Una vita umana, un individuo, quando finisce, non può essere sostituito. È qualche cosa di unico e insostituibile, e la tutela della sua unicità e insostituibilità dovrebbe essere la prima preoccupazione per tutti, fin dove e fin quando è possibile.
La verità è che non solo la vita in generale, ma la nostra stessa vita ci appare come un enigma, che nessuno sembra in grado di sciogliere e che la scelta (sia quella individuale sia quella sociale) a favore della morte ci porta con durezza di fronte alla domanda più radicale che un essere umano possa porsi: quella sulla propria identità, che, ci piaccia o no, è una identità unica e irripetibile.
E’ ripresa alla Camera dei Deputati la discussione sul “Testo Unico sul Suicidio Assistito” anche se, per il momento, non si intravvedono accordi di massima. Lo esaminiamo, mostrando tutte le criticità; per questo va bloccato.
L’unico terreno sul quale il tema può essere discusso è quello che permette di avvicinarsi alle persone che vivono il problema della morte, che poi vuol dire vivere la realtà della vita.
Gianrenato De Gaetani, dirigente di associazioni pro vita del Tigullio, nel genovese, e fra i soci fondatori di due associazioni culturali, Fons Gemina di Rapallo e Domus Cultura di Genova, ha intervistato il magistrato Giacomo Rocchi, consigliere della Corte di Cassazione, sul dibattito relativo al fine vita.
“Eliminare il malato non ‘risolve il problema’, non elimina la malattia dall’esperienza umana. E la soppressione di una vita non si può ritenere mai una soluzione, mai! La persona vale infinitamente ed è sempre più grande, anche più grande della sua malattia”.
Nel 2021, secondo i dati ufficiali, hanno ricevuto l’iniezione letale 2.699 persone. Un terzo aveva meno di 60 anni, uno su tre ha ottenuto la “buona morte” per problemi comuni legati alla vecchiaia