L’ultima vittima si chiamava Olivia Lua, aveva 23 anni ed è stata trovata senza vita in un centro di riabilitazione di West Hollywood. Nella gigantesca industria del porno era conosciuta come Olivia Voltaire. Un suicidio, sospettano i medici che hanno parlato di cocktail di farmaci e alcol.
Ad accompagnare il gesto estremo l’ultimo Tweet, enigmatico e inquietante: “Lo sento ovunque, non mi fa più paura”. Prima di lei “a cadere” erano state altre quattro attrici porno.
Alexis Rose Forte aveva 20 anni, nome d’arte Olivia Nova. E’ stata trovata senza vita in un appartamento di Las Vegas il 7 gennaio scorso. Un suicidio, sospettano i medici che hanno parlato di un’overdose di medicinali. Ma nei giorni precedenti ci sono state anche Yurizan Beltran, 31 anni, morta di overdose, August Ames, 23 anni suicidatasi e Shyla Stylez, 35 anni per la quale le cause sono ancora da chiarire. Cinque suicidi nella Porno Valley, almeno quelli resi noti, ma potrebbero essere molti di più. Una escalation di morti tragiche e sospette, che fanno sobbalzare i produttori del settore del mercato dell’hard più redditizio del pianeta.
E adesso tutti a chiedersi che cosa succede alle attrici porno, alle quali evidentemente il successo e la agiatezza economica non bastavano più. E neppure i fumi inebrianti della liberazione sessuale della quale hanno potuto godere con scarsi risultati. Forse perché con ogni probabilità avevano scoperto che non erano poi tanto libere, usate come oggetti in un ingranaggio del piacere che dietro di sé lascia solo macerie.
C’è chi prova a ridimensionare questi fatti in concatenazione come né più né meno che una tragica coincidenza e chi si limita a dire che anche il mercato del porno non è esente dalle problematiche di cui vivono le ragazze moderne di oggi. E persino chi si inerpica su facili giustificazionismi. “Non è facile farsi accettare nel privato se si fa questo lavoro, è come se si vivesse addosso uno stigma addosso”, è stato detto da alcune pornoattrici. Tutto qua? Ovviamente no.
C’è un non detto nel tentativo subdolo di accettare queste morti come un effetto collaterale di un male più grande mascherato di voluttà e spensieratezza: il vuoto della vita che rimbomba in chi sceglie “liberamente” di utilizzare il proprio corpo per il piacere altrui. Un mondo che lascia sul campo vittime, come abbiamo visto.
Sembra sufficiente chiudere la vicenda dando la colpa ad un cocktail di farmaci, come se fosse quello ad aver generato la morte. Certo, ma perché nessuno si interroga sul motivo per cui una ragazza di 23 anni debba prendere medicinali o debba bere alcol fino a stordirsi? Quale dolore si cerca di lenire? Ma è chiaro che queste risposte non possono arrivare dall’industria del porno che deve trovare in fretta dei sostituti per far proseguire lo show e il business.
Perché il porno è un drago che divora tutto quello che incontra e, proprio perché fondato su relazioni usa e getta, rapporti promiscui all’insegna del godimento senza alcun fine, arriva a intaccare la personalità di una donna che invece è vocata per sua natura al pudore, alla fertilità e alla fedeltà.
Non lo si scopre adesso, anzi negli Stati Uniti la maturazione delle istituzioni nei confronti delle pornodipendenze è molto più avanzata che nel vecchio continente. Ma i numeri dei disastri che genera stanno diventando i numeri di una piaga della modernità che è diventata una vera e propria minaccia per la salute pubblica.
A cominciare dai fruitori, soprattutto maschi, che finiscono nel vortice dei problemi relazionali, delle depressioni e infine dei suicidi. Ma anche – e questo è il vero terreno inesplorato – per i professionisti del sesso per immagini. Le cinque morti di questi giorni non sono altro che la punta dell’iceberg di un mondo con capitali immensi, si pensi che solo la Cina nel 2006 fatturava 27 miliardi di euro, ma che alla fine lascia sul campo vere proprie vittime sacrificate sull’altare del demone dell’eros privato di ogni tipo di amore, di relazione, di progettualità e di conforto umano.
Un demone che sta mietendo vittime e che fa soffrire. Le donne soprattutto. Vere e proprie vergini immolate per il piacere, che cadono nella trappola per vanità o già con un bagaglio di disperazioni e solitudini spesso provocate da una situazione di vita famigliare che le fa tentare la fuga dove tutto appare gioioso e lieve, spensierato e inebriante, come solo sa essere ciò che il demonio rende attraente perché venga consumato. Ma uscire non è facile perché quello del porno è un labirinto dominato da un Minotauro che divora le sue vergini richiedendone sempre di nuove.
Lo provano anche le tante storie di porno attrici “pentite”. Storie che assumono i contorni del rimorso e del pentimento e che ci dicono con certezza che quella del porno non è altro che una prigione dell’effimero, dalla quale si esce sempre con le ossa rotte e una vita relazionale e intima di ricostruire. Come ha detto in Italia Luce Caponegro, la celebre Selen che non ha fatto mistero del lato dark di un mondo violento e angosciante.
O come si può intuire anche dalle decisioni di molte altre attrici che sono uscite dal porno come Eva Henger, anche lei tra le donne più desiderate del business pornografico che, vittima di uno scherzo delle Iene, è scoppiata in un pianto rivelatore alla falsa notizia che la figlia aveva deciso di intraprendere quella carriera che la madre aveva abbandonato da tempo. Lacrime e disperazione che hanno aperto uno squarcio, in chi lo vuol vedere, su che cosa deve provare una madre a sapere che la propria figlia ha deciso di immolarsi per diventare un ingranaggio di un sistema spietato di controllo della personalità. Che ti regala falso piacere e in cambio ti restituisce una vera solitudine per sfuggire alla quale molto spesso l’unica via è quella di farla finita. Perché ormai il drago si è mangiato tutto.
Andrea Zambrato
La Nuova Bussola Quotidiana, 22 gennaio 2018