Teresio Olivelli ha raggiunto l’onore degli altari e la sua memoria liturgica è fissata per il 16 gennaio, giorno del suo Battesimo. Sabato scorso la solenne cerimonia a Vigevano, dove il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, ha dato lettura della Lettera apostolica con cui papa Francesco ha iscritto nell’Albo dei beati il «laico martire» ucciso dai nazisti nel campo di concentramento tedesco di Hersbruck dove ha dato la testimonianza suprema difendendo «i deboli e gli oppressi fino al dono della vita».
Nato a Bellagio (CO) nel 1916, Teresio Olivelli frequenta le ultime classi elementari a Zeme, dove la famiglia ritorna nella casa paterna. Dopo il Ginnasio a Mortara e il Liceo a Vigevano, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pavia, come alunno del collegio Ghislieri.
Nel tempo degli studi ginnasiali, liceali e universitari, come pure nell’anno di insegnamento universitario, a Mortara, a Pavia e a Torino, partecipa intensamente alle attività di Azione Cattolica e della Fuci e della S. Vincenzo, poiché avverte l’impellente richiamo di portare i valori evangelici nei diversi ambienti sociali, specialmente del mondo universitario, non temendo di affiancarsi all’unica espressione politica consentita, il fascismo. Con il supporto di una fede intensamente vissuta, opera altresì là dove il bisogno dei più poveri lo chiama per lenire sofferenze materiali e spirituali.
E’ questo il periodo in cui diventa più concreta la sua vocazione alla carità, che testimonia con crescente ardore. Realizza così nell’Azione Cattolica una feconda esperienza spirituale e formativa, prefigurante alcuni significativi tratti del suo futuro cammino. Laureatosi nel novembre 1938, si trasferisce all’Università di Torino come assistente della cattedra di diritto amministrativo. Inizia una stagione di intenso impegno socio-culturale, caratterizzato dallo sforzo incessante di inserirsi criticamente all’interno del fascismo, con il proposito di influirne la dottrina e la prassi, mediante la forza delle proprie idee ispirate alla fede cristiana. Questo tentativo di “plasmare” il fascismo è finalizzato unicamente ad affrontare un’emergenza: la costruzione di una società migliore.
Vince pure i littoriali del 1939, sostenendo la tesi che fonda la pari dignità della persona umana, a prescindere dalla razza. Chiamato a Roma presso l’Istituto Nazionale di studi e di ricerca, dove può intrattenere rapporti con personaggi autorevoli del panorama culturale e politico italiano, vi opera effettivamente per otto mesi: infatti rifiutando l’esonero decide di intraprendere il servizio militare. E’ in corso una guerra imposta al Paese, il quale deve subire; Teresio non vuole considerare dall’alto di un ufficio e con distacco la maturazione degli eventi, ma desidera inserirsi in essi, con eroica abnegazione. In particolare, è fermamente determinato a stare con i soldati, la parte più esposta e quindi più debole del popolo italiano in lotta. Nel 1940 è nominato ufficiale degli alpini: chiede di andare volontario nella guerra di Russia per stare accanto ai giovani militari e condividerne la sorte. Sopravvissuto alla drammatica ritirata, mentre tutti fuggono egli si ferma a soccorrere eroicamente i feriti, con gravissimo rischio. Rientrato in Italia nella primavera del 1943, abbandona definitivamente la brillante carriera “romana” e, all’età di 26 anni, ritorna in Provincia per dedicarsi all’educazione dei giovani come rettore del Ghislieri, avendo vinto il relativo concorso al quale si era presentato prima di partire per il fronte russo.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 si trova ancora sotto le armi ma non volendo farsi complice dello straniero che occupa l’Italia, non si arrende ai tedeschi, pertanto viene arrestato e deportato in Germania. Il suo rifiuto di collaborare con i nazifascisti, che causa il suo primo arresto, va letto non solo da un punto di vista politico come fedeltà al Re, cioè al potere legittimo, ma anche dal punto di vista soprannaturale della carità. Rifiuta di collaborare con i nazifascisti per fedeltà al Vangelo, rifiuta di mettersi al fianco di un regime e di una ideologia anticristiana: il nazismo. La sua è una scelta dettata anche da motivi religiosi nella prospettiva dell’avvento di «un mondo nuovo più cristiano»,[1] come scrive allo zio sacerdote qualche giorno prima. Fuggito si inserisce nella resistenza cattolica bresciana. La sua è una adesione peculiare: infatti non agisce secondo criteri ideologici o di partito, ma unicamente secondo i principi della fede e della carità cristiana.
Quella di Teresio Olivelli è sì una partecipazione generosa alla lotta di liberazione con le altre forze sociali del Paese, ma più profondamente è testimonianza viva del Vangelo in tutte le espressioni della carità per l’uomo, in momento in cui si accendono i roghi dell’odio. Fonda Il Ribelle, foglio clandestino di collegamento tra i partigiani di ispirazione cattolica; in queste pagine egli esprime il suo concetto di resistenza; essa è rivolta dello spirito alla tirannide, alla violenza, all’odio; rivolta morale diretta a suscitare nelle coscienze dei sottomessi il senso della dignità umana, il gusto della libertà. Scrive la famosa preghiera Signore facci liberi, comunemente detta “Preghiera del ribelle”, perché destinata all’orazione dei partigiani, chiamati ribelli. In questo testo definisce se stesso e i suoi compagni “ribelli per amore”. Opera nella realtà caritativa-assistenziale che fa capo alla Curia Arcivescovile di Milano.
È ritenuto dai nazifascisti un nemico in quanto esponente di quel mondo cattolico che pro-muove un ordine di valori sui quali primeggia la carità cristiana, volta a costruire la civiltà dell’amore contrapposta a quella dell’odio propugnata dai nazifascisti. Tutto ciò e la diffusione tramite il giornale Il Ribelle di un pensiero ricco di umanità e squisitamente evangelico costituiscono i motivi del suo arresto che avviene a Milano nell’aprile 1944. Segue la deportazione nei campi nazisti prima in Italia, poi in Germania: Fossoli, Bolzano-Gries, Flossenburg, Hersbruck: Teresio comprende che è giunto il momento del dono totale e irrevocabile della propria vita per la salvezza degli altri. In questi luoghi aberranti e disumani, esprime in pienezza l’offerta di sé diventando testimone di carità e di aiuto fraterno, anche a costo della propria vita. Interviene a difesa dei più deboli e dei più colpiti, interponendosi e prendendo lui le percosse destinate ad altri; rinuncia alla sua razione di cibo per i malati e gli esausti; pulisce i colpiti da dissenteria. Ammirevole è la sua missione a favore dei moribondi, amorevolmente accompagnati da lui nelle fasi che precedono la morte. Ai defunti dona dignità attraverso la sua instancabile orazione. Questo atteggiamento suscita nei suoi confronti l’odio dei capi baracca, che di conseguenza gli infliggono dure e continue percosse. Esse non fermano il suo slancio di carità, a causa del quale è consapevole di poter morire: tuttavia sceglie di correre tale rischio. Ormai deperito, si protende in un estremo gesto d’amore verso un giovane prigioniero ucraino brutalmente pestato, facendo da scudo con il proprio corpo. Viene colpito con un violento calcio al ventre dal kapò. Questi reagisce violentemente su Olivelli e intende punirlo perché caritatevole, volendo rifiutare quella sua carità che sfida e sconfigge la propria violenza, che pretende sempre vittoriosa ed assoluta. Portato in infermeria, muore il 17 gennaio 1945 dopo giorni di agonia trascorsa nella preghiera.
Dal sito internet: www.teresiooliovelli.com