Vincenzo Valentini

IL SENSO DELLA VITA

Leggendo un intervento di papa Benedetto XVI mi ha molto impressionato questa frase. Parlando dei compiti educativi della famiglia, dopo aver evidenziato le crisi dei rapporti che esistono oggi in questa istituzione, affermò che la famiglia è impreparata a trasmettere certezze e valori, essendo condizionata e strumentalizzata da «una mentalità e da una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona umana, del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della “bontà della vita”» (cfr Benedetto XVI, Lettera alla diocesi di Roma sul compito urgente dell’educazione, 21 gennaio 2008).

La stessa analisi l’ho ritrovata in un recente articolo pubblicato sul SIR del 17 febbraio che commentava la lettera che Michele Valentini, un giovane trentenne di Udine, ha scritto ai genitori prima di uccidersi qualche giorno fa. Molti hanno letto questo scritto come la protesta di una intera generazione costretta a fare i conti con il precariato. Michele infatti accusa in modo esplicito il sistema-lavoro e sferza pesantemente il ministro Poletti. Ma, osserva il SIR, se si legge con calma la lettera si capisce che le ragioni del disagio di Michele sono molteplici. “Ora io ti prego, caramente: per la memoria degli anni che fin qui è durata l’amicizia nostra, lascia cotesto pensiero. Non volere esser cagione di questo gran dolore agli amici tuoi buoni, che ti amano con tutta l’anima. E a me, che non ho persona più cara, né compagnia più dolce”. Queste sono le parole conclusive del dialogo di Plotino e Porfirio, tratto dalle “Operette morali” di Leopardi. Si tratta di un serrato dialogo sulla vita e sulla morte, in cui Plotino difende strenuamente la vita e trova la motivazione più profonda in queste conclusive espressioni. Per quanto difficile possa sembrare la vita, è bene viverla, se non altro per non arrecare dolore e sofferenza a quanti abbiamo amato. Leopardi scrive da non credente e penso che il suo punto di vista abbia in qualche modo un valore universale.
Questo passo mi colpì molto ai tempi del liceo e, con la sua verità ‘laica’, mi torna in mente ogni volta in cui sento la dolorosa notizia di un suicidio, così scrive Alessio Magaga, autore dell’articolo. “Certamente, quella del lavoro precario ha un peso specifico importante. Chi è disoccupato e non riesce a trovare lavoro, sa quanto sia frustrante questa condizione e quanto incida sullo stato psicologico. (Per noi “nordestini” in particolare, ché siamo venuti su con la cultura del “bisogna lavorar”!). Tuttavia questa ragione – nella lettera di Michele – non è la sola. Compaiono altri motivi di disagio, che sono strettamente legati alla sua vicenda personale. Riguardano la dimensione affettiva, il suo rapporto con gli altri, il suo modo di porsi nei confronti del mondo, trasformatosi negli anni in una visione molto problematica verso il futuro…
La sua lettera non è semplicemente – e riduttivamente – un atto di accusa contro il precariato: è una critica più complessiva alla società in cui viviamo, che esclude le persone “sensibili” e non ammette chi è al di fuori della “cosiddetta normalità”. Nonostante tutta la retorica sulla libertà, sul rispetto del “diverso” e sulla sensibilità come “qualità”: “Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità – scrive sarcasticamente Michele – sarebbe oggetto di ricerca!”. Quella di Michele è una critica durissima e letteralmente “disperata”, priva di speranze di trasformazione e di cambiamento. La sua visione non riesce a scorgere barlumi di positività e la sua prospettiva è dentro ad un cupo pessimismo, che sembra frutto di un lungo e doloroso percorso. Comunque lo si guardi, quello di Michele non può e non deve divenire un “manifesto”: né per i giovani di oggi, che non pensano le stesse cose di Michele; né per i precari, che sanno attivarsi per cercare altre opportunità; né per chi attraversa momenti bui, che con pazienza e tenacia lotta fiduciosamente per uscirne… E poi non è mai stato vero che il nostro sia il momento più difficile della storia, né che non ci siano opportunità di cambiamento.
La lettera di Michele piuttosto esprime, drammaticamente, il bisogno di un senso e di una visione di futuro. Al tempo stesso manifesta l’esigenza di un “nuovo patto” e di una “nuova alleanza” tra generazioni, tra vecchi e giovani, tra uomini e donne… Abbiamo bisogno di vincoli di amicizia, che facciano sentire il calore di un abbraccio e che ci facciano capire che nel mondo, per quanto duro possa essere, noi non siamo soli. Certo, abbiamo bisogno anche di più opportunità di lavoro, soprattutto i giovani. Ma questo, da solo, davvero non basta. Ci vuole un di più di umanità per arrivare a capire – come canta Fiorella Mannoia – che “per quanto assurda e complessa ci sembri, la vita è perfetta. Per quanto sembri incoerente e testarda, se cadi ti aspetta. E siamo noi che dovremmo imparare a tenercela stretta. A tenersela stretta”.

Vorrei terminare con un messaggio di speranza lanciato alcuni anni fa dal cardinale Giacomo Biffi sul senso della vita.

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19 febbraio 2017

“Il senso della vita”

IL SENSO DELLA VITA Leggendo un intervento di papa Benedetto XVI mi ha molto impressionato questa frase. Parlando dei compiti educativi della famiglia, dopo aver evidenziato […]