Mentre la Boldrini ne chiede la regolamentazione, c’è anche chi – con argomentazioni razionali e non di fede – si oppone. Vi sono alcuni argomenti completamente ignorati in questa campagna elettorale. Uno di questi è, certamente, l’utero in affitto. Al centro del dibattito nella passata legislatura quando si dibatté di unioni civili, è oggi ritenuto non significativo. Eppure è un argomento importante perché altamente rivelatore della concezione antropologica che sottende l’operato di chi si candida a governare il paese.
Recentemente, l’unica ad averne parlato esplicitamente (e a sproposito) è stata Laura Boldrini. Rispondendo a una domanda in un’intervista, la terza carica dello Stato ha detto che, a suo parere, la maternità surrogata andrebbe regolamentata. Come ha correttamente fatto notare il portavoce del Family Day, Massimo Gandolfini, il presidente della Camera e leader di Leu ha mostrato una grave ignoranza in materia: l’utero in affitto in Italia è “già” regolamentato, nel senso che la legge 40 lo vieta espressamente.
Boldrini, come altri, continua nella sua campagna a favore dell’odiosa pratica, spalleggiata da una certa parte della galassia lgtb. Eppure esistono voci importanti, all’interno di quello stesso mondo, fortemente contrarie o critiche nei confronti della Gpa (gestazione per altri). Spesso vi abbiamo segnalato le posizioni di Se non ora quando, di Arcilesbica e della filosofa Sylviane Agacinski; qui di seguito vi riportiamo un articolo apparso su Il Figaro, e tradotto in italiano dal sito breviarium, firmato da tre omosessuali. Il contributo, per chiarezza e ragionevolezza, è di notevole interesse perché tocca molti dei temi al centro del dibattito pubblico e perché redatto da tre persone che non possono essere tacciate della solita e logora accusa di omofobia.
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Di Jean-Mathias Sargologos, Sébastien de Crèvecœur, Jacques Duffourg-Müller
Giovedì 18 gennaio si sono aperti gli Stati Generali sulla bioetica, dove sarà ufficialmente discussa l’apertura della PMA alle coppie di donne, vale a dire una PMA senza padre; e si discuterà ufficiosamente della legalizzazione della GPA (sì, riguarda tutte le coppie, ma dovrebbe permettere anche alle coppie omosessuali maschili di “concepire” un bambino). È in quanto omosessuali che oggi vogliamo prendere posizione contro quelle che a noi sembrano essere delle gravi derive, realizzate in nome di un individualismo esacerbato, contro ciò che nient’altro è che il tentativo di infrangere l’interdetto circa la reificazione del corpo umano. Il nostro atto si iscrive del resto in una volontà di rompere il monopolio delle associazioni dette LGBT, rappresentanti autoproclamate delle persone omosessuali, nella loro pretesa di incarnare le voci di queste ultime. Di fronte alla gravità della situazione e delle sfide etiche ad essa sottese, reputiamo che sia nostro dovere di cittadini e nostra responsabilità morale prendere pubblicamente posizione perché sia udita una voce alternativa e ragionevole.
Omosessualità e procreazione
Il desiderio di bambini nelle persone omosessuali è eminentemente legittimo, ma non per questo può ridursi a una questione di accesso all’uguaglianza, a dei diritti, alla lotta contro le discriminazioni. Una siffatta semplicistica visione implica in effetti che ci sarebbe una disparità nell’accesso alla discriminazione per gli omosessuali, che tale disuguaglianza sarebbe il frutto di una discriminazione e che dunque spetterebbe allo Stato correggere la situazione aprendo la PMA alle coppie omosessuali femminili e legalizzando la GPA. Ora, questo argomento è fallace. In effetti, due uomini o due donne insieme non possono intrinsecamente concepire un bambino, e questa impossibilità di procreare è un dato oggettivo che non è il frutto di una qualsivoglia azione discriminatoria della società o dello Stato; essa viene dalla natura ed è propria alla condizione omosessuale. In tal senso, le persone omosessuali non possono pretendere una riparazione da parte dello Stato al fine di riparare a una discriminazione – quest’ultima infatti non esiste. Dire questo non è omofobia, ma semplicemente un richiamo obiettivo dei fatti. Tale constatazione sarà forse dura da ascoltare, per alcuni, ma noi da parte nostra pensiamo che assumere pienamente la propria omosessualità significhi anche accettare i limiti che ne derivano.
In questo dibattito, notiamo che la maggior parte degli argomenti addotti dai difensori di tali pratiche sono nel registro della soggettività e dell’emotività (il desiderio di bambini, la sofferenza di non poterne avere, il sentimento di discriminazione e via dicendo…). Noi pensiamo che di fronte alla vastità degli elementi in gioco, lo Stato non dovrebbe fondare la propria azione sulle emozioni e sulle inclinazioni soggettive di ciascuno, ma al contrario dovrebbe fondarla sulla ragione. Ora, quest’ultima richiama chiaramente al mantenimento dell’interdetto di PMA per le coppie di donne e della GPA – sia che la si pensi per le coppie eterosessuali sia che la si voglia per gli omosessuali.
PMA per coppie di donne e GPA per tutti
Alcuni avanzano come argomento il fatto che sarebbe discriminatorio autorizzare la PMA per le coppie eterosessuali e rifiutarla alle coppie di donne. Noi rifiutiamo questo argomento. In effetti, la PMA per le coppie eterosessuali entra nel quadro dell’Assistenza Medica alla Procreazione (AMP). Essa è dunque un trattamento medico che permette di fornire un palliativo a una condizione medica di infertilità vissuta da una coppia eterosessuale. Effettivamente, l’ordine naturale delle cose implica che una coppia eterosessuale sia normalmente fertile. L’infertilità può dunque essere assimilata, nel loro caso, a una malattia, ed è dunque normale che venga offerto loro un trattamento medico. Ora, una coppia di donne è oggettivamente e per definizione infertile. Costoro non soffrono di alcuna condizione medica o di alcuna malattia che giustificherebbe il loro aver accesso alla PMA. Ci spingeremo anche più lontano affermando che, essendo la PMA un trattamento medico, permettervi l’accesso alle coppie di donne equivarrebbe a sottintendere che le donne omosessuali siano malate – ciò che costituirebbe, si capisce, un considerevole ritorno indietro.
Noi ci opponiamo anche alla legalizzazione della PMA per le coppie di donne, perché essa aprirebbe un vaso di Pandora che condurrebbe recta via alla rapida legalizzazione della GPA (per quanto la GPA sia pensata per tutte le coppie, omo- oppure eterosessuali – essa è vivamente promossa dalle associazioni cosiddette LGBT come mezzo per permettere alle coppie di uomini di “concepire” un bambino). In effetti, benché siano sostanzialmente differenti, la PMA per le coppie di donne e la GPA sono rivendicate in nome di un preteso nuovo diritto per le coppie omosessuali, il diritto al bambino. Ora, in nome del principio di uguaglianza, sarà impossibile proibire la GPA una volta che sia stata legalizzata la PMA per le coppie di donne. In effetti, in nome di cosa gli omosessuali maschi non avrebbero anche loro diritto ad accedere a una nuova tecnica che permetta loro di “concepire” un bambino?
La posta in gioco principale, qui, è la reificazione della donna, vista come “mezzo” al servizio di una coppia che affitterebbe il di lei utero per gestare il proprio bambino. Ora, dopo decenni di femminismo è difficilmente concepibile che oggi la reificazione del corpo della donna rispunti per la via del discorso liberale. In tal senso, l’argomento per il quale la messa a disposizione, da parte di alcune donne, del loro utero, sarebbe etico perché costoro lo farebbero in maniera libera e consenziente ci appare irricevibile. Di fatto questo significherebbe negare tutta la dimensione di un principio morale fondamentale e caratteristico della nostra civiltà occidentale, notoriamente riassunto nell’imperativo pratico kantiano: «Agisci in modo tale da trattare l’umanità, in te e negli altri, sempre come fine e mai come mezzo».
Tale imperativo è al cuore del principio di dignità umana che abbiamo il diritto di esigere dall’altro, ma che ciascuno deve esigere anche da parte di sé stesso. In tal senso, esiste una moltitudine di esempi in cui la legge proibisce alcuni comportamenti e certe pratiche, anche quando tali atti non coinvolgerebbero altre persone che il sé: non portare la cintura di sicurezza in macchina è pericoloso solamente per sé, eppure è illegale (non si può invocare la libertà personale per non metterla), il “lancio dei nani” è proibito (indipendentemente dal consenso degli interessati), non ho il diritto di consumare stupefacenti (anche se facendolo non ledo altri che me stesso), e se attento alla mia integrità fisica auto-mutilandomi rischio di essere internato in un ospedale psichiatrico. Dunque perché la società dovrebbe accettare che alcune donne reifichino il proprio corpo affittando i proprî uteri col pretesto che sarebbero consenzienti?
E poi, il carattere etico della GPA sarebbe garantito – così si suppone – dal divieto di remunerare la gestante e dal carattere altruista che motiverebbe la sua decisione di affittare il proprio utero. Argomento irricevibile, ancora una volta, perché l’assenza di remunerazione o l’altruismo dell’atto nulla tolgono al fatto che il corpo sarebbe comunque reificato – poiché la gravidanza non è un’attività bensì uno stato.
Infine, alla reificazione della donna si aggiunge anche quella del bambino: oggetto di una transazione contrattuale, quest’ultimo diventa anch’egli un oggetto e non più una persona. Inoltre noi stimiamo inammissibile che degli individui aggirino il divieto della GPA in Francia facendo appello a delle madri surrogate all’estero e domandando, una volta tornati in Francia, il riconoscimento dei loro diritti genitoriali sul bambino che hanno ottenuto da parte dello stato civile. Ravvisiamo in ciò un modo disonesto e meschino di mettere lo Stato francese con le spalle al muro. Queste persone si sono volontariamente e scientemente messe fuori dalla legge: esse non possono poi chiedere allo Stato francese un accomodamento, poiché la GPA è illegale in Francia. In tal senso, l’esistenza in Francia di bambini nati da GPA all’estero non può in alcun caso motivare un adattamento o una modificazione dell’ordinamento francese: non si fonda la regola sull’eccezione, né sul fatto che questo o quell’atto sarebbe legale all’estero. Tuttavia qui riconosciamo la precarietà della situazione dei bambini che subiscono le conseguenze dell’irresponsabilità dei loro “genitori” d’intenzione. Riconosciamo pure l’importanza di trovare soluzioni nel superiore interesse di questi fanciulli. Ciononostante rifiutiamo che l’unica risposta da dare sia un tradimento, da parte dello Stato francese, dello spirito delle proprie leggi – cosa che si avrebbe riconoscendo i diritti parentali di individui che hanno fatto ricorso alla GPA all’estero.
Così il mantenimento del divieto della GPA in Francia (come in Germania, in Italia, in Svizzera, in Spagna, in Danimarca, in Svezia, in Finlandia, nei Paesi Baltici, nel Québec e via dicendo…) va nell’interesse della protezione di una concezione umanistica della procreazione, che abbia a cuore la difesa dei più deboli e che rispetti l’interdetto di ogni sfruttamento e reificazione dell’essere umano. In questa prospettiva, il ruolo dello Stato non è quello di assicurare l’accesso a sempre più diritti individuali, ma anzi quello di proteggere i più deboli dagli eccessi dell’individualismo e quello di preservare una certa concezione dell’Uomo.
Progresso tecnico e uso morale
La PMA per le coppie di donne e la GPA, ingannevolmente presentate come istanze di progresso che permetterebbero alle donne e agli uomini omosessuali di “concepire” un bambino, non sono che dei progressi tecnici. Ora, gli avanzamenti sul piano della tecnica non sono necessariamente dei progressi su quello morale. In tal senso, essi sono assiologicamente neutri e non ci dicono alcunché sull’uso morale che ne sarà fatto. I partigiani della PMA per le coppie di donne e della GPA si ammantano della virtù della lotta all’omofobia per farle accettare. Noi rifiutiamo di servire da cauzione morale a una visione arcaica e regressiva dell’umano, foss’anche in nome della libertà.
Per concludere, a fronte di quanti affermassero che le nostre posizioni impediscono ogni possibilità per gli omosessuali di diventare genitori, anche qui rispondiamo che ciò è falso. In effetti non esiste alcuna legge, oggi in Francia, che impedisca alle persone omosessuali di diventare genitori (a parte quelle che proibiscono la PMA per le coppie di donne e la GPA, cioè i modi con cui vorrebbero diventarlo). In questo senso, il mantenimento del divieto della PMA per le coppie di donne e della GPA non evacuano del resto la possibilità di una riflessione di fondo sulle alternative etiche di cui gli omosessuali dispongono per avere dei bambini.
Tempi.it, 5 febbraio 2018