Le autorità di Pechino hanno imposto a tutti coloro che sono entrati in una farmacia nelle ultime due settimane a sottoporsi a un tampone pena la «revoca del green pass». Così, il controllo della popolazione è assicurato.
La fine della pandemia non dipende dal virus, bensì dai governi e dai media. Il British Medical Journal ha di recente pubblicato un interessante articolo che s’intitola La fine della pandemia non sarà trasmessa. David Robertson e Peter Doshi, i due autori dell’articolo, scrivono: «Non esiste una definizione universale dei parametri epidemiologici per la fine di una pandemia. Con quale parametro, quindi, sapremo che in realtà sarà finita? L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato la pandemia di Covid-19, ma chi ce lo dirà quando sarà finita?».
Una domanda inevitabile che ci accompagna in questo tempo di prova aperto dalla pandemia è: «Come sopravvivere al male?». E con questa domanda non penso in primo luogo alla sopravvivenza fisica, penso soprattutto a quell’altra forma di sopravvivenza con cui ci confrontiamo quando, sotto l’impatto di una sofferenza imprevista, di un ostacolo che ci si para innanzi, o di una prova alla quale non eravamo preparati, la nostra abituale esperienza del mondo deve trovare un’altra configurazione. In momenti come questi, siamo chiamati ad attivare, o a riscoprire, le risorse spirituali e umane.
Il ritorno alla socialità è necessario e ne gioverebbero tutti. Ma per il bene comune e per evitare nuove emergenze, senza mettere a rischio i nostri indispensabili aperitivi, si dovrebbero superare alcuni piccoli ostacoli culturali.
Appello di un gruppo di pediatri di famiglia: «Chiediamo di poter essere noi a decidere chi inviare a tampone e chi no. Smettiamo di cercare positivi tra gli asintomatici»
Robert Wachter dirige il dipartimento di Medicina dell’Università della California, ed è una delle voci più ascoltate sulla pandemia negli Stati Uniti.