Al “Leonardo” di Milano un’intera giornata sulla sessualità più problematica nell’indifferenza di docenti e genitori. I più delusi? Gli studenti.
Può capitare che un gruppo di ragazzi di uno dei più importanti licei milanesi avverta l’esigenza di riflettere su temi delicati e complessi come l’omosessualità, gli stereotipi di genere, la transessualità, i movimenti Lgbt? Può capitare, certo. Anzi, è meritorio che ragazzi di 16, 17 o 18 anni si interroghino su questioni che riguardano così da vicino la loro identità personale, argomenti di cui sentono parlare fin troppo spesso, che rimbalzano tra curiosità e propaganda, a proposito e a sproposito – più frequente questa seconda ipotesi – nel clima di pansessualismo in cui sono immersi.
Può capitare che una ventina di ragazzi proponga un’assemblea d’istituto tutta concentrata su queste problematiche, scelga gli esperti, faccia partire la richiesta al Consiglio d’istituto rispettando tutti i crismi dell’ufficialità e, senza bisogno di altre verifiche e di altri accertamenti, arrivi l’autorizzazione firmata dalla preside nella più totale indifferenza dei docenti e, soprattutto, dei genitori?
Può capitare, purtroppo. Non dovrebbe, ma può. Anzi è proprio quello che è capitato ieri mattina al Liceo scientifico statale “Leonardo da Vinci”, nel cuore di Milano, un migliaio di adolescenti e alcune centinaia di docenti.
Ebbene, sembra che un numero davvero esiguo di adulti si sia preoccupato di quanto i ragazzi avevano messo in piedi. Una sorta di programma educativo autogestito all’affettività e alla sessualità e, quasi obbligatoriamente, orientato ideologicamente. E non perché i ragazzi non abbiano dedicato tutte le attenzioni del caso all’individuazione degli esperti per loro più credibili, ma perché gli adulti che avrebbero dovuto sostenerli e affiancarli nei momenti più delicati, hanno voltato loro le spalle.
Ai dirigenti scolastici è bastato che tutto sia stato dipanato nel rispetto formale dei regolamenti. I rappresentanti dei genitori avrebbe preso atto e digerito tutto, senza preoccuparsi di verificare provenienza culturale e competenze degli esperti chiamati ad affrontare questioni che non possono e non devono essere considerate materie di routine. In questo vuoto – se così davvero sono andate le cose – si è smarrita, cancellata, evaporata qualsiasi preoccupazione educativa. Così non c’è da stupirsi che alcuni ragazzi vicini o aderenti a movimenti Lgbt abbiano “pilotato” tutta la giornata.
E che, tra gli oltre venti momenti di riflessione proposti, alcuni siano stati molto gettonati, altri ignorati al punto da far cancellare l’approfondimento. Non si è parlato, per esempio, di educazione all’affettività, nonostante l’argomento fosse in programma, visto che gli studenti hanno pressoché ignorato la proposta. Mentre sono stati seguitissimi i “panel” dedicati al “cambiamento di genere” e al “coming out”. Difficile entrare nel merito della correttezza e della profondità dei contenuti, visto la diversità di opinioni degli studenti che hanno voluto raccontarci questa vicenda. Ma su un aspetto tutti sembrano concordare. La maggior parte dei dibattiti è scivolata via senza grandi contraddittori, vista l’uniformità di opinioni segnata da un clima di accettazione acritica così larga e uniforme da cancellare ogni problematicità a questioni che invece lo sarebbero. Eccome.
Alla fine i più delusi erano proprio i ragazzi che hanno messo in moto tutta la vicenda. Volevano capire, volevano discutere, volevano ascoltare opinioni, diverse certo, ma approfondite e appassionate. Hanno raccolto soltanto, con i timbri delle varie autorizzazioni, tanta indifferenza. Un’occasione persa. Anzi, una clamorosa sconfitta per chi, come tutti noi adulti, deve costruire le generazioni di domani.
Luciano Moia
Avvenire.it, 31 gennaio 2018