Disturbi sul piano emotivo, emorragie, infezioni gravi, infertilità, parti prematuri, tumore al seno. Sono solo alcune delle possibili conseguenze dell’aborto. Ma Legge 194 e consultori non ne parlano. La petizione di ProVita per chiedere al prossimo ministro della Salute di impegnarsi.
La legge 194 che a maggio compirà quarant’anni, non considera obbligatorio dare informazioni sui possibili rischi fisici e psichici dell’aborto volontario, quando la richiedente firma il modulo per disfarsi della creatura che ha nel grembo. Nel testo Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza del 22 maggio 1978, si parla molto di diritto delle donne ad abortire, ben poco del diritto/dovere di essere informate sulle possibili conseguenze. Parliamo di forti disturbi sul piano emotivo, emorragie, infezioni anche gravi, alte percentuali di infertilità futura, parti prematuri, rischio di tumore al seno associato all’aborto indotto, come da anni molti studi documentano a livello internazionale.
In questo panorama di assenze, l’associazione ProVita onlus ha lanciato la campagna “Per informare le donne sulle conseguenze dell’aborto”, invitando a firmare una petizione che si può sottoscrivere sul sito Notizieprovita.it. «Nostro obiettivo – spiega Toni Brandi, presidente della onlus -è che il prossimo ministro della Salute obblighi consultori e strutture sanitarie a far conoscere alle donne quali possono essere le conseguenze sulla loro salute fisica e psichica dopo un’interruzione volontaria di gravidanza(Ivg)». L’aborto fa male e non è affatto vero che è diminuito: sono sempre meno le donne in età fertile ed è aumentato in maniera enorme l’aborto farmacologico. L’ha dovuto ammettere lo stesso ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, nella Relazione sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza (legge 194/78). Dati definitivi 2016, presentata lo scorso dicembre, ricordando che, senza più l’obbligo di prescrizione medica, le vendite dell’ulipristal acetato (Upa), noto con il nome commerciale di ellaOne, continuano ad aumentare. Nel 2016 furono 189.589 le confezioni vendute, rispetto alle 7.796 del 2012. Oltre all’aborto in ospedale, c’è quello consumato tra le mura domestiche, inghiottendo farmaci di cui non si conoscono effetti e conseguenze.
Oggi, per ottenere il certificato che le consentirà l’aborto volontario, la maggiorenne che vuole abortire può rivolgersi gratuitamente ai consultori familiari pubblici, presso ospedali o altre strutture socio sanitarie, oppure a un medico di fiducia. La visita è rapida, per molti basta una semplice visita ginecologica, altri richiedono un controllo ecografico. Dopo aver spiegate le alternative possibili all’interruzione della gravidanza, se la donna non cambia idea il medico «deve» consegnare il documento che le permetterà di effettuare dopo sette (spesso inutili) giorni di riflessione, l’intervento chirurgico o di sottoporsi ad aborto farmacologico con la Ru486, la «pillola abortiva». Sulla base di questo documento, ogni ospedale pubblico è obbligato a darle assistenza, facendola abortire.
La legge non prevede un modello unico di certificato per Ivg, come ha confermato lo stesso ministero della Salute. I consultori e le varie Usl fanno firmare documenti diversi, che nulla sono più di una sottoscrizione a un certificato che non contiene informazioni sulle conseguenze cui può andare incontro una donna quando abortisce. Poi, trascorsi i sette giorni, la donna si presenta per interrompere la gravidanza, firma senza più guardare il consenso informato obbligatorio per legge. La sua scelta, drammatica, l’ha già fatta. Per questo ProVita ha promosso la sua campagna informativa online (quante più firme si raccoglieranno, tanta più pressione verrà fatta sul ministero della Salute) e attraverso un opuscolo informativo, supplemento al numero di febbraio per i lettori della rivista Notizie Pro Life, mensile riservato agli abbonati sostenitori dell’associazione onlus ma che si può richiedere a ProVita. Il testo riassume in 44 pagine gli effetti dell’aborto sul corpo e sulla psiche di una donna.
Patrizia Floder Reitter
La Nuova Bussola Quotidiana, 26 febbraio 2018