Per il processo di unificazione europea le illusioni sono finite. E’ questo il messaggio centrale del Nono Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân di Trieste uscito, come i precedenti, nelle edizioni Cantagalli di Siena, e avente per titolo: “Europa: la fine delle illusioni”.
Lo afferma con chiarezza l’arcivescovo Giampaolo Crepaldi nella Introduzione al Rapporto: «Non abbiamo timore ad affermare che il progetto europeo è in gravissima crisi e che solo un radicale ripensamento di metodi e soprattutto di contenuti potrà – con la Provvidenza – cambiare una situazione che si sta dimostrando molto pericolosa per tutti».
Gianfranco Battisti, dell’università di Trieste, nel saggio scritto per il Rapporto, parla di un continente allo sbando: «L’osservatore esterno che guardi allo stato dell’Unione nell’estate 2017 ne trae un quadro sconfortante: prostrata da una crisi economica dalla quale non si vede l’uscita, nonostante le rassicurazioni provenienti da organismi tanto prestigiosi quanto incapaci di prevedere il crollo della finanza globale nel 2017; stretta da presso da guerre guerreggiate che ardono lungo tutti i suoi confini; terrorizzata da flussi immigratori massicci – attuali e futuri – quali non si vedevano dai tempi delle invasioni barbariche; in rotta con partner strategici quali USA e Russia; divisa al suo interno sulle modalità di gestire ciascuna di queste emergenze».
Stefano Fontana, nel secondo dei tre saggi centrali del Rapporto, solleva lo sguardo a periodi più lunghi. Secondo Carl Schmitt ed Ernst Nolte l’Europa è sempre stata teatro di guerra civile, fin dalla Rivoluzione francese o forse perfino dalla Riforma protestante. Anche quella tra Nazismo e Bolscevismo lo è stata. Il nocciolo è che in Europa la guerra civile endemica è cominciata con la nascita dello Stato ideologico, che assume il principio della “presunzione di colpevolezza” del nemico, sia esso l’ebreo per il Nazismo o il borghese per il Comunismo. La domanda quindi è questa: i trattati di Roma negli anni Cinquanta volevano liberare il futuro dell’Europa dagli Stati ideologici e dalla guerra civile. L’Unione europea c’è riuscita? Oppure si sta trasformando in un nuovo apparato ideologico? La risposta del Rapporto è, purtroppo, affermativa: sta diventando un nuovo apparato ideologico.
Alfredo Mantovano mostra bene l’origine di questo apparato ideologico. A fondamento dell’Unione Europea non ci sono solo alcuni principi della Dottrina sociale della Chiesa, ma anche il Manifesto di Ventotene, scritto durante l’esilio da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. Dopo la Brexit, il 22 agosto 2016, Hollande, Merkel e Renzi si erano recati sull’isola per confermare l’importanza di quel Manifesto per l’Unione Europea. Esso però afferma cose piuttosto inquietanti: dice che quello europeo deve essere un progetto rivoluzionario e socialista, che deve essere gestito dall’alto da parte di un gruppo politico di avanguardia perché i popoli non sono pronti, sostiene quindi l’ideale giacobino di una élite che conosce il bene del popolo anche contro il popolo e che non ha bisogno di mandato popolare per governare e guidare dato che rappresenta “le esigenze profonde della società”. Si dice spesso che per ridare vigore al progetto europeo bisogna tornare alle origini, ma le origini sono anche il gacobinismo ideologico del Manifesto di Ventotene.
Nella Sintesi introduttiva del Rapporto, firmata, oltre che dall’Osservatorio Cardinale Van Thuân, da cinque Centri di Ricerca internazionali operanti a Madrid, Breslavia, Perù, Argentina, Ecuador, compreso il Centro Studi Rosario Livatino di Roma, si sostiene che l’Unione Europea è spesso un carrozzone farraginoso e politicamente improduttivo nel quale un grande potere viene giocato dai funzionari tecnici e dalle lobbies. Il Parlamento non legifera e non può nemmeno proporre leggi, il Consiglio dei ministri si articola in 10 modalità di riunione, quando i 27 Paesi (prossimamente saranno 30) si riuniscono, ognuno ha due minuti a disposizione per parlare, il governo è in mano alla Commissione i cui componenti però non sono eletti.
Gli aspetti più inquietanti descritti nella Sintesi sono però quelli ideologici. Il progetto Erasmus assomiglia molto ad una rieducazione giovanile di massa. Le Corti di giustizia europee sono vittime di un accentuato positivismo giuridico e sposano in pieno la causa dei “nuovi diritti”. Le invasioni di campo nelle tematiche etiche e familiari di competenza degli Stati da parte delle istituzioni europee sono all’ordine del giorno. Emerge una corporazione di funzionari europei che si alimenta per cooptazione al fuori di ogni controllo politico e popolare. Viene portata avanti sistematicamente una cultura relativista e laicista con la sistematica estromissione della religione dagli spazi pubblici sostituita con un indifferentismo religioso diffuso o con la prevalenza della visione francese della laicità. Le identità popolari e nazionali ne risentono e temono di venire centrifugate in un universalismo europeo apparentemente neutro ma in realtà qualificato in senso tecnocratico ed eticamente, oltre che religiosamente, relativista.
Venuto meno lo schema concettuale dell’impero, l’Unione Europea ha assunto la logica centralistica e assolutistica dello Stato moderno che nemmeno l’assunzione del principio di sussidiarietà nel trattato di Maastricht ha saputo correggere. Anche l’idea degli Stati Uniti d’Europa, che torna alla ribalta in questo momento in Italia in vista delle elezioni politiche, sfugge a questa logica. L’Unione Europea si è dimostrata contro l’Europa e, paradossalmente, un aiuto all’Europa verrà da chi oggi critica costruttivamente l’Unione, dai Paesi che rivendicano la propria identità di Nazione e da coloro che troppo frettolosamente vengono accusati di populismo.
Stefano Fontana