Rosa Anna Vacca: “Grazie a mio figlio il cromosoma 21 non fa più paura”

By 6 Marzo 2018Testimoni

Dopo la nascita di Enrico, affetto da sindrome di Down, la ricercatrice del Cnr ha focalizzato i suoi studi sulla trisomia facendo scoperte interessanti: «E qualche mamma, venendo a conoscenza della mia ricerca, ha deciso di non abortire».

Ci sono doni inaspettati, di vita vera, ma che sconquassano, che rivoltano la quotidianità, che mettono in discussione fede, vita, lavoro. Eppure planano nella vita per un disegno della provvidenza. Per Rosa Anna Vacca, scienziata ricercatrice al Cnr di Bari, questo regalo porta il nome di Enrico: due occhi luminosi, un sorriso disarmante, un caratterino niente male e una passione smisurata per la corsa. «Era il 26 marzo 2004, giorno del mio compleanno e la sua nascita non fu un momento facile», ricorda. «Enrico aveva varie sofferenze e non apriva nemmeno gli occhi. Ma appena l’ho chiamato per nome mi ha guardata. È stato un segno fortissimo per me». Terzo di tre figli maschi, Enrico nasce con un cromosoma in più e Rosa Anna si trova a vivere una lacerazione. Da una parte il suo amore infinito per questa creatura così desiderata, dall’altra la sua formazione scientifica, che le pone davanti tutte le implicazioni della sua condizione: «Sapevo che la strada sarebbe stata in salita, ma dentro di me sentivo che dovevo lottare per lui».

L’AMORE E LO STUDIO

Il lavoro di Rosa Anna è focalizzato già da alcuni anni sullo studio relativo alla morte programmata delle cellule: «L’arrivo di Enrico mi ha messo in forte discussione come ricercatrice», prosegue. «Da quel momento mi sono concentrata sulle alterazioni delle funzioni mitocondriali causate proprio dal cromosoma 21 in più: volevo capire quali meccanismi biochimici fossero bloccati, impedendo, quindi, il buon funzionamento di queste centraline energetiche delle cellule».

Il mondo della ricerca non le spalanca di certo le porte: le difficoltà si accumulano, le risorse finanziarie non si trovano. Ma lei non si arrende e la Provvidenza si fa nuovamente presente: «Un giorno un caro amico, don Luca Murolo, padrino di Battesimo di Enrico, mi segnala un articolo di giornale nel quale si parlava di Jérôme Lejeune, medico francese, e della sua causa di beatificazione».

È il 2008 e per Rosa Anna si apre, finalmente, uno spiraglio: la fondazione Lejeune, infatti, ha tra le sue finalità quella di finanziare progetti di ricerca sulla trisomia 21 e a Rosa Anna non rimane che inviare la sua ricerca in valutazione.

Il suo progetto viene scelto e finanziato. «Questa notizia regalò al mio lavoro un prestigio inaspettato», racconta con emozione. «Mi diede la possibilità di far conoscere la mia ricerca con la prospettiva di portarla a un livello tale da essere riconosciuta nel suo valore e poter offrire ai genitori, che ricevono una diagnosi prenatale di sindrome di Down, un’alternativa all’aborto, talvolta unica via indicata. Più di qualche mamma, venendo a conoscenza della mia ricerca, ha deciso di non abortire».

 I RISULTATI DELLA RICERCA

Ma a quali conclusioni è giunta la sua ricerca? «Il campo del mio studio include anche la nutraceutica (scienza che studia i principi nutritivi e i loro effetti benefici sulla salute, ndr)», spiega con entusiasmo. «Dopo anni di studi e numerose pubblicazioni importanti posso dire che sostanze naturali e semplici come i polifenoli, che si trovano per esempio nel té verde e nella buccia dell’uva e dei frutti rossi, hanno degli effetti molto positivi sulla neurogenesi e sul miglioramento delle funzioni mitocondriali. In pratica, con una terapia a vita, dosata sotto la direzione di un medico – ci tiene a specificarlo – e senza effetti collaterali, le funzioni cognitive e la qualità di vita delle persone con sindrome di Down potrebbero migliorare nettamente».

In tutto questo Rosa Anna è consapevole che vi sia un progetto più grande a sostenerla: «Non è un caso, perché per me il caso non esiste, che sia nato Enrico, che io sia una ricercatrice e che sia proprio la Fondazione Lejeune ad aver finanziato il mio progetto di ricerca», afferma con determinazione. «Uno scienziato, secondo me, nel suo lavoro ha la dimostrazione scientifica dell’esistenza di Dio».

FIGLI SPIRITUALI DI DON BELLO

Sarà che Rosa Anna e suo marito Liborio sono figli spirituali di don Tonino Bello. E quella fede vissuta nella «Chiesa come ospedale da campo» − nella quale «le voglie eroiche di risanamento in radice delle sofferenze del prossimo devono tradursi nei rimedi ingenui dell’olio e del vino del buon samaritano» − rieccheggia nella loro storia con forza. Sarà anche che il cuore di una mamma non si arrende di fronte alle difficoltà che le si prospettano, perché il bene, il meglio per la sua creatura sono obiettivi prioritari.

E così, non solo la ricerca di Rosa Anna prosegue e ha come prossima frontiera uno studio clinico che permetta di ampliarne gli orizzonti applicativi sull’uomo, ma di pari passo, o meglio sarebbe dire, di pari corsa prosegue la vita di Enrico. Che, mentre parliamo, si avvicina, mostra orgoglioso le medaglie vinte alle gare di atletica, mostra la foto di Pietro Mennea, uno dei suoi idoli, e ci presenta Bolt, il suo cagnolino, chiamato così in onore del famoso velocista giamaicano, per il suo pelo scuro e per la velocità di corsa. Ci indica poi il papà, che è stato il suo primo allenatore e ci fa vedere la sua cameretta e l’ordine che ha imparato a mantenere. «Enrico corre, si allena, è felice e ha tanti amici», conclude Rosa Anna. E bacia Enrico con amore. Un amore che le ha dato la forza per studiare ciò che sembrava poter causare solo dolore.

IL MEDICO CHE “SCOPRÌ” LA SINDROME DI DOWN

Jérôme Lejeune (1926-1994), grazie ai suoi studi, giunse ad affermare che la sindrome di Down ha la sua causa in una alterazione genetica di natura quantitativa ed individuò l’esistenza del quarantasettesimo cromosoma, ribaltando la teoria di Down che la legava a questioni razziali. Purtroppo i suoi studi vennero usati dagli abortisti per promuovere la soppressione in utero di bambini malformati. Ma egli continuò la sua battaglia a favore della vita e nel febbraio 1994, a due mesi della morte, ricevette la nomina a presidente della Pontificia accademia per la vita da Giovanni Paolo II. Attualmente è in corso la sua causa di beatificazione (www.fondationlejeune.org).

Luisa Pozzar

Credere, 15 febbraio 2018