BIOTESTAMENTO – Altre riflessioni

By 11 Febbraio 2018Articoli Bioetica 2018

Al Presidente della FNOMCeO Dott. Filippo Anelli

Al nuovo Presidente, Dott. Filippo Anelli e a tutto il Comitato Centrale, che per il prossimo triennio governeranno FNOMCeO (Federazione Nazionale Ordine Medici Chirurghi e degli Odontoiatri), un augurio di buon lavoro.
Condividiamo pienamente le linee programmatiche espresse dal Presidente, Dott. Filippo Anelli, per il lavoro richiesto alla FNOMCeO nei prossimi anni: “è necessaria la riscoperta dell’essere medico, secondo quello spirito già previsto nel Codice Deontologico, che assegna al medico una autonomia, una responsabilità, una indipendenza ma anche una libertà nell’esercizio professionale.” (dott. Filippo Anelli, intervista https://portale.fnomceo.it/rainews-24-gerardo-damico-inter…/.)

Il nostro lavoro di medici, in questi anni, è stato infatti caratterizzato da uno sviluppo straordinario di conoscenze e tecnologie da una parte e dall’altra da una disponibilità limitata di risorse, con il rischio di sottomettere la salute all’economia e non solo, la salute alla burocrazia, la propria responsabilità ad una “regola”, con conseguente riduzione del medico ad “applicatore” di protocolli e di prestazioni tecniche, alterando così l’alleanza medico-paziente.
L’attacco più grave per la nostra professione viene oggi in Italia proprio dall’ambito giuridico: i nostri “politici”, per legge, attaccano l’aspetto chiave della nostra professione, la relazione medico-paziente.
Ci riferiamo alla legge n. 219 del 22 dicembre 2017 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, entrata in vigore lo scorso 31 gennaio. Tale legge, di fatto, introduce nell’ordinamento italiano procedure eutanasiche, snatura la professione del medico, sostituisce al principio di beneficialità – da sempre fondamento di una medicina rispettosa dell’uomo – il principio della disponibilità della vita.
Sono molti i punti che suscitano perplessità. Di seguito elenchiamo i principali.

– Innanzitutto risulta difficile comprendere il motivo per cui, all’inizio della legge, sia posto come riferimento costituzionale per la disciplina del consenso informato l’art. 13 della Costituzione, articolo che sancisce l’inviolabilità della libertà personale e impone che ogni sua limitazione sia vagliata da un giudice (Articolo 13. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge). Che senso ha, in materia sanitaria, richiamare tale articolo? Forse si vuole intendere che il medico che non eseguisse alla lettera le pregresse volontà del paziente debba essere equiparato ad un sequestratore, dal quale difendersi più che farsi curare? Come è possibile che un “atto medico” possa rientrare in questo contesto?

– Nel c.2 dell’art. 1 si legge: “E’ promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico”.
Viene riconosciuto come atto fondante dell’attività medica il consenso informato.
A nostro avviso occorre piuttosto ricordare che le finalità di un atto di cura hanno alla base il bisogno di cura, lo stato di malattia e la ricerca di salute, bisogni che portano il paziente a rivolgersi ad un medico disposto ad offrire competenze e responsabilità.
Se non sono più chiare e condivise l’origine e la finalità di un atto medico necessariamente ci si troverà di fronte al conflitto di “due autonomie”, quella del medico e quella del paziente e si dovrà scegliere quale far prevalere, ponendo quindi le basi per una conflittualità nel rapporto medico-paziente.
– Con estremo realismo riconosciamo che il “consenso” è spesso disinformato, non perché non vengano fornite le informazioni, anzi spesso ridondanti, (diventando in definitiva uno “strumento di difesa” del medico in previsione di azioni legali), quanto piuttosto per la condizione di essere paziente. E’ esperienza comune di noi medici osservare come la capacità di comprendere da parte del paziente sia condizionata da molti fattori, a partire dalla malattia, con il suo bagaglio di paura, attesa e speranza.

– Il consenso è sicuramente disinformato al momento della sottoscrizione delle DAT, infatti, per definizione il paziente “dispone anticipatamente” per un trattamento futuro al di fuori del contesto reale in cui potrebbe trovarsi: tipo di malattia, livello di gravità, trattamenti disponibili e trattamenti terapeutici innovativi. Numerosi studi clinici dimostrano quanto sia difficile interpretare la volontà del paziente che non è ancora in quella condizione di “malattia.”
– Nei commi 6, 7, 8 dell’art. 1 emergono una serie di affermazioni contraddittorie e di difficile interpretazione.
Nel c.6: “Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale. Il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tale richieste, il medico non ha obblighi professionali.”
“Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente” e così è “esente da responsabilità civile o penale”. Se il testo contempla una esenzione così ampia è perché la condotta pretesa dal medico è in sé contraria al codice penale e al codice civile. Il testo non disciplina però che il caso che, a distanza di tempo da quando le disposizioni sono state redatte, il medico colga la possibilità di curare il paziente con successo: prevarrà ciò a cui indurrebbero professionalità e deontologia o quanto che è stato scritto anni prima in un documento slegato dalla attuale situazione e tuttavia per legge vincolante? Perché costringere i medici a non scegliere, piuttosto che agire secondo scienza e coscienza?
Il c.7: “Nelle situazioni di emergenza o di urgenza il medico e i componenti dell’equipe sanitaria assicurano le cure necessarie, nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentono di recepirla.”
Visto che la disposizione anticipata può prevedere sia il consenso che il rifiuto di trattamenti sanitari salvavita, cosa avviene quando la disposizione anticipata non viene rilasciata ed il paziente giunge in stato di incoscienza?
Si dovrà presumere il consenso (e quindi noi medici dovremo far tutto quanto ragionevolmente possibile per salvargli la vita) oppure il rifiuto (e dunque non procedere a nessun trattamento e quindi far morire il paziente)? In altre parole: le DAT potranno contenere esplicite indicazioni come il “do not resuscitate”? Se si vogliono escludere, sarà bene specificarlo, altrimenti è facile immaginare che prima premura del medico di un paziente che giunge in stato di incoscienza possa non essere (più) curare e non perdere quel tempo prezioso per salvare la vita, ma “attaccarsi” al telefono o al pc per tutelare se stesso, verificando l’esistenza e o meno delle DAT e il loro contenuto specifico.
In ogni caso, nel c. 4 dell’articolo 7, si lascia al firmatario la libertà di scegliere se dare copia delle DAT o indicare dove esse siano reperibili…
Non esiste un registro nazionale, non si sa precisamente quando le DAT diventeranno effettive, né chi avrà la responsabilità di eseguire tali procedure tecniche.

– Il c. 10: “Ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione dei princìpi di cui alla presente legge, assicurando l’informazione necessaria ai pazienti e l’adeguata formazione del personale.”
Tale legge altera in maniera sostanziale anche la fisionomia del Sistema Sanitario Nazionale, costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica, attribuendo ad esso una funzione diversa.
– Dal complesso dei 10 commi dell’articolo 1 della legge sulle DAT, emerge chiaramente una concezione contrattualistica, dispositiva e precettiva del consenso informato. Il principio regolatore indicato non è più l’affidamento da parte del soggetto bisognoso di cura alla competenza e responsabilità del medico, bensì un regolamento di tipo negoziale nel quale al medico sono consentiti solo gli atti terapeutici specificamente e formalmente autorizzati dal paziente o dal soggetto a cui sia delegato il potere di disposizione (genitore, tutore, amministratore di sostegno, fiduciario).
Ci preme sottolineare che la legge, nella forma e nel contenuto, tratta un “bene” come quello della vita, alla stregua dei beni economici, immobiliari e testamentari veri e propri: ne è un esempio la sostituzione nel titolo di “Dichiarazioni” (originariamente previsto) con “Disposizioni” Anticipate di Trattamento.)
– La legge introduce la figura del “fiduciario”, una sorta di “esecutore testamentario” del paziente con il compito non solo di fare rispettare le DAT, ma anche di interpretarle, delineando così una relazione tra diverse figure: medico-paziente-fiduciario-famiglia, di cui però confini e priorità sono confusi. E’ evidente che questa situazione porterà facilmente ad un aumento dei conflitti giudiziari tra strutture sanitarie, medici, pazienti, familiari e fiduciari, a scapito della serenità della relazione medico-paziente.

– Al c.5 dell’art. 1 leggiamo: “Ai fini della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica di nutrienti mediante dispositivi medici.”
Con “Idratazione e nutrizione artificiale”, si intende anche la somministrazione di soluzioni idroelettrolitiche e soluzioni glucosate? Nessuna distinzione tra casi acuti o cronici?!
Qualsiasi forma di “Idratazione e Nutrizione” richiederà la firma del consenso informato?
Niente è più lontano dalla comune pratica clinica come, per esempio, la sospensione della idratazione ai nostri pazienti, in quanto la stessa idratazione permette il corretto funzionamento di molti trattamenti antidolorifici e, nei pazienti terminali, la sedazione palliativa.
E’ evidente che sospendere nutrizione e idratazione artificiale significa sottrarre al paziente il minimo sostegno vitale necessario per il mantenimento del metabolismo basale, portandolo a morte sicura, a prescindere dalla patologia da cui è colpito.
Nutrizione e idratazione non possono qualificarsi “sempre” e “a priori” come trattamenti sanitari anche praticati con mezzi più sofisticati di cucchiaio e forchetta: chi porrà il limite fra mezzi naturali e artificiali, visto il continuo sviluppo dei mezzi tecnologici?

– La legge non prevede, in una materia così delicata, “l’obiezione di coscienza del personale sanitario”. L’istituto non è stato previsto dal Legislatore, come non è stata disciplinata l’esenzione
applicativa del suo dettato per le strutture sanitarie di ispirazione religiosa: ciò rende ancora più
grave un quadro già in sé negativo e preoccupante.
L’on. Beatrice Lorenzin, ministro della salute, ha riconosciuto l’esistenza del problema, a tal punto che ha annunciato un incontro con i rappresentanti degli istituti sanitari religiosi al fine di individuare un equilibrio fra le nuove norme e la tutela delle intime posizioni di coscienza dei medici e del personale sanitario.
Vista la presenza di tale vulnus, istituzionalmente ammesso dal ministro responsabile di settore, nella consapevolezza delle notevoli difficoltà che si riverseranno a breve sui noi medici e sulle strutture sanitarie in virtù delle nuove disposizioni, a fronte della mancata esplicita regolamentazione dell’obiezione di coscienza nell’ambito della legge sul consenso informato e sulle DAT, la strada – invero impervia e rischiosa – che rimane ai soggetti coinvolti per esercitare il proprio diritto ad obiettare è astenersi dalle condotte eutanasiche che la loro coscienza vieta e che la legge permette. L’obiezione di coscienza è stata dalla nostra Corte costituzionale ritenuta (Sentenza n. 467 del 1991) “scelta costituzionalmente obbligatoria”.
L’obiezione di coscienza, infatti, costituisce un diritto fondamentale dell’uomo garantito dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali, che discende direttamente anzitutto dall’art. 2 della Costituzione, pur nell’assenza di una legge regolatrice.
Tuttavia, la mancanza di regolamentazione espressa da parte del legislatore rende l’esercizio del diritto assai complicato e rischioso. Infatti, la sua affermazione solleverà un grave e durissimo
contenzioso: l’ultima parola sarà affidata alle mutevoli decisioni dei singoli giudici, i quali a loro volta potrebbero rivolgersi alla Corte Costituzionale.

In sintesi:
questa legge altera in profondità l’aspetto più importante della professione medica, la relazione medico-paziente, ponendo alla base il principio di autodeterminazione del paziente, rendendone vincolanti le volontà per il medico, cancellando di fatto l’alleanza terapeutica che è alla base di qualsiasi atto della nostra professione.
Questa legge, scardina tutto quello che viene insegnato agli studenti circa la relazione medico-paziente, obbligando invece ad insegnare loro che prima di salvare la vita dei pazienti dovranno leggere e applicare le DAT, perché solo così saranno esenti da responsabilità civili e penali.

Come alcuni giuristi hanno evidenziato: “Cari medici, se passa il testamento biologico, cercatevi un avvocato!”
Chiediamo quindi alla FNOMCeO, di farsi carico della difesa e salvaguardia della nostra professionalità, per poter continuare a svolgere la nostra professione secondo scienza e coscienza, come recita il Giuramento Professionale del Codice di Deontologia Medica:

“Giuro di prestare, in scienza e coscienza, la mia opera, con diligenza, perizia e prudenza e secondo equità, osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della professione.”

La relazione che si instaura tra medici e pazienti ed il progetto di vita che viene condiviso devono essere il solo risultato di un accordo tra i protagonisti del processo di cura.
Il medico non può essere obbligato come un mero esecutore testamentario ad agire contro la sua personale etica e contro il Codice Deontologico che definisce le regole comportamentali condivise all’interno di una categoria; queste regole sono state scritte per il bene supremo della persona che assistiamo e non per proteggere una categoria professionale; per questa sua autorevolezza il Codice di Deontologia Medica ha sempre più assunto la caratteristica di strumento guida del nostro lavoro.

Comitato No alle Dat

Presidente: Giuliana Ruggieri
Vice presidente: Pietro Gargiulo
Responsabile segreteria: Irina Berardo