Il presidente del Bureau medico che ha il compito di constatare le guarigioni inspiegabili, de Franciscis: «La prima cura è il contatto con i malati».
«I media hanno talvolta spettacolarizzato certe storie in particolare. Ma qualunque persona che giunge qui e si apre a me ritenendo di essere guarita mi appassiona. Lourdes resta il luogo di guarigione della Chiesa. Innanzitutto, per tutti, la guarigione dei cuori, al contatto con i malati». Nel suo ufficio accanto ai santuari, il dottor Alessandro de Franciscis parla della sua esperienza unica di «medico inutile che si occupa di guariti e non di malati», come ripete spesso scherzando. Dopo aver risposto nel 2008 a una lettera episcopale d’invito dagli effetti “esplosivi” nella sua vita, giunta in Italia direttamente da Lourdes, guida da quasi un decennio il Bureau medico che studia i casi di guarigioni che scavalcano apparentemente le conoscenze scientifiche. Nei 160 anni dalle apparizioni, celebrati quest’anno, 69 guarigioni sono state riconosciute come miracolose dal vescovo della persona guarita.
In questi anni la sua relazione con il mestiere di medico è cambiata?
Molto. Provengo dalla medicina clinica, ovvero toccare, palpare, diagnosticare, trattare, curare e se possibile guarire. Oggi sono chiamato a un altro tipo di servizio che è quello di ascoltare, discernere, giudicare, condividere. Non posso dire che non faccio medicina, perché la medicina è anche questo. Basterebbe pensare alle belle figure di santi medici del secolo scorso, come Giuseppe Moscati o Gianna Beretta Molla. Il medico è pure prossimità, ascolto di storie personali. Ma dal vescovo di Lourdes, mi è stato affidato un servizio che è pure d’indagine, nel quale sento tutta la ricchezza delle intuizioni della Lourdes dei primordi. All’epoca, mentre esplode l’arroganza del metodo scientifico e l’agnosticismo trionfante di certo scientismo, la Chiesa si mette con intelligenza innanzitutto in ascolto del giudizio dei medici e della scienza. Ho ricevuto un incarico delicato che conserva l’attrezzatura del metodo medico-scientifico. Mediamente incontro ogni anno un centinaio di persone, che spesso non rivedrò più. L’anno scorso ho registrato oltre trenta storie di guarigioni potenzialmente interessanti. Al contempo mi è dato di vivere, in mezzo ai malati, l’accoglienza dei pellegrinaggi.
Nel corpo roccioso dei Pirenei è apparsa una fonte. Essere medico a Lourdes significa scavare sotto la superficie?
Sì, ma quest’attenzione verso la profondità di ogni esperienza di vita non è stata per me una scoperta recente. Ho ricevuto il dono di avere diverse vite. Da ricercatore all’Università di Napoli cercavo di trasmettere agli specializzandi in pediatria una serie di attenzioni verso il malato che avevo imparato proprio a Lourdes, come barelliere fra tanti, negli anni in cui ero studente. Dagli amici disabili e ammalati, imparai allora a sedermi sempre all’altezza d’occhi del mio interlocutore, atteggiamento oggi per me automatico. O ad accendere sempre la mente prima di azionare la lingua, per evitare di ferire. Da un amico spastico, affetto da paralisi cerebrale infantile, imparai a non guardare l’orologio da polso durante una conversazione. Gli occorreva del tempo prima di emettere un messaggio con il suo apparecchietto e soffriva se controllavo l’ora. Da allora, negli anni al Policlinico, poi in quelli alla Camera dei deputati o come presidente provinciale e ancor oggi qui, ho sempre avuto un gran numero di orologi sparsi dappertutto per evitare di guardare il polso. Si impara presto da Lourdes, che è una scuola di vita. Nel mio caso, vi ho scoperto anche i fondamentali della mia vita di fede.
Da 160 anni questa “scuola di vita” continua a lanciare domande recepite anche dalla scienza?
Sono profondamente convinto che conosciamo la macchina del corpo umano, ma che sulla persona umana sappiamo ancora pochissimo. Nel 2012 il nobel Luc Montagnier, la reumatologa americana Esther Sternberg e altri ricercatori hanno accettato di venire a Lourdes per dialogare sulle nuove prospettive di esplorazione del rapporto fra mente e corpo, a proposito delle capacità umane di guarigione. Ho poi scoperto una splendida pagina sulla forza e sulla suggestione di Lourdes del celebre neuropsichiatra francese David Servan-Schreiber, non credente. E l’anno scorso, come responsabile del Bureau, sono stato invitato per la prima volta a tenere una lezione in videoconferenza presso un’università pubblica francese. A Lourdes, siamo anche eredi di una storia medica di ricerca della verità che non ha nulla a che spartire con la magia. E ho l’impressione che il riconoscimento di quest’eredità umana possa superare le barriere del passato.
Goccia a goccia, percepisce una percolazione storica fra il messaggio di Lourdes e la ragione umana?
Non lo dico io. Per ogni credente, è l’Immacolata Concezione che vuole e determina l’ingresso di questo messaggio come patrimonio della storia umana, attraverso ogni singola persona malata. È quanto ci ha insegnato di continuo san Giovanni Paolo II, datando 11 febbraio i documenti di magistero riguardanti la vita e i malati. Da Pontefice ha riconosciuto in Lourdes il luogo di guarigione della Chiesa.
Daniele Zappalà
Avvenire.it, 10 febbraio 2018