«Il mio pensiero è sempre rivolto al Signore. Questa credo sia la mia fede: non è che Dio c’è solo se le cose vanno tutte bene. Io chiedo al Signore non solo di accettare la sua volontà, ma di amare la sua volontà. Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per amore. E quando fai le cose per amore, la fatica si annulla. L’amore rende tutto più leggero».
Chissà che San Giovanni Paolo II non avesse in mente persone come lei quando pronunciò a Norcia nella sua visita pastorale queste parole: «Benedetto, leggendo i segni dei tempi, vide che era necessario realizzare il programma radicale della santità evangelica, espresso con le parole di san Paolo, in una forma ordinaria, nelle dimensioni della vita quotidiana di tutti gli uomini. Era necessario che l’eroico diventasse normale, quotidiano, e che il normale, quotidiano diventasse eroico». (Omelia di Giovanni Paolo II, Norcia, 23 marzo 1980)
San Benedetto, patrono nel petto d’Europa da prima che il grande Beato Paolo VI lo riconoscesse tale per la Chiesa e il mondo, aveva portato la misura alta ed eroica dei martiri e degli apostoli nella trama dei giorni , nel vissuto quotidiano dei popoli di tutto il continente. Ma è ora, proprio ora, ammoniva pieno di speranza l’allora Pontefice, che abbiamo particolare bisogno che questa linfa riprenda a scorrere. Proprio ora e proprio nelle case, nelle famiglie, nel lavoro: nel quotidiano.
La storia di questa donna sembra proprio l’emblema di una santità sublime e feriale.
Perché Mariapia, innamorata del suo Domenico da quando avevano 17 anni si sposa e con lui mette su famiglia. Nel 1966 nasce il primo figlio e nel ’69 il secondo: Giorgio e Gianni.
All’epoca la medicina aveva mezzi molto più scarsi a disposizione sia per diagnosticare sia per curare malattie genetiche gravi come quella che ha colpito entrambi i fratelli.
Dopo i primi anni di sviluppo pressoché normale entrambi i figli iniziano a perdere mano a mano le loro capacità motorie. Da anni vivono allettati o seduti in un “sistema posturale”.
Nel 1977, il marito che con la sua constante collaborazione aveva fondato e avviato brillantemente uno studio di consulenza del lavoro, muore all’improvviso. Un infarto.
Racconta che appena diventata vedova, in senso letterale, cioè appena rientrata dal funerale del marito, dovette iniziare a rispondere alle chiamate di chi le proponeva di rilevare lo studio. Questa mancanza di delicatezza fa però maturare in fretta in lei una decisione importante per la sua vita e quella dei figli. Lo porterà avanti lei, quello studio che con tanti sacrifici avevano messo in piedi insieme; e nel lavoro troverà impegno, responsabilità certo ma anche fonte di gratificazione e di sollievo. Dalla morte di Domenico anche la cura dei figli rimane tutta in capo a lei.
Ai suoi due ragazzi, che capivano tutto e pativano quindi integralmente le loro gravissime menomazioni, cerca di proporre tante piccole occasioni di bellezza: Giorgio ascoltava decine di dischi di musica classica. Si mette anche a dipingere grazie all’uso di un casco. Il fratello lo imita.
A questo punto potremmo, da fuori, pensare che la vita debba essere stata davvero triste e faticosa. Certo, dolore, fatica, momenti di ribellione li avranno senz’altro avuti. Ma, dice Mariapia:
«La forza me l’hanno data anzitutto Giorgio e Gianni». «Noi tre siamo cresciuti insieme, nella vita e nella fede. Mi hanno insegnato tutto: il valore della vita, la capacità di gioire per le piccole cose, l’importanza di dare il giusto peso ai problemi. Mi hanno insegnato soprattutto ad accettarsi e ad accettare. Questo ha prodotto in me una grande serenità. Vedo che spesso i figli o i nipoti delle mie amiche non sono mai contenti. Ai miei ragazzi è sempre bastato poco per esserlo: leggere un libro insieme, stare con loro, fare piccole cose». (Famiglia Cristiana – Credere)
Sì, i figli che il mondo classificherebbe con “un po’ meno figli”, di una categoria più scadente, sono invece maestri delle poche cose essenziali che occorre sapere e sulle quali occorre poggiarsi per vivere degnamente.
Paradossalmente figli realizzati e madre gratificata, seppure nella mortificazione che la malattia infligge. Ma l’amore, dice sempre Mariapia, rende leggera ogni cosa.
Di fronte a queste prove la fede smette di essere una semplice e forse sostituibile fonte di ispirazione: diventa la vita del proprio spirito e la compagnia reale e misteriosa di ogni gesto. «Per come la vedo io, avere fede significa vivere sapendo che Dio ci accompagna e ci ascolta. Il mio pensiero è sempre rivolto al Signore. Questa credo sia la mia fede: non è che Dio c’è solo se le cose vanno tutte bene. Io chiedo al Signore non solo di accettare la sua volontà, ma di amare la sua volontà. Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per amore. E quando fai le cose per amore, la fatica si annulla. L’amore rende tutto più leggero». (Ibidem)
Ecco dove sta il segreto per trasformare il braccio di ferro tra noi e Dio in una specie di passo a due, di danza appassionata: più che mercanteggiare o cercare di sottrarsi alla Sua volontà occorre andarle incontro festosi ed abbracciarla.
Mariapia lo ha fatto, lo fa e questa sua danza ha tirato in pista altre persone che magari avrebbero continuato a fare da tappezzeria.
Presidente per quindici anni dell’dell’Associazione genitori della Fondazione Don Gnocchi ha aiutato, sostenuto, incoraggiato altre famiglie con figli disabili. La condivisione è essenziale in queste situazioni, ma ci mostra la bellezza del portare i pesi gli uni degli altri anche quando la vita picchia meno duro.
Giorgio, il maggiore, morto otto anni fa, soffriva del fatto che non avrebbe potuto avere figli.
Ora però la famiglia di Mariapia e Gianni si è allargata e Giorgio si potrebbe sentire, come suo fratello oggi, quasi come uno zio. «Sunali, originaria dello Sri Lanka, dal 2009 poco prima della morte di Giorgio vive con Mariapia e Gianni. Assunta per aiutare la donna nella cura dei figli è invece diventata parte della famiglia. E con lei ci sono il marito e il figlioletto. Così ora Gianni ha una “sorella”, Sunali, ed è diventato “zio”. Mentre io mi ritrovo a essere “nonna”. Chi l’avrebbe mai detto?». (Ibidem)
Paolo Belletti
Aleteia, 9 febbraio 2018