BIOTESTAMENTO – Le domande aperte. Medici non esecutori. L’obiezione necessaria

Caro direttore,
durante il recente dibattito parlamentare i sostenitori della legge sul testamento biologico hanno tenacemente negato che vi fosse bisogno di prevedere la possibilità del ricorso all’obiezione di coscienza. L’hanno fatto, come possono testimoniare i resoconti del confronto, perché avrebbe significato ammettere che la legge introduceva la possibilità dell’eutanasia omissiva da sospensione di cure. Ora che si sono sollevate le proteste da parte di singoli medici e di istituzioni sanitarie cattoliche, dopo che il segretario di Stato vaticano cardinale Parolin ha definito «legittima» l’obiezione e il presidente della Cei cardinale Gualtiero Bassetti ha ribadito con chiarezza che l’obiezione di coscienza «è un diritto che va riconosciuto non solo per le persone, ma anche per le strutture cattoliche», il tono pare cambiato e si afferma che il medico non è obbligato ad assecondare le richieste che non condivide. È accaduto addirittura di leggere su qualche giornale che la legge «prevede l’obiezione per i medici». Lo stessa responsabile del ministero della Salute, Beatrice Lorenzin, ha assicurato in Parlamento che sarà permessa l’obiezione di coscienza sulle Dat malgrado le lacune della normativa. Si tratta di rassicurazioni che, tuttavia, tranquillizzano solo parzialmente. Abbiamo infatti a che fare con una norma assai poco rispettosa della libertà di esercizio della professione medica, non solo perché contiene l’assurdo scientifico di legiferare che nutrizione e idratazione assistite sono sempre terapie (e come tali rifiutabili) indipendentemente dal contesto clinico in cui vengono utilizzate.

Ancora più grave, infatti, è la previsione per cui «il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo» (articolo 1, comma 6). Rispetto a quest’obbligo, che trasforma il medico da professionista coscienzioso in esecutore meccanico, la possibilità di disattendere le Dat è consentita soltanto «qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla situazione clinica attuale del paziente» oppure «se sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento» (articolo 4, comma 5). Nessuno spazio per l’obiezione di coscienza, dunque. Semmai, nelle condizioni di perdita di coscienza del paziente sopravvenute acutamente, come traumi cranici o ictus cerebrale, che possono evolvere verso la morte o il completo recupero funzionale, ma che prevedono la possibilità di condurre anche verso condizioni di grave disabilità permanente, la legge comporta un concreto rischio di abbandono terapeutico dei pazienti per esigenze di medicina difensiva.

Infatti nelle situazioni di emergenza o di urgenza è previsto che il medico garantisca le cure necessarie «nel rispetto della volontà del paziente», cioè di quanto contenuto nelle Dat (articolo 1, comma 7). È evidente che, di fronte alla prospettiva di una probabile denuncia per invalidità sopravvenute al mancato rispetto delle disposizioni anticipate, i medici tenderanno a rispettare le Dat pedissequamente, con il rischio di mettere in pericolo la vita dei pazienti che con un più deciso intervento sarebbero sopravvissuti all’evento acuto in condizioni accettabili di benessere o di invalidità. L’unica possibilità di rifiutarsi di eseguire quanto richiesto dal paziente è prevista per il medico se il paziente esige trattamenti «contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali», ma questo non ha nulla a che fare con l’obiezione di coscienza.

A esclusione di ciò, il medico che rispetta la volontà del paziente «è esente da responsabilità civile o penale» (articolo 1 comma 6), confermando implicitamente che la legge intende aggirare quanto attualmente previsto dal Codice penale sull’istigazione al suicidio e sull’omicidio del consenziente, prevedendo l’impunibilità dell’eutanasia omissiva. Solo così, infatti, possono essere definite condotte volte ad accelerare la fine per denutrizione e disidratazione di pazienti che non stavano morendo per la loro malattia. Un’ultima annotazione riguarda le strutture sanitarie caratterizzate da idealità che le porterebbero a non applicare norme da cui possa derivare la volontaria anticipazione della morte del paziente.

Con questa legge illiberale anche ospedali cattolici – come il Bambino Gesù, l’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza, il Policlinico Gemelli e tanti altri – sarebbero costretti a venir meno all’ispirazione fondativa e alla propria etica istituzionale. All’articolo 1, comma 9, si prevede infatti che anch’essi, al pari delle strutture pubbliche, sono obbligati ad applicare la nuova legge. Nei giorni successivi all’approvazione della legge abbiamo assistito al crescere dell’apprensione di importanti strutture sanitarie cattoliche, con una voce significativa in particolare dal Cottolengo. È auspicabile che anche la Federazione nazionale degli Ordini dei medici voglia reagire al tentativo di negare al medico la possibilità di agire nella sua professione senza venir meno al giuramento di Ippocrate e alla sua libertà di coscienza. Su tutti noi grava il compito della vigilanza e della denuncia, sulla prossima legislatura quello di correggere almeno parzialmente i contenuti di una legge nata male.

Gian Luigi Gigli

Avvenire.it,  3 gennaio 2018