Per Gori la Lombardia ha un problema: troppa libertà educativa e pochi aborti

By 28 Febbraio 2018Attualità

Neutralizzare il Buono Scuola e l’obiezione di coscienza, ecco cosa non ci piace del programma del candidato Pd in corsa per la Regione Lombardia.

Giorgio Gori ha le idee chiare in fatto di diritto allo studio: per il candidato Pd alla presidenza della Regione Lombardia chi oggi crede nella libertà educativa non è abbastanza povero per potersela permettere. Infatti vuole fare piazza “quasi” pulita del Buono Scuola, ritenendo necessaria una modifica dell’attuale sistema lombardo «che corregga la redistribuzione delle risorse disponibili in modo da preservare il principio della libertà di scelta, ponendo come priorità il sostegno alle famiglie che hanno una situazione economica più fragile». Non gli va giù che il Buono Scuola (destinato alle famiglie che mandano i figli a scuole che applicano una retta) venga redistribuito «solo tra coloro che frequentano le paritarie (circa il 10 per cento degli studenti lombardi) e hanno un reddito Isee inferiore ai 40 mila euro annui», e intende porre fine a questa impresentabile disuguaglianza. Quindi, a pagina 135 della bozza del suo programma, propone di limitare «il beneficio alle famiglie con un indicatore Isee inferiore ai 30 mila euro annui», «incrementare il valore del contributo per gli studenti con reddito Isee inferiore a 15.494 euro» e appostare i risparmi dovuti alla modifica sulla misura “Acquisto libri di testo”: una misura a lui molto più congeniale, in quanto rivolta indifferentemente ad alunni di scuola pubblica e paritaria, e per la quale intende «raddoppiare le risorse», «estendendo la platea dei beneficiari anche agli alunni che frequentano il triennio di scuola superiore e incrementando il valore del buono annuale in base alle attuali fasce reddituali». Tradotto in italiano, secondo Gori per tutelare il principio della libertà di scelta bisogna svuotare di senso lo strumento nato per darne applicazione e riadattarlo come sostegno generalistico alle famiglie con basso reddito.
Lecito chiedersi se il problema non sia piuttosto la scuola paritaria: come segnalato da la Verità l’11 febbraio, la giunta comunale di Bergamo guidata dal sindaco Gori ha appena richiesto il versamento degli arretrati Ici e Imu accumulati dal 2012 a una ventina di scuole paritarie bergamasche (e due cliniche): piccoli asili parrocchiali, materne, il collegio Sant’Alessandro, gli istituti delle Orsoline e delle Sacramentine. Si va da poche migliaia di euro fino a 60 mila euro all’anno richiesti a scuole con una retta media annuale pari a 1.800 euro, la cui funzione di pubblica utilità senza possibilità di lucro «è riconosciuta perfino dal Comune, il quale finanzia gli istituti tramite una convenzione. Eppure l’amministrazione ha deciso di chiedere gli arretrati dell’Imu. Curioso», nota la Verità, ricordando che la stessa amministrazione esonera l’Imu per le strutture della Curia che svolgono funzione di pubblica utilità ospitando i migranti.

Si legge alla voce “Diritti negati”
Gorgio Gori ha le idee chiare anche in fatto di natalità: «Entro 5 anni riporteremo il tasso di fecondità in Lombardia al di sopra di 1,5», «entro 10 anni riposizioneremo stabilmente il tasso di fecondità sopra la media Ue (oggi 1,55)». Al contempo è però preoccupato perché in Lombardia ci sono troppi obiettori di coscienza e pochi aborti farmacologici. A pagina 109 del programma lancia quindi l’allarme alla voce “Diritti negati”: «Per le donne che decidono di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza (ivg) in base alla legge nazionale 194 del 1978, il percorso è molto difficoltoso e dal governo Formigoni a quello Maroni nulla è cambiato. La percentuale media dei ginecologi obiettori di coscienza è del 68 per cento e, per sopperire, i pochi professionisti non obiettori coprono a rotazione più presidi ospedalieri spostandosi, oppure le aziende sono costrette a ricorrere a medici gettonisti esterni pagati a prestazione». A questo «si aggiunge che la percentuale di interruzioni di gravidanza farmacologiche, nella nostra Regione è ferma al 5,1 per cento (in Liguria è al 40,3 per cento, in Piemonte al 32,5 per cento) anche in questo caso per l’arretratezza di chi ha finora governato che paradossalmente impone per questo metodo, che è molto meno invasivo per la donna, tre giorni di ricovero a fronte della possibilità del ricovero in day hospital per l’ivg chirurgica». Quindi? Quindi Gori propone: «Campagne di informazione e sensibilizzazione, anche tradotte in più lingue, per prevenire le maternità indesiderate», «somministrazione della ivg farmacologica in day hospital», «assunzione di medici ginecologi non obiettori tramite concorso ad hoc per assicurare la piena applicazione della L. 194/78 in tutti gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate, così come citato espressamente dalla legge».

Chi è che non discrimina?
Ancora una volta – è accaduto un anno fa, stessa proposta di bando lanciata dal governatore del Lazio Nicola Zingaretti – la legge 194 che si intitola “Tutela sociale della maternità” viene svuotata del suo senso: non solo il diritto all’obiezione di coscienza è costituzionalmente fondato, il che significa che non è una gentile concessione del parlamento bensì è fra i princìpi fondanti della nostra Costituzione ed è implicitamente riconosciuto anche dallo stesso articolo 2 (a tutela delle libertà fondamentali e diritti inviolabili riconosciuti e garantiti all’uomo) che nel programma di Gori viene fortemente richiamato per raccontare la visione del welfare del centrosinistra. Non solo è riconosciuto, ma la legge 194 lo disciplina esplicitamente, prevedendo all’art. 9 che all’interno della Regione si possa ricorrere alla mobilità del personale, sia obiettore che non obiettore, proprio per applicare la normativa. Gori si scandalizza per i «pochi professionisti non obiettori del settore» e per il ricorso a medici gettonisti, senza chiedersi perché il 68 per cento degli appartenenti a quella categoria professionale si rifiuta di effettuare questo intervento. Dovrebbe poter fare il ginecologo solo chi è disposto a fare aborti? Per quale motivo, visto che, dal punto di vista numerico, è un’attività marginale nella professione di un ginecologo? Dobbiamo dire che fare aborti è il requisito fondamentale per un ginecologo? E questa non è discriminazione? E non è nello stesso programma di Gori che leggiamo, dallo sport al gender, che ai «princìpi di non discriminazione ci atterremo in ogni aspetto dell’azione di governo»?

Caterina Giojelli
Tempi.it, 13 febbraio 2018