli adolescenti sotto i 18 anni porta ad un declino del funzionamento neuropsicologico, che persiste anche dopo aver interrotto il consumo della sostanza. Sono questi i risultati di uno studio (Meier et al., 2012) che ha indagato l’associazione tra consumo persistente di cannabis e declino neuropsicologico in 1.037 soggetti seguiti dalla nascita fino all’età di 38 anni. Sono stati valutati con test sull’attenzione, la memoria e l’intelligenza, quando avevano 13 anni, prima di un eventuale inizio d’uso di cannabis, e poi a 38 anni, dopo aver sviluppato una modalità di consumo persistente di cannabis. Dai risultati è emerso che l’effetto sul funzionamento neuropsicologico del consumo di cannabis era più dannoso se l’inizio d’uso della sostanza avveniva prima dei 18 anni, quando il cervello è ancora in fase di sviluppo. Inoltre, la cessazione del consumo di cannabis non ha pienamente ripristinato il funzionamento neuropsicologico tra coloro che avevano iniziato a consumare cannabis precocemente. (…)

Uno studio condotto dai ricercatori della Università di Leiden nei Paesi Bassi (Colzato L. et al., 2014) ha evidenziato che fumare cannabis può anche ostacolare la creatività. Dai risultati è emerso che i soggetti esposti ad alta dose di Thc mostrano prestazioni significativamente peggiori sul compito del pensiero divergente rispetto agli altri gruppi (bassa dose o placebo) e che nel gruppo esposto a bassa dose non si osservano differenze con il gruppo che aveva assunto placebo. I risultati suggeriscono che la cannabis danneggerebbe il pensiero divergente, peggiorando così le performance creative.

Il consumo di cannabis ha effetti molto gravi in età adolescenziale: studi recenti confermano che le alterazioni conseguenti all’uso di cannabis alterano la capacità dei neuroni di svilupparsi in maniera appropriata, con il risultato che il cervello di un adulto che da adolescente ha consumato cannabis risulta più vulnerabile ed esposto all’insorgere di disturbi mentali (depressione, psicosi e disturbi affettivi). (…)

Uno studio condotto tra il 1992 e il 1998 in Australia ha dimostrato l’esistenza di una relazione tra l’utilizzo quotidiano di cannabis e l’insorgenza di depressione sia negli adolescenti che negli adulti (Patton et al., 2002) e di paranoia (Freeman D. et al., 2014). Questa associazione risultava più comune nelle donne piuttosto che negli uomini. In particolare, l’uso di cannabis nelle ragazze di età inferiore ai 15 anni aumentava in modo significativo il rischio di sviluppare idee o tentativi di suicidio nei 15 anni successivi. (…)

Con quale autorità?
Nessun’altra sostanza al mondo, con queste caratteristiche così ben documentate da studi tanto autorevoli, verrebbe altrettanto classificata come “leggera” (…). È evidente che esistono altri fattori, al di là della razionalità e della semplice logica, che sottostanno alle ragioni di chi ritiene queste sostanze scevre da rischi e pericoli per la salute e promuove e pretende la loro esclusione dalla lista delle sostanze proibite. Questi fattori sono più di ordine ideologico e culturale, forse quasi antropologico, e quindi poco hanno a che fare con la semplice razionalità. Inoltre, non vanno dimenticati il grande business e i forti interessi economici che il nuovo mercato della cannabis è in grado di generare. (…)” (B. Frigerio, Tempi.it, 24 aprile 2015).

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