Superando ogni barriera Caravaggio ci offre una straordinaria icona della donna, diversa dagli stereotipi cui siamo abituati. La Maria caravaggesca è una donna vera, regale, umile, risoluta e premurosa, accogliente e stimolante.Una festa, quella della donna, che più d’ogni altra ha il potere di mettere in luce la povertà di senso che ci circonda. Non tanto per l’origine della festa in sé quanto per il modo di celebrarla. Vien da chiedersi, infatti, a quale donna guardare, quali modelli offre oggi l’orizzonte quotidiano. Forse la donna efficientissima e di successo? O la donna sex symbol, la donna spregiudicata, la donna manager, la donna snob, la donna intellettuale, la donna politica? Quale donna?
Viene alla mente una donna poco gettonata, certo controcorrente, ma che, forse, davvero unica merita il titolo di Ma-donna, cioè donna per eccellenza; archetipo femmineo assoluto: donna, vergine e madre. Maria.
Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, un artista che con le donne ebbe un rapporto tormentato, un po’ conflittuale, seppe dare della Madonna un’immagine bella, fresca, risoluta. Come doveva essere lei, Maria di Nazaret.
Un quadro, in particolare, mi sorprende ogni volta che lo guardo, per come riesce a render vere e nuove le straordinarie parole del poeta: Donna se’ tanto grande e tanto vali che qual vuol grazia ed a te non ricorre sua disïanza vuol volar sanz’ali. Con tali versi Dante propone un modo per orientarsi verso mete più alte e più vere (la grazia cui si anela) attraverso di lei, la Donna che tanto grande e tanto vale.
L’opera del Caravaggio in questione è la cosiddetta Madonna dei Pellegrini situata nella chiesa di Sant’Agostino a Roma. Il Merisi la dipinge prendendo le mosse da una statua, vista probabilmente tra la ricca collezione di Ferdinando de Medici, quella di Thusnelda; una principessa germanica che, fatta prigioniera mentre era in attesa di un figlio, portò a termine la gravidanza e rimase fedele al marito il quale, a sua volta, mai la dimenticò rifiutando di risposarsi.
Anche Maria è immortalata così, statuaria e regale, tiene fra le braccia il Bimbo, come un trofeo. Così del resto aveva fatto l’eroina germanica ostendendo il figlio durante in trionfo del nemico.
Sì, Maria è regina, nobile nel portamento, ma è anche modesta, umile, compassionevole come il luogo dove appare. Lo stipite di una porta e un muro leggermente scrostato è, del resto, tutto quanto ci è consentito vedere della casa di Nazareth. Da qui Maria ostende il figlio spinta non da fierezza indomita, ma dalla sua misericordia.
Questa vergine regale non riceve i pellegrini dentro casa, seduta su un trono, mandando i servi ad aprire la porta. No, esce lei stessa, va incontro ai visitatori e li attende sull’uscio, pronta ad invitarli ad entrare. Questa donna non ha trono, lei stessa è trono del divin figlio che tiene in braccio. Lo sguardo, rivolto ai due poveri inginocchiati, è premuroso e attento.
Gesù è nudo: ha la nudità dell’innocenza, la nudità di quel corpo che Maria prenderà in braccio, ancora per l’ultima volta, sotto la croce per deporlo nel sepolcro. Un lenzuolo, infatti, in cui già s’adombra il telo sindonico, avvolge il corpo del Bimbo.
Quella che ci offre Caravaggio insomma è l’immagine controcorrente di una donna che vive pienamente quell’«essere-per» cui fu destinata fin dall’eternità. Essere per l’altro, essere per l’uomo, per ogni uomo, in una donazione gratuita che edifica la donna che la attua.
Così comprendiamo meglio l’abbandono sicuro del divino Bambino dentro l’abbraccio materno. Da quel trono, così saldo, Cristo solleva leggermente il capo e benedice i due fedeli. Li benedice e insieme li indica: siamo così costretti a guardarli bene e a considerare l’umiltà della loro foggia, ad osservare i loro piedi testimoni eloquenti della strada che han percorso, polverosa e aspra.
Su quei piedi si sono scritti intere pagine, alcuni critici vicini all’epoca dell’artista (Baglione nel 1642 e l’abate Bellori nel 1672) hanno lasciato note non del tutto benevole, facendo addirittura velatamente credere che per il sudiciume di quelle estremità il dipinto fu rifiutato e deriso. In realtà i due pellegrini sono stati identificati con due nobili: il marchese Ermete Cavalletti e sua Madre. Furono loro a volere l’opera: devoti alla Vergine lauretana, essi vollero identificarsi con i molti che, approdando all’umile casa di Nazareth, van cercando da secoli luce e conforto. Il Cavalletti e la madre erano seguaci di una corrente nota come il pauperismo borromaico ed oratoriano, la quale, pur comprendendo prelati e altolocati, si proponeva uno stile di vita umile e dimesso, tutto teso alle cose del Cielo.
Così in questi due cenciosi ci è possibile vedere l’umanità tutta e nella donna anziana un insegnamento per noi. Forse per aver perso molte delle preoccupazioni e delle baldanze giovanili è lei a guardare più decisamente verso la Vergine, Novella Thusnelda, e ad indicarci con lo sguardo, dove orientare il desiderio.
Thusnelda significa «a forma di stella»: nutrire desideri alti, puntare verso le stelle per avere quella forma che è la forma di Maria, la Stella maris, è l’auspicio che ci viene da questa nobildonna del seicento.
Così superando ogni barriera di tempo e di cultura Caravaggio ci offre una straordinaria icona della donna, diversa dagli stereotipi cui siamo abituati. La Maria caravaggesca è una donna vera, regale, eppure umile, risoluta e insieme premurosa; accogliente ma nel contempo stimolante. Maria, sembra dirci Caravaggio, ti trova dove sei ma non ti lascia come sei: porta alto il tuo desiderio, ti conduce verso quella misura alta della vita che ti fa pienamente uomo e pienamente donna.
Davanti a questa donna, ci sentiamo allora davvero come i due nobili cenciosi e sale anche al nostro labbro la dantesca invocazione: Donna se’ tanto grande e tanto vali che qual vuol grazia ed a te non ricorre sua disïanza vuol volar sanz’ali.
Maria Gloria Riva
La Nuova Bussola Quotidiana, 8 marzo 2018