Pensare di regolare i rapporti tra persone dello stesso sesso imponendo per legge uno ‘status’ proprio del matrimonio rischia di sfociare nell’illegittimità costituzionale. Lo sottolinea Emanuele Bilotti, professore di diritto della famiglia all’Università Europea di Roma.
Professore, stralciata la parte relativa alle adozioni (art. 3, comma 4 e art. 5) – se davvero sarà così – il ddl Cirinnà continua a presentare non pochi aspetti problematici, primo tra tutto un effetto fotocopia con la legge sul matrimonio. Perché questo parallelismo è inaccettabile?
È vero. La disciplina del rapporto tra le parti dell’unione civile riproduce esattamente quella del rapporto coniugale. Il primo comma dell’art. 3 del disegno di legge in questione riproduce testualmente l’art. 143 del codice civile rubricato ‘diritti e doveri reciproci dei coniugi’. Il secondo comma dello stesso art. 3 riproduce invece l’art. 144 rubricato ‘indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia’. Talora si è adottato l’accorgimento di sostituire espressioni come ‘residenza della famiglia’ o ‘bisogni della famiglia’ con ‘residenza comune’ e ‘bisogni comuni’, ma si tratta evidentemente di varianti terminologiche che non incidono sulla sostanza del contenuto normativo. LEGGI