Tranne rare eccezioni, i fautori delle «unioni civili» sono esultanti: la definitiva approvazione, a colpi di fiducia prima al Senato e poi alla Camera e dunque senza un sacrosanto e libero dibattito nelle sedi proprie, del disegno di legge Cirinnà-Lumia appare ai loro occhi alla stregua di un evento storico, di un primo e decisivo passo verso il necessario allargamento dell’orizzonte dei diritti umani.
Per converso, tranne anche in questo caso rare eccezioni, coloro che al riconoscimento legale delle unioni di fatto (eterosessuali od omosessuali che siano) si sono opposti nelle più diverse maniere manifestano sentimenti di sconcerto e ancor più di desolazione, propri di coloro che non possono non riconoscere la sconfitta. Sconfitti sono anche coloro che, in particolare da queste pagine, avevano auspicato una «via italiana» alla regolazione «solidale», ma limpidamente «non matrimoniale» dei rapporti tra persone dello stesso sesso. E alla presa d’atto che una battaglia è stata perduta si unisce il timore che, rotta pure questa “diga”, quel che resta del matrimonio come istituzione civile venga travolto, con esiti per alcuni insanabilmente negativi, per altri apocalittici, per tutti seri e, in certa misura, drammaticamente imprevedibili.
È facile prevedere, invece, quali saranno le prossime mosse di ambedue gli schieramenti: per il primo la partita da giocare sarà quella dell’approvazione della stepchild adoption nelle unioni tra persone dello stesso sesso, anticamera della legalizzazione di una pratica sconvolgente come la maternità surrogata (che in barba al limpido divieto vigente in Italia una serie di sentenze giudiziarie ha cominciato a “istillare”, goccia a goccia, nel nostro ordinamento) e della definitiva assimilazione “egualitaria” delle unioni gay a quelle coniugali. Per il secondo si potrebbe far riferimento allo slogan (sia pur nato e usato in ben altro contesto) resistere, resistere, resistere. LEGGI