Tutte le forze politiche hanno sempre dichiarato di volersi battere per un sistema elettorale chiaro, trasparente e dal funzionamento semplice. Ma a causa del “Rosatellum” l’attuale sistema, non solo non abbiamo una maggioranza di governo, ma neppure sappiamo ancora chi è stato eletto.
Tutte le forze politiche hanno sempre dichiarato di volersi battere per un sistema elettorale chiaro, trasparente e dal funzionamento semplice. La frase più ricorrente era quella di auspicare che a urne chiuse si sapesse a stretto giro il nome del vincitore. Tutto questo continua a non succedere, anzi il Rosatellum – sistema elettorale utilizzato in queste elezioni politiche – ha dimostrato il suo carattere farraginoso, negando agli italiani la possibilità di conoscere i nomi di tutti gli eletti addirittura sette giorni dopo. Ancora oggi, infatti, non è dato sapere con certezza chi siano i 630 deputati e i 315 senatori eletti. Eppure i seggi si sono chiusi alle 23 e si è votato un solo giorno. E non è neppure escluso che riconteggi e aggiustamenti possano provocare cambi dell’ultim’ora negli esiti, o quanto meno alimentare una catena di ricorsi e impugnazioni.
Certamente può avere inciso il fatto che, al termini dello spoglio, alcuni presidenti di sezione abbiano inviato i verbali direttamente alla Corte d’Appello di Roma e non al Viminale, impedendo quindi a quest’ultimo di entrare in possesso della documentazione e di ufficializzare i dati. Tuttavia, l’ennesima confusione sui dati, dovuta principalmente alla scelta di un sistema elettorale complicato e per certi aspetti iniquo, riposiziona al primo posto tra le cose da fare in questa diciottesima legislatura la riforma elettorale. Anzi sarebbe opportuno farla subito, proprio affinché non si ripeta quella che è già accaduto l’anno scorso: un Rosatellum come abito cucito su misura addosso ai partiti tradizionali, nel tentativo di fermare l’avanzata grillina. L’impresa, dati alla mano, non è riuscita, visto che il Movimento Cinque Stelle è risultato il primo partito e ha raccolto un ragguardevole numero di seggi. C’è anche il rischio che presto la Corte Costituzionale si pronunci per dichiarare l’incostituzionalità dell’attuale legge elettorale, con conseguente delegittimazione degli eletti. E’ una situazione che abbiamo già vissuto nella scorsa legislatura e che rischia di ripresentarsi. Meglio sarebbe, quindi, varare un nuovo sistema elettorale condiviso tra tutte le forze politiche, senza considerare i vantaggi e gli svantaggi per ciascuna di esse, ma guardando alla governabilità e alla rappresentatività.
Il Capo dello Stato nei giorni scorsi ha richiamato tutte le forze politiche a un maggior senso di responsabilità e le ha invitate a guardare essenzialmente al bene del Paese e non agli interessi particolari. Se le parole di Sergio Mattarella non cadessero nel vuoto, ci sarebbero fondate speranze di poter modificare in tempi brevi la legge elettorale, al fine di farsi trovare pronti a eventuali scioglimenti anticipati delle Camere, fra uno o due anni, evitando che si ripeta lo stesso film già visto nell’autunno scorso. A ottobre, infatti, fu approvato il Rosatellum, proprio perché la legislatura volgeva al termine e occorreva del tempo per ridisegnare i collegi e assicurare un corretto svolgimento delle elezioni. I Cinque Stelle gridarono al golpe, perché il sistema favoriva le coalizioni e non i partiti che correvano da soli, distorcendo quindi, secondo loro, il principio di rappresentanza. Nonostante l’intento di centrodestra e centrosinistra (in particolare di Matteo Renzi e Silvio Berlusconi) fosse quello, le cose sono andate diversamente e i pentastellati hanno comunque conquistato molti collegi uninominali, soprattutto al sud. Tutto questo dovrebbe far riflettere sul fatto che gli italiani spesso capiscono questi raggiri e puniscono nel segreto dell’urna chi li pone in essere.
In questi giorni si parla di tante possibili strade per dare un governo al Paese, ma circola anche l’ipotesi di un Piano B, che consisterebbe in un accordo tra Lega e Cinque Stelle per cambiare la legge elettorale (insieme avrebbero i numeri per farlo) e tornare subito al voto. Presumibilmente la riforma andrebbe nella direzione di una rivincita da parte di Matteo Salvini e Luigi Di Maio, che nelle intenzioni di Renzi e Berlusconi non sarebbero dovuti andare così bene il 4 marzo e avrebbero anzi dovuto prendere meno seggi di Pd e Forza Italia. Se, però, perfino le regole da convidivere tra tutti gli attori in campo, come la legge elettorale, diventano arma di lotta contro gli avversari, ce n’è abbastanza per poter dire che il traguardo di una democrazia matura per il nostro Paese rimane una chimera.
Ruben Razzante
La Nuova Bussola Quotidiana, 11 marzo 2018