Con quante leggi elettorali abbiamo votato, in meno di 25 anni? Sono ben tre quelle che sono entrate effettivamente nei seggi e hanno permesso il rinnovo delle camere parlamentari, altre 8 sono state proposte e non sono passate. Siamo un caso unico fra le democrazie stabili. E tutto per interessi di fazione e scarsa lungimiranza.
Con quante leggi elettorali abbiamo votato, in meno di 25 anni? Sono ben tre quelle che hanno permesso il rinnovo delle camere parlamentari, altre 8 sono state proposte e non sono passate, oppure sono passate per poi essere bocciate dalla Corte Costituzionale.
E’ necessario un breve ripasso di storia. Dalle elezioni della Costituente (1946) in poi, in Italia vigeva un sistema proporzionale puro. Dal 1993 è stato introdotto un sistema misto, prevalentemente maggioritario, uninominale secco (il candidato che prende più voti in un collegio entra in Parlamento), con una quota riservata al proporzionale, per eleggere ancora il 25% dei deputati e dei senatori con il vecchio metodo. Quindi votavamo il candidato e il partito. E il partito entrava solo nel caso superasse uno sbarramento del 4%. Con questa legge abbiamo votato tre volte: nel 1994 (vittoria del centrodestra), nel 1996 (vittoria del centrosinistra) e nel 2001 (vittoria del centrodestra). Un’alternanza praticamente perfetta, come da intenti di chi ha promosso la legge, chiamata col nome del suo primo firmatario (e attuale presidente della Repubblica) Sergio Mattarella. Questo sistema, che il politologo Giovanni Sartori ha ribattezzato col nome latineggiante di “Mattarellum”, è stato poi soppiantato da una legge voluta dalla coalizione di centrodestra nel 2005, che ha preso il nome, anche qui, dal suo primo firmatario, Roberto Calderoli. E che Sartori ha ribattezzato “Porcellum”, perché lo stesso Calderoli, in un’intervista ormai celebre, ammise che i compromessi erano stati tanti e tali da dare come risultato una “porcata”.
Il Porcellum ha resuscitato il sistema proporzionale, pur introducendo due strumenti meritocratici: una soglia di sbarramento (variabile per Camera e Senato e per chi è in coalizione e chi no) e un premio di maggioranza per la coalizione vincente. La Corte Costituzionale ha poi bocciato il Porcellum con una sentenza del 4 dicembre 2013. Ma intanto, col Porcellum, abbiamo votato altre tre volte: nel 2006 (vittoria del centrosinistra), nel 2008 (vittoria del centrodestra) e nel 2013 (stallo fra centrodestra, centrosinistra e M5S). Due anni dopo, la coalizione di centrosinistra, a guida Matteo Renzi, ha introdotto un’ulteriore riforma, l’“Italicum”. Che aggiungeva uno strumento nuovo: un ballottaggio per le due liste più votate, prima dell’assegnazione di un premio di maggioranza alla vincitrice del ballottaggio. Non abbiamo mai votato con questo sistema a doppio turno: la Corte Costituzionale lo ha bocciato nel gennaio del 2017, un anno prima dell’ultimo voto. Abbiamo piuttosto votato con la legge “Rosatellum bis”, seconda versione aggiornata della legge Rosato. Prima della sua approvazione definitiva, sono state bocciate o cambiate altre 7 (sette!) leggi elettorali in appena dodici mesi.
E’ normale che un sistema elettorale cambi così tante volte? Assolutamente no. Se guardiamo alle altre stabili democrazie europee occidentali, non vediamo nulla del genere. L’Italia è un caso più unico che raro. E’ un’anomalia grave, perché, appunto, il sistema elettorale è l’insieme delle “regole del gioco”. E’ difficile pensare a una democrazia sana quando c’è incertezza sulle stesse regole che stabiliscono come competere, chi vince e chi perde.
Contrariamente alla Spagna, al Portogallo, alla Grecia e alla stessa Francia, questi cambiamenti continui non sono dovuti né a guerre, né a periodi di dittatura. Visto dall’estero, il nostro è un caso inspiegabile. Lo si può comprendere solo andando a vedere in quali circostanze storiche sono stati approvati i vari sistemi. Il “Mattarellum” è stato introdotto dopo il referendum costituzionale del 1993, promosso dai Radicali e da Mariotto Segni (democristiano). L’intento era quello di garantire l’alternanza fra due poli politici, nel momento in cui la Guerra Fredda era appena finita, il Pci (ribattezzato Pds) era appena stato sdoganato e si pensava che dovesse essere superata una volta per tutte l’era dei governi a guida democristiana, appoggiati o a destra o a sinistra, ma sempre escludendo il Pci, per ovvie ragioni militari. Il “Porcellum” è stato voluto soprattutto da Silvio Berlusconi dopo un’alternanza al governo di coalizioni fragili, con maggioranze contese e oppositori forti al loro interno. Il principio su cui si reggeva, tornando al proporzionale e introducendo il premio di maggioranza, avrebbe dovuto essere: un partito solo al comando. L’Italicum, voluto da Matteo Renzi, avrebbe ulteriormente enfatizzato il principio del “partito solo al comando”, introducendo il doppio turno, per fare uno spareggio fra le due liste più votate. Il Rosatellum, al contrario, è un compromesso fra il maggioritario del 1993 e il proporzionale del 2005.
Quel che spicca, anche se non viene mai ammesso da nessuno dei protagonisti, è l’interesse partitico dietro ad ogni singola riforma elettorale. Con il maggioritario del 1993, che pure era promosso dai Radicali e da un democristiano “dissidente”, il Pds/ex Pci avrebbe voluto alternarsi con la Dc e sognava di arrivare al governo, dopo mezzo secolo di opposizione. Con il ritorno al proporzionale del 2005, Berlusconi voleva ritagliarsi il ruolo dell’uomo solo al comando. Ancor di più Renzi, con la sua riforma del doppio turno pareva voler chiedere agli italiani: “o me o un impresentabile”. Il Rosatellum, infine, appare come il tentativo di Pd e Forza Italia di frenare la loro emorragia di consensi e impedire l’ascesa dei competitor interni ed esterni, Lega e M5S in primo luogo. E’ stato finora seguito il principio contrario a quello del bene comune: ogni partito vuole dettare le regole del gioco, in base ai propri interessi di fazione. E senza alcuna lungimiranza. E’ impossibile non notare, infatti, che chi propone una riforma elettorale, ci muore. Il Pds ha perso le elezioni del 1994 contro una coalizione di centrodestra che non esisteva fino a tre mesi prima. Berlusconi ha perso le elezioni del 2006, svoltesi con il sistema da lui scelto. L’Italicum, stando ai rapporti di forza fra i partiti, oggi non avrebbe consegnato l’Italia a Renzi, bensì a Di Maio. Il Rosatellum ha punito soprattutto i due partiti che ci hanno creduto di più: sia il Pd che Forza Italia hanno subito un crollo verticale. Chi è il prossimo?
Stefano Magni
La Nuova Bussola Quotidiana, 11 marzo 2018