Non è stato un piccolo incidente da dimenticare la sentenza dei giorni scorsi della Corte europea per i diritti umani sul diritto di usare Gesù Cristo e la Madonna per vendere jeans. E non solo, per la Corte europea rientra nella libertà di espressione anche tatuarli e prenderli in giro.
È la certificazione di una triplice resa: della civiltà ai consumi; della religione al profitto e del sacro alla libertà assoluta. Irreligione e derisione vincono su ogni rispetto e osservanza.
Ma c’è un’ulteriore perversione: quella libertà assoluta viene poi negata se si offendono le religioni altrui, a partire da quella islamica; anzi, quella stessa libertà viene criminalizzata se si tratta di shoah, come nel caso dell’immagine di Anne Frank con la maglia della Roma.
Provate a fare una campagna pubblicitaria per un jeans con un’immagine parodistica del genere e ditemi dove fa a finire la presunta, pretesa libertà di espressione o di satira. E lo stesso discorso vale se in una campagna pubblicitaria si prende in giro un disabile, un nero, un omosessuale.
La tolleranza finisce e si passa alle sanzioni.
Allora la questione ha due aspetti: il primo è la caduta del sacro e della tradizione nel nome della libertà e della comunicazione (pubblicitaria) illimitate. Il secondo è la nuova frontiera del sacro sulle tematiche ritenute sensibili.
Il politicamente corretto è la nuova religione del nostro tempo coi suoi tabù inviolabili e le sue zone vietate. E’ la nuova forma del sacro che ha preso il posto della religione cristiana; legata non a fattori soprannaturali ma ideologici, sociologici e temporali.
Col titolo Politicamente corretto è uscita in Italia una ricerca di Jonathan Friedman che mostra dall’America alla Svezia, il “conformismo morale come regime” e “l’inversione ideologica” imperante. Dal relativismo sta nascendo un nuovo dogmatismo repressivo, che esige conformità e allineamento.
Ma è davvero una novità la dissacrazione di Gesù? No, almeno dal ’68 in poi la dissacrazione e la blasfemia sono lessico quotidiano in Occidente. C’è un precedente analogo che molti ricorderanno: la campagna pubblicitaria dei jeans Jesus con la scritta “Chi mi ama mi segua”.
Non c’era ancora l’immagine di Cristo ma c’era già la parola di Gesù usata parodisticamente per pubblicizzare un paio di pantaloni. “L’Italia è tappezzata di manifesti rappresentanti sederi con la scritta “chi mi ama mi segua” e rivestiti dei blue-jeans Jesus. Il Gesù del Vaticano ha perso”. Così scriveva Pasolini in un testo inedito poi apparso in Scritti corsari.
Era l’Italia del 1973, precedente ai referendum sul divorzio e sull’aborto. Pasolini aveva notato che il conflitto tra il vecchio potere ancora legato alla religione, rispettoso della Chiesa, e il nuovo potere irreligioso e consumista, si stava concludendo con la vittoria di quest’ultimo.
La nuova borghesia cinica, scriveva Pasolini a proposito de “Il ‘folle’ slogan dei jeans Jesus” sul Corriere della sera del 17 maggio 1973 “non sa più cosa farsene della Chiesa, la quale, ormai, ha finito genericamente con l’appartenere a quel mondo umanistico del passato che costituisce un impedimento alla nuova rivoluzione industriale; il nuovo potere borghese infatti necessita nei consumatori di uno spirito totalmente pragmatico ed edonistico: un universo tecnicistico e puramente terreno(…) Per la religione e soprattutto per la Chiesa non c’è più spazio… con la conseguente dissoluzione «naturale» della Chiesa”. E dire che lo stesso Pasolini era stato accusato di blasfemia per il suo film di pochi anni prima, Il Vangelo secondo Matteo.
Quarantacinque anni dopo ci risiamo.
Nulla di nuovo, dunque? La vera novità è che la campagna dei jeans jesus non trovò ostacoli; invece la nuova parodia di Gesù a fini commerciali trova addirittura una sentenza di legittimazione della Corte europea dei diritti umani.
La novità è che ora il potere della legge e l’autorità dell’unione europeasanciscono che non ci sono limiti alla libertà d’espressione: non c’è religione, non c’è tradizione, non c’è educazione, non c’è sensibilità ferita che possa frenare la libertà. Almeno se il riferimento è alla religione, alla tradizione, alla sensibilità cristiana.
Vedo in quella sentenza la dichiarazione di morte della civiltà europea.
Sul ponte sventola bandiera bianca. Qui non è in gioco la confessione religiosa e la professione di fede; è in gioco, invece, la matrice cristiana della civiltà europea (oltre la matrice greca e romana). Quando non si riconosce un confine da non oltrepassare, quando non si distingue più tra ciò che è essenziale e ciò che è contingente, quando non c’è più distinzione tra la sfera ritenuta sacra e quella profana, non c’è più civiltà.
C’è solo la resa su tre livelli: politico, col disarmo civile e morale dell’Europa; demografico, con la decrescita infelice di natalità; e culturale, con la rinuncia ai simboli e i contenuti della civiltà.
È il caso di dire: l’Europa s’è abbassata i pantaloni, la civiltà è finita in braghe di tela.
Marcello Veneziani
Il Tempo 4 febbraio 2018