A Savona l’Arcigay ha emesso la sua implacabile fatwa contro il medico di famiglia Fabio Vaccaro “colpevole” di volere proporre ai propri pazienti con tendenze omosessuali un percorso terapeutico alternativo al mantra quotidiano, “sei come sei”, per il quale sarebbe giusto e doveroso assecondare qualsiasi genere di istinto o pulsione, senza farsi tante domande, e di aver poi “rincarato la dose”, precisando il proprio parere di medico in fatto di omosessualità, dichiarando al Secolo XIX di Genova: «omosessuali si diventa per dinamiche familiari ed è giusto porgere aiuto per sostenere queste persone a diventare uomini e donne».
Parole inaccettabili per Mirko Principato, presidente del circolo Arcigay “Apertamente” di Savona, che ha così commentato l’iniziativa di Vaccaro di appendere all’interno del proprio studio di Milano alcune locandine reclamanti i corsi per curare l’omosessualità organizzati dal Gruppo Lot di Luca Di Tolve. […]
A Principato ha fatto subito eco il segretario nazionale di Arcigay, Gabriele Piazzoni, che ha parlato di “fatto gravissimo” sul quale “è urgente intervenire”, cogliendo poi la palla al balzo per rispolverare la proposta di legge presentata dal senatore Sergio Lo Giudice per mettere al bando le cosiddette teorie riparative. […]
Gli appelli di Arcigay sono stati prontamente accolti dall’Asl savonese che ha tranquillizzato tutti, facendo sapere di essersi già messa in moto per andare in fondo alla questione. Sulla vicenda è intervenuta anche la vicepresidente della Regione e assessore alla sanità, Sonia Viale, che ha intimato al direttore generale della Asl di fornirgli un dettagliato resoconto dei fatti per poter fare luce sull’accaduto: «su un fatto che appare così grave, secondo quanto riportato dagli organi di stampa, ho chiesto immediatamente, non appena appresa la notizia, una relazione puntuale al direttore generale della Asl per accertare con chiarezza i fatti».
Invito prontamente accolto dal direttore generale dell’Asl savonese, Eugenio Porfido che subito ha reso noto l’apertura di un procedimento nei confronti del medico. […]
ATTUALE CLIMA CULTURALE
Il feroce attacco mediatico al quale è stato sottoposto il medico di base Fabio Vaccaro ben rappresenta quello che è l’odierno clima culturale in materia di omosessualità.
La parola d’ordine è “normalizzare”. Guai a parlare di cura dell’omosessualità, intesa come un percorso di riscoperta della propria eterosessualità ferita e repressa. Una delle affermazioni più devastanti della propaganda omosessualista odierna è infatti proprio quella secondo cui dall’omosessualità non si può guarire.
Se fino al 1973, anno in cui l’ “American Psychiatric Association” (APA) eliminò l’omosessualità dal “Manuale diagnostico e statistico delle malattie mentali” (DSM), attorno al tema veniva svolta una seria ricerca scientifica e assumere uno stile di vita omosessuale era un comportamento “sconsigliato” e, in quanto contro natura, giustamente stigmatizzato, dal 1973 in avanti, la progressiva campagna di sdoganamento dell’omosessualità al motto di “gay is good” ha completamente capovolto la situazione.
La decisione dell’APA ebbe infatti un duplice effetto: da un lato arrestò bruscamente, del tutto, la ricerca scientifica in materia e, dall’altro, fece sì che classe medica passasse da un atteggiamento di corretta ed sana prevenzione alla sua zelante indefessa promozione secondo il sopracitato slogan politically correct recitante “sei come sei”.
Poco importa se gli stessi Sigmund Freud (1856-1939), Alfred Adler (1870-1937) e Carl Gustav Jung (1875-1961), considerati i tre grandi pionieri della psichiatria, consideravano l’omosessualità una patologia. Eppure, tra ieri e oggi, nulla è cambiato dal punto di vista della ricerca scientifica; vi è stato solamente un profondo mutamento culturale e politico. La psicologia, influenzata dall’attivismo LGBTQ, ha spostato la questione dell’omosessualità dal tradizionale piano oggettivo ad un piano puramente soggettivo. Una prospettiva distorta per la quale il problema non è più rappresentato dall’omosessualità in quanto tale, ma dalla percezione personale di essa da parte del singolo individuo.
MONDO ALLA ROVESCIA
In un mondo capovolto, lo stigma sociale nei confronti dell’omosessualità e, poi, l’omofobia interiorizzata sono divenuti le vere cause del malessere delle persone omosessuali e, in conseguenza di ciò, la soluzione proposta è stata quella di costruire un diverso clima culturale, finalizzato a far sentire “normali” coloro con pulsioni sessuali verso persone dello stesso sesso. Una soluzione chiaramente di parte, presa in nome del principio di non discriminazione, che, paradossalmente, nella realtà, finisce per abbandonare al loro involontario e insoddisfatto destino i tantissimi omosessuali in lotta con i propri istinti che si trovano “lasciati soli” da chi avrebbe il compito e il dovere di aiutarli nella loro battaglia contro le proprie disordinate tendenze,
Tale censura, meramente ideologica, nei confronti delle terapie riparative e della possibilità di poter scegliere se “abbracciare” o meno le proprie tendenze omosessuali, fu denunciata da alcuni onesti e autorevoli psichiatri come Robert Perloff (1921-2013), ex presidente dell'”American Psychological Association”, che al congresso del National Association for Research & Therapy of Homosexuality (NARTH) del 2004 dichiarò senza mezzi termini: «L’individuo ha il diritto di scegliere se accettare o no un’identità gay. La scelta spetta a lui o a lei, non a un gruppo di pressione guidato dall’ideologia. Scoraggiare gli psicoterapeuti dal prendere in cura quanti vogliono cambiare è contro la ricerca, contro lo studio e contro l’etica della ricerca della verità» (J. Nicolosi, Identità di genere. Manuale di orientamento).
Un pensiero in linea con quello di un altro ex presidente dell'”APA”, Nicholas Cummings, che al congresso del “NARTH” del 2005 affermò: «Sono determinato nel difendere la libertà di scelta di tutte le persone, particolarmente per quanto riguarda il diritto di scegliere gli obiettivi per la propria psicoterapia individuale. I pazienti devono avere il diritto di esplorare il proprio potenziale eterosessuale»
Fonte: Osservatorio Gender, 15 gennaio 2018