Le sortite di qualche politico sul tema prostituzione ci offrono la possibilità di tornare a riflettere su un fenomeno sociale, transnazionale di business criminale che rende schiave migliaia di ragazze. Eppure esistono modelli che danno buoni risultati.
«In Germania la prostituzione è legale (dal 2002). Dovresti iscriverti alle Camere di Commercio, pagare un forfait fiscale. Si valuta che le prostitute siano almeno 400 mila: ebbene, quelle che si sono registrate sono 44, di cui 4 uomini. Un fallimento assoluto».
D- Un fallimento anche contro la tratta?
«Soprattutto contro la tratta. Con l’ingresso in Europa di Romania, Bulgaria e stati baltici c’è stata un’ondata di ragazze che arrivavano da lì. Tedesche non ne trovi quasi più. Ragazzine in grande parte analfabete che arrivano da paesini sperduti nelle montagne e mantengono tutta la famiglia: sai che libertà! Tante rom, tante ragazze madri: le vedi anche per strada che battono con il bambino, poi quando arriva il cliente il pappone custodisce il piccolo. Una cosa straziante. Poi ci sono quelle che possono permettersi un posto nei bordelli per 140-160 euro al giorno. Sono enormi strutture private a più piani, un business colossale per i proprietari.» (Tratto dal Blog di IODonna, intervista a Greta, ex-prostituta).
Il post è di due anni e mezzo fa, circa. Ma il tema è costantemente urgente e di una gravità soffocante. Imprudenti azzardi da campagna elettorale?
Ora che qualche politico ha riproposto, con la brevità e forse la leggerezza di un tweet, l’idea di legalizzare la prostituzione, abbiamo il dovere di guardare questa piaga enorme per quello che è. E anche di segnalare il fallimento di certi modelli e il non trascurabile successo di altri. Oltre a questo sguardo più orizzontale e sociologico conviene sempre, opportune e importune, ricordare all’uomo chi è. E forse in questo caso più che in altri lanciare a piena voce l’allarme sulla violenza alle donne in quanto tali.
Intanto quelli che il leader Salvini indicava genericamente come “paesi civili” possono essere di esempio proprio per il preciso fatto che hanno ampiamente riconosciuto il fallimento devastante di questa legislazione.
La Germania riconosce inefficacia della legislazione
Altro pio intento sbugiardato dalla crudissima realtà è la maggior sicurezza per le donne che lavorano in queste strutture private. Continua Greta:
«Del resto chi apre bordelli se non i malavitosi? Tra l’altro in questi bordelli le donne sono molto meno sicure che per strada! Ci sono state decine e decine di prostitute uccise in questi anni: altro che maggiore sicurezza! Al chiuso i rischi aumentano in modo esponenziale» (Ibidem)
Quando la legge tedesca entrò i vigore, lo stesso giorno dell’inizio della circolazione dell’Euro, fu accompagnata da entusiasmi progressisti che avevano il solito accompagnamento di sfottò ai moralizzatori, ai fissati con il costume e le regole.
Ma è già del 2013 una lunga inchiesta sulla rivista Spiegel che documenta eccome il colossale fallimento: “Come la legalizzazione della prostituzione ha fallito”, ha titolato per non lasciare dubbi di sorta.
«Nel 2005 – riporat l’inchiesta – il Ministero della Famiglia tedesco era stato costretto ad ammettere che la legge era stata un fallimento. Un documento sottolineava come non vi fosse “alcuna prova solida che dimostrasse” che la legalizzazione avesse ridotto la criminalità, né che fossero migliorate le condizioni di lavoro delle prostitute e la possibilità di abbandonare questa attività». (Tratto da In Terris, 23 gennaio 2018).
La prostituzione oggi è quasi del tutto alimentata dalla tratta di ragazze povere. Dove sta la libertà?
Legislazioni come quella tedesca e olandese hanno favorito l’espansione di un business enorme. E cambiato radicalmente la popolazione delle persone occupate in quello che non è affatto il romantico “mestiere più antico del mondo” ma una condizione di abuso e sfruttamento terribile.
«Delle decine di migliaia di donne che si prostituiscono in Germania, una percentuale tra il 65 e l’80 proviene dall’estero, la maggior parte da Romania e Bulgaria. Ma ciò che spinge queste giovani a lasciare il proprio Paese – sottolinea lo Spiegel – è quasi sempre una prospettiva diversa da quella di vendere il proprio corpo.» (Ibidem)
Un modello nord europeo che funziona
C’è un esempio di applicazione di una legge a contrasto della prostituzione e della criminalità correlata che ha dato importanti risultati positivi. Viene dal profondo Nord e colpisce la domanda, o meglio considera illegale l’acquisto di servizi sessuali, come aveva intuito e proposto in anni non sospetti il nostro Don Oreste Benzi quando ha iniziato a girare per le strade di Rimini ad incontrare queste schiave (e gli ridevano dietro).
E’ del 1999 la decisione della Svezia che per mezzo del suo Parlamento introdusse un approccio legislativo radicalmente diverso: rese illegale comprare i servizi sessuali e introdusse pene per i trasgressori.
La legge svedese, ribattezzata il “modello nordico”, portò presto risultati incoraggianti.
Secondo uno studio del 2004 firmato da Gunilla Ekberg, avvocato esperta di prostituzione e traffico di esseri umani,si scopre che il numero totale delle prostitute in Svezia era passato da 2.500 del 1999 a circa 1.500 del 2002. La prostituzione sui marciapiedi era scesa a sua volta dal 50 al 30 per centro.
I numeri in Italia
La portata del fenomeno anche in Italia deve invitare tutti a ben più miti consigli e a frenare l’impulso alla digitazione di improvvidi tweet. Soprattutto se possono essere preludio a future azioni parlamentari o di governo.
«Si stima che siano fra le 75 mila e le 120 mila le prostitute in Italia, e il 65 per cento di queste si prostituisce per strada. Il 37 per cento di loro è minorenne, anche se è difficile fare una stima certa, dal momento che le ragazze tendono a dichiarare un’età maggiore di quella che hanno realmente. I clienti si stimano in 9 milioni. Sono i dati dell’Associazione Giovanni XXIII, fondata da Don Oreste Benzi, prete in prima fila contro lo sfruttamento della prostituzione.» (Tratto dal sito TPI)
Il 40 per cento vengono dalla Nigeria, un altro 40 dall’Europa dell’Est. Sono schiave e non sarebbero affatto più libere in un paese dove lo Stato anzichè cercare di estrpare il fenomeno lo regolamenta in modo ipocrita e ne trae proventi.
Don Oreste sapeva che era donne vittime di una delle peggiori forme di schiavitù e sapeva anche che era proprio il cliente il nodo da colpire. Senza criminalizzare ma per aiutare anche gli uomini. Con la reale minaccia di sanzioni e stigma sociale un uomo impara ad opporsi ad una volontà incline al vizio. Fosse soltanto per evitare perdite e danni. E non avrebbe dalla massima istituzione l’avallo ad un comportamento che è oggettivamente lesivo del corpo (e dell’anima) delle donne.
Trattare una ragazzina come una cosa non offende di fatto tutte le ragazzine, figlie e sorelle comprese?
Intanto il sindaco di Firenze, Dario Nardella, ha emesso un’ordinanza il 15 settembre 2017 che punisce con una sanzione fino a 206 euro chi venga colto a fare richiesta di prestazioni sessuali a pagamento. Iniziativa lodevole ma ancora insufficiente e limitata dall’attuale legislazione italiana
Professioniste? No, crocifisse
Forse è perché Don Oreste sapeva bene che la vera libertà è quella dal male. Per lui le donne costrette alla prostituzione, ovvero alla ingiustizia più antica del mondo, erano povere donne crocifisse, spesso poco più che bambine. E così le guardava, amandole.
Per loro nel 2016 la sua comunità Giovanni XXIII aveva organizzato una toccante Via Crucis per la Città di Roma, un momento di “solidarietà e preghiera per le giovani donne vittime di tratta, prostituzione coatta e violenza”, riferiva Don Bonaiuto, responsabile dell’iniziativa.
La nostra vera libertà è quella di ritrovare il nostro proprio volto umano, sfregiato dal peccato e dal vizio. E questo vale per tutti: prostitute, protettori, clienti, uomini politici. Noi.
Paola Belletti
Aleteia Italia, 25 gennaio 2018