Nel suo intervento sullo stato dell’Unione, il presidente ha lodato la sua riforma fiscale e i progressi economici. Appello per una riforma bipartisan sull’immigrazione. Nuovo attacco a Pyongyang. Il discorso sullo stato dell’Unione di Donald Trump davanti al Congresso a Camere riunite è stato giudicato in modo “molto positivo” dal 48% degli americani.
È quanto emerge dl sondaggio lampo realizzato dalla Cnn. Il 22% dei telespettatori poi ha detto aver avuto una reazione “in qualche modo positiva” al discorso, mentre il 29% lo ha giudicato negativamente. Il giudizio generalmente positivo viene confermato poi dal fatto che il 62% degli intervistati a caldo ha detto che le politiche delineate dal Trump muoveranno il Paese nella giusta direzione. Con solo il 35% che pensa il contrario. Se il discorso di Trump sembra quindi essere piaciuto agli americani, rimane comunque molto diviso il giudizio sulle capacità del presidente. Il 43% afferma di non avere fiducia nelle sue capacità, contro un 42% che invece esprime questa fiducia, ed un 15% che dice di essere “in qualche modo fiducioso”.
Il discorso
Ottanta minuti. Per tendere un ramo d’ulivo all’opposizione democratica in tema di immigrazione e infrastrutture ma allo stesso tempo per calcare la mano sui temi di sicurezza nazionale che gli hanno permesso di conquistare la Casa Bianca. Il primo discorso di Trump sullo stato dell’Unione – il secondo più lungo degli ultimi 50 anni e il più lungo dal 1995 – è stato sobrio, decisamente più ottimista di quello pronunciato nel giorno della sua inaugurazione. Se il 20 gennaio del 2017 aveva parlato di una “carneficina americana” che doveva finire, la scorsa notte Trump ha usato la consueta relazione annuale del presidente americano di turno sui risultati ottenuti e sulle riforme future, per infondere ottimismo. Per chiedere unità a un’America forse mai così divisa. Per ribadire il suo solito motto (“Make America Great Again”, rendere l’America di nuovo grande) e per lanciarne uno nuovo: “New American Moment” (Un nuovo momento americano). Il tutto all’insegna del patriottismo, un elemento che il leader Usa porta con sé sin dai tempi della campagna elettorale: “Insieme stiamo costruendo un’America sicura, forte e orgogliosa”.
Dopo essersi vantato del suo primo anno di presidenza, del miglioramento dell’economia e del rally dell’azionario Usa, ha detto che “non c’è mai stato un momento migliore per iniziare a vivere il sogno americano”. Perché “se si lavora sodo, se si crede in se stessi, se si crede nell’America, allora si può sognare qualsiasi cosa, si può diventare qualunque cosa e insieme possiamo realizzare di tutto”. Lui spera di portare a casa altre vittorie legislative dopo quella – non senza intoppi – sulla riforma fiscale, la maggiore dal 1986 che ha spinto aziende – citate espressamente – come Fiat Chrysler Automobiles, Exxon Mobil e Apple ad annunciare nuovi investimenti. “Come promesso al popolo americano da questo stesso podio 11 mesi fa, abbiamo attuato i più imponenti tagli alle tasse della storia”, ha sottolineato il presidente.
Consapevole degli ostacoli di fronte alla sua Amministrazione, della dura opposizione dei democratici al Congresso e del rischio di perdere il controllo di Capitol Hill alle elezioni di metà mandato del prossimo novembre, Trump ha chiesto a “tutti di mettere da parte le nostre differenze, di cercare un terreno comune e di perseguire l’unità necessaria per garantire risultati alla gente che ci ha eletto”. Leggendo parola per parola il testo, ma fermandosi spesso per compiacersi dei fragorosi applausi giunti dai repubblicani, Trump ha fatto leva su uno spirito nazionalista dicendo che nell’ultimo anno “il mondo ha visto quello che abbiamo sempre saputo: nessuno sulla Terra è così coraggioso o determinato come gli americani. Se c’è una montagna, la scaliamo. Se c’è una frontiera, la superiamo. Se c’è una sfida, la controlliamo. Se c’è un’opportunità, la sfruttiamo”. Come quasi tutti i presidenti prima di lui, Trump ha affermato che lo stato dell’Unione è “forte perché il nostro popolo è forte”. Sarà anche così, ma certamente non è compatto.
Immigrazione
Trump ha fatto riferimento ai Dreamer, termine usato per riferirsi alle persone entrate negli Usa da bambini e che rischiano l’espulsione, ma in chiave americana: lui, da Commander in chief, ha detto di avere “il dovere sacro di difendere gli americani, proteggere la loro sicurezza, le loro famiglie, le loro comunità e il loro diritto al sogno americano. Perché anche gli americani sono dei sognatori”. Trump ha offerto al Congresso quello che lui considera un “compromesso” che spiana la strada verso la cittadinanza per 1,8 milioni di persone in cambio però di cambiamenti notevoli alla politica migratoria attuale, come la fine della lotteria per ottenere la Carta Verde e della “Chain migration”, un sistema che consente a un famigliare legalmente residente in Usa di sponsorizzarne un altro. Il presidente è sembrato ottimista sul fatto di potere raggiungere un accordo bipartisan in tema di immigrazione: “Questo Congresso può essere quello che finalmente” realizzerà una riforma.
Infrastrutture
Come previsto, Trump ha chiesto al Congresso di legiferare “per generare investimenti in nuove infrastrutture per almeno 1,5 miliardi di dollari”. I dettagli però scarseggiano: si è limitato a richiedere ai partiti democratico e repubblicano “di unirsi per darci un’infrastruttura moderna, affidabile, veloce e sicura”. E a chi lo ascoltava ha promesso – come fece nella notte della sua vittoria elettorale nel novembre 2016 – “nuove strade, ponti, autostrade, ferrovie”. Trump intende usare fondi federali, oltre a quelli statali, municipali e privati. Non ha però detto quanti soldi usciranno dalle casse di Washington. In passato membri dell’amministrazione avevano parlato di un esborso di 200 miliardi di dollari.
Corea del Nord
Il discorso sullo stato dell’Unione è servito a Trump per tornare ad attaccare la Corea del Nord. Diversamente dal passato, ha fatto solo riferimento al regime “depravato, spregiudicato e crudele” evitando di parlare del suo leader Kim Jong-un, in altre occasioni chiamato “uomo razzo” e definito “basso e grasso”. Anche in questo caso, il presidente Usa non ha fornito dettagli su come la sua Amministrazione intenda contrastare i programmi missilistico e nucleare di Pyongyang, già puniti da sanzioni Onu. “Stiamo esercitando la pressione massima per evitare” che i missili balistici intercontinentali più volte testati da Kim “possano molto presto minacciare il nostro territorio”, si è limitato a dire Trump.
Iran
In tema di Iran, Trump ha ancora una volta parlato del “terribile” accordo sul nucleare siglato nell’estate 2015 dalle principali potenze mondiali (Usa inclusi). Il leader americano ha evitato di dilungarsi ricordando al Congresso di agire così come indicato il 12 gennaio scorso, quando confermò “per l’ultima volta” il congelamento di sanzioni draconiane contro l’Iran dando ai partner europei 120 giorni di tempo per ritoccare l’accordo o raggiungerne uno separato e “migliore”. “Quando il popolo iraniano ha protestato contro i crimini della loro corrotta dittatura non sono rimasto in silenzio. L’America sta con il popolo iraniano e la sua coraggiosa lotta per la libertà”, ha poi evidenziato il tycoon.
Ad un Kennedy la risposta dei democratici.
“I bulli possono colpire, lasciare il segno” ma non vinceranno. È stata la risposta dei democratici affidata al 37enne Joe Kennedy, rampollo considerato il nuovo astro nascente della politica. Ha parlato da una scuola superiore di Fall River, Massachusetts, senza cravatta e senza menzionare mai direttamente Trump. E se il presidente non ha accennato al Russiagate, Kennedy ha detto che la Russia “è immersa” nella democrazia Usa” e che questa amministrazione ha tradito gli ideali americani. “Non è giusto. Non rappresenta ciò che siamo”, è stata la frase più applaudita di Kennedy.
Paolo M. Alfieri
Avvenire.it. 31 gennaio 2018