Nella Messa affidiamo a Dio tutte le nostre sofferenze. Il Papa ha raccomandato di non trascurare il silenzio, perché significa ascoltare la voce del nostro cuore e dello Spirito Santo.
Il Papa, dopo aver ricordato che “l’Atto penitenziale ci aiuta a spogliarci delle nostre presunzioni e a presentarci a Dio come siamo realmente, coscienti di essere peccatori, nella speranza di essere perdonati”, ha sottolineato come dall’incontro tra miseria umana e misericordia divina prende vita la gratitudine espressa nel “Gloria”.
Dopo il Gloria o subito dopo l’Atto penitenziale il Papa ha ricordato l’importanza della orazione, chiamata “colletta”. ” Il sacerdote dice preghiamo e poi viene un momento di silenzio e ognuno pensa alle cose che vuole chiedere nella preghiera”, ha aggiunto papa Francesco. In tal senso, “Il silenzio non si riduce all’assenza di parole, bensì nel disporsi ad ascoltare altre voci: quella del nostro cuore e, soprattutto, la voce dello Spirito Santo”.
“Forse veniamo da giorni di fatica, di gioia, di dolore, e vogliamo dirlo al Signore, invocare il suo aiuto, chiedere che ci stia vicino; abbiamo familiari e amici malati o che attraversano prove difficili; desideriamo affidare a Dio le sorti della Chiesa e del mondo. A questo serve il breve silenzio prima che il sacerdote, raccogliendo le intenzioni di ognuno, esprima a voce alta a Dio, a nome di tutti, la comune preghiera che conclude i riti d’introduzione, facendo appunto la “colletta” delle singole intenzioni”.
Francesco ha anche spiegato che “il sacerdote la recita con le braccia allargate: è l’atteggiamento dell’orante, assunto dai cristiani fin dai primi secoli – come testimoniano gli affreschi delle catacombe romane – per imitare il Cristo con le braccia aperte sul legno della croce. Egli è l’Orante ed è insieme la preghiera! Nel Crocifisso riconosciamo il Sacerdote che offre a Dio il culto a lui gradito, ossia l’obbedienza filiale”.
Nel concludere l’udienza generale odierna e prima del saluto ai pellegrini, il Papa ha esortato a far sì che “la liturgia possa diventare per tutti noi una vera scuola di preghiera”.
Avvenire.it, 10 gennaio 2018