L’8 marzo un sacco di bambine, di ragazze, non potranno andare all’asilo, a scuola, un sacco di mamme e nonne non potranno andare al lavoro, ma neanche andare dal medico o a fare la spesa, perché sarà quasi impossibile prendere un tram, una metropolitana; molte non potranno andare a trovare amiche, parenti, a meno di viaggi lunghi e pesanti con code e traffico impazzito. Sciopero generale per una presa di coscienza nel giorno delle donne.
Sciopero generale, che bloccherà più di 70 paesi. Obbligando le donne a stare a casa, vogliano o non vogliano. Peggio per loro se non saranno in piazza a protestare “contro la violenza maschile sulle donne, contro la mancanza di finanziamenti e riconoscimento dei centri antiviolenza, contro la chiusura degli spazi delle donne, contro l’obiezione di coscienza nei servizi sanitari pubblici. Uno sciopero per denunciare il dato spaventoso delle molestie e dei ricatti sessuali sul lavoro”.
Senza se, senza ma, senza il saggio e intelligente beneficio del dubbio, della critica, del giudizio. Di quali uomini parliamo? Anche dei nostri figli, fratelli, mariti, amanti, padri, nonni? Dobbiamo scioperare genericamente anche contro di loro? Colpevoli per genere di nascita, evidentemente. Finita la lotta di classe, resta la lotta di genere, aizzata al solito da un’élite solo più borghese e più snob di quelle che sempre hanno aizzato le piazze. Il caso Weinstein, purtroppo tutto è cominciato lì, a livello di infatuazione mediatica.
Purtroppo, perché di donne che subiscono violenza, al di là dei casi eclatanti della cronaca nera, ce ne sono parecchie, da tanto, tanto tempo. Cito a caso ragazzine obbligate a sposarsi a forza, o bambine infibulate alla nascita, o serve del caporalato nelle nostre campagne, o sfruttate dalla tratta sulle nostre strade. Non ho mai visto scioperi generali per queste donne. Certo, nel carnet del proclama sopracitato ci sta dentro di tutto, e dunque anche loro, sperabilmente. Ma davvero crediamo che l’ostaggio di un paese intero sia la soluzione migliore per ottenere ascolto e diritti?
Ho in mente alcune grandi donne che hanno fatto e fanno questo paese. Penso oggi a una donna come Amalia Ercoli Finzi, grande scienziata, prima ingegnere areospaziale in Italia, che il mondo ci invidia, madre della missione Rosetta, madre e nonna, capace di allevarsi cinque figli mentre scrutava le stelle e ne calcolava i tragitti. Ha sempre tenacemente operato per essere stimata e considerata in un mondo prettamente maschile, e ci è riuscita, senza cedere in nulla la dolcezza, la capacità paziente di ascolto, di dialogo, senza dimenticare la sua femminilità.
Ritratti d’antan, evidentemente. I modelli oggi sono le attrici che calcano in nero le moquettes porpora, e che un giorno, all’improvviso, si sono accorte che vendersi per emergere può non essere dignitoso. Meglio tardi che mai. E’ sacrosanto denunciare le ingiustizie, salvare i diritti della maternità (l’obiezione di coscienza riguarda la possibilità di essere contro l’aborto o l’eutanasia, sancita dalla Costituzione, e invece bisogna gridare “contro”, tanto per lasciar libere le coscienze), chiedere pari riconoscimenti economici alle lavoratrici, pari opportunità per le nostre ragazze in cerca di lavoro. Abbiamo votato domenica: tutte queste benemerite istanze non possono essere semplicemente portate all’attenzione di chi è stato eletto, e che si alambicca da troppe ore e per chissà quanti giorni e mesi solo a spartire poltrone, discettare e litigare su posti e qualifiche e alleanze possibili, cambi di leaders? Quando finiranno i festeggiamenti e ci si metterà mano a lavorare per il paese?
Questo è il miglior dono alle donne, e agli uomini, ché se non si lavora insieme, se non si ragiona insieme, le urla non porteranno che indifferenza e rabbia. Non ha ancora capito chi ha sempre e solo seguito le ideologie, che queste non pagano più? Che la gente, donne e uomini, è stanca di chiacchiere, slogans e cortei e vuole impegno e risultati? Regalate delle mimose, alle donne che domani malediranno le vostre sfilate, ma nona spettatevi ringraziamenti e condivisione.
Monica Mondo
Il Sussidiario.net, 08 marzo 2018