La sindaca Appendino, avvertita da Avvenire: “Non sapevo nulla, garantisco io che non si farà”. Un’associazione lo aveva promosso nel Museo dell’ex carcere Le Nuove. Il direttore: piuttosto lo chiudo.
La stella rossa che campeggia in locandina è quella di Tito, il maresciallo comunista jugoslavo responsabile delle Foibe e della pulizia etnica contro gli italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia. E a organizzare il convegno negazionista a Torino il 10 febbraio, proprio nel giorno dedicato per legge al Ricordo delle Foibe e dell’Esodo giuliano dalmata, è un certo “Coordinamento nazionale per la Jugoslavia” (per gli amici “Jugocoord”). Il paradosso è grottesco e anacronistico: la Jugoslavia manco esiste più, Croazia e Slovenia (ormai Europa) hanno da un pezzo sfrattato i busti di Tito come da noi decenni fa sparirono quelli del Duce e a Mosca quelli di Stalin, ma nel capoluogo torinese i fan del maresciallo sanguinario esistono ancora e “celebrano” a modo loro il ricordo dei suoi eccidi…
Per intenderci, come se l’associazione nostalgici del Terzo Reich organizzasse gli eventi commemorativi per la Giornata della Shoah il 27 gennaio, magari con tanto di svastica. L’operazione è (solo nelle intenzioni) astuta, perché il titolo del convegno è proprio “Giorno del Ricordo, un bilancio”, e se non fosse stato per quella stella rossa si sarebbe potuto credere che fosse una delle innumerevoli iniziative che il 10 febbraio in tutta Italia onoreranno la memoria delle nostre vittime.
Ma gli esuli giuliano dalmati e i loro discendenti non sono affatto distratti, e il 17 gennaio, giorno in cui la locandina è apparsa in pompa magna sui siti e sulle pagine Facebook, si sono rivolti a noi di Avvenire: «Il cancro del negazionismo va estirpato sul nascere», ci hanno detto, perché nessuno quanto le vittime dei regimi sa bene che ciò che in passato è accaduto potrà sempre riaccadere, se gli anticorpi della memoria vengono meno.
Non solo il programma cita tra i relatori Claudia Cernigoi e Alessandra Kersevan (“qualificate relazioni scientifiche”), per le quali le Foibe non esistono o contengono carcasse di animali, ma spiega pure che «l’inserimento del “Giorno del Ricordo” nel calendario civile della Repubblica ha ricadute molto pesanti»: «appena 341» sarebbero del resto le vittime di Tito, «di cui di cui “infoibati” in senso stretto una minima frazione », inoltre «la gran parte di queste figure sono appartenenti alle forze armate o personale politico dell’Italia fascista» e via farneticando…
Abbiamo chiesto lumi alla sindaca Chiara Appendino, che però non ne sapeva nulla. La sede del convegno, il Museo dell’ex carcere Le Nuove, è del demanio in coabitazione con il ministero della Giustizia, delle Finanze e dell’Interno, «ma noi non abbiamo dato alcun patrocinio», ha fatto sapere giorni fa la prima cittadina. Che ieri è intervenuta personalmente assicurando che l’iniziativa nell’ex carcere non avrà luogo: «Quella delle Foibe è una strage che abbiamo il dovere di ricordare, affinché simili periodi bui della storia non tornino mai più. A rendere ancora più doloroso questo avvenimento è stato proprio l’oblio che per troppi anni lo ha caratterizzato, rendendo le vittime tradite dal loro stesso Paese».
Per capire allora da dove fosse spuntato questo Italijanska Koordinacija za Jugoslaviju (così tradotto sotto la stella rossa, la stessa cucita sui berretti degli sgherri che rastrellavano gli italiani di casa in casa, a guerra finita da un pezzo), non restava che chiedere a chi da anni gestisce il Museo: «Mai e poi mai abbiamo aperto le porte a un convegno che definire una vergogna è poco», ha tuonato però Felice Tagliente, presidente dell’associazione “Nessun uomo è un’isola”.
Anche lui non ne sapeva niente? «No in assoluto. Ma scherziamo? In questo museo, sorto su un luogo di dolore, si celebra solo la memoria delle vittime e si restituisce verità a una storia già fin troppo tragica come quella delle Foibe. Nessun evento ha luogo in questa sede se prima non lo decide il direttivo e noi non abbiamo mai valutato alcuna richiesta del genere. La prassi è chiara: prima si chiede l’autorizzazione in Comune, poi, se gli obiettivi sono alti e coerenti con i valori di questo Museo, diamo i permessi, ma nulla di tutto ciò è avvenuto. Questa gente millanta, si inventa un convegno addirittura inesistente, pensi quanto sono seri. Ieri mattina mi hanno chiamato dagli uffici della sindaca Appendino, avvertita da Avvenire di quanto stava avvenendo, e siamo tutti caduti dalle nuvole». Quanto al 10 febbraio, «se si presenteranno qui, piuttosto sono disposto a chiudere il museo, le chiavi le ho io». Jugocoord è avvisata.
Lucia Bellaspiga
Avvenire.it 1 febbraio 2018