Una coppia di uomini “produce” due bambini tramite l’utero in affitto. La genitorialità viene riconosciuta solo al genitore biologico ma anche il partner vuole figurare come genitore biologico. I giudici negano la realtà: “La mancanza di un legame genetico fra i minori e un componente della coppia non è un ostacolo al riconoscimento del rapporto di filiazione”.
Dopo il caso di Livorno ecco un’altra vicenda in cui due persone dello stesso sesso richiedono il riconoscimento dell’omogenitorialità nei confronti di alcuni minori. La storia è la seguente. Una coppia di uomini si “sposa” in Canada e poi “hanno” due bambini tramite l’utero in affitto. Inizialmente la genitorialità viene riconosciuta solo al genitore biologico ma poi i giudici canadesi l’accordano anche all’altro partner. Attenzione al tipo di riconoscimento. Il partner, che non è genitore biologico, vuole figurare padre del minore come se fosse genitore biologico che ha riconosciuto il nato. Non si tratta quindi di una genitorialità acquisita per il tramite della stepchild adoption o dell’adozione. Bensì il riconoscimento concesso è equivalente all’acquisizione dello status di genitori di marito e moglie che mettono al mondo un bebè e poi lo riconoscono.
La coppia ritorna in Italia e chiede al comune di residenza di validare il riconoscimento di genitorialità ottenuto all’estero. Ma l’ufficiale di stato civile nega questo riconoscimento perché sarebbe contrario all’ordine pubblico e poi perché – aggiungiamo noi – nemmeno la legge sulle Unioni civili lo consente. La vertenza approda in Cassazione. I giudici hanno deciso con ordinanza interlocutoria n. 4382/18 di rimettere la decisione al Primo Presidente delle Sezioni unite dato che la materia è assai delicata.
Vedremo quale sarà il verdetto. Per intanto è interessante leggere cosa hanno scritto i magistrati d’Appello che avevano accolto la richiesta della coppia: “L’incontroversa insussistenza di un legame genetico fra i due minori e un componente della coppia non riconosciuto quale genitore non rappresentava un ostacolo al riconoscimento del rapporto di filiazione accertato dal giudice canadese, dovendosi escludere che nel nostro ordinamento vi sia un modello di genitorialità fondato sul legame biologico fra il genitore e il nato, assumendo, invece sempre più importanza il concetto di responsabilità genitoriale che si manifesterebbe nella consapevole decisione di allevare e accudire il nato anche indipendentemente della relazione biologica con uno dei genitori, in considerazione delle consentite (in molti ordinamenti) tecniche di fecondazione eterologa”.
Dunque i giudici ci stanno dicendo che il legame biologico non è necessario per diventare genitori. E questo è vero. Infatti basta pensare all’istituto dell’adozione. Però l’istituto dell’adozione non si fonda sull’inesistente diritto degli adulti di diventare genitori bensì sul diritto del figlio a venire educato e accudito anche da adulti non genitori biologici laddove i genitori biologici non potessero farlo (perché ad esempio defunti) o non fossero in grado per incapacità etc.. I giudici d’appello invece, per legittimare la richiesta di genitorialità, hanno fatto riferimento al concetto di responsabilità genitoriale e alle pratiche di fecondazione eterologaormai da qualche anno legittime anche da noi.
In merito alla responsabilità genitoriale di una coppia omosessuale, moltissimi studi hanno acclarato ciò che il buon senso aveva già compreso da tempo: l’ambiente omosessuale è dannoso per lo sviluppo armonico del bambino, che ha bisogno per la sua crescita di un padre e di una madre e non di due maschi. Il secondo aspetto chiamato in causa dai giudici per legittimare la richiesta della coppia gay si fonda sulla pratica della fecondazione eterologa. Il ragionamento sotteso non si incardina più sul miglior interesse del figlio, bensì sulle modalità di tutela del diritto di diventare genitore. In breve i giudici affermano che, dal momento che esistono tecniche che consegnano un bambino ad una coppia omosessuale che lo ha richiesto, questo fatto da solo è capace di assegnare ai due richiedenti lo status di genitore. La fecondazione eterologa di fatto ha inserito un minore nella casa di Tizio e Caio e dunque Tizio e Caio sono genitori. E’ un equiparazione implicita al concepimento naturale e al parto: come il fatto del concepimento e del parto possono far diventare genitori legali due soggetti biologicamente genitori del nato, così accade anche con la fecondazione eterologa.
L’attenzione dei giudici è così focalizzata nel soddisfare le pretese della coppia dello stesso sesso che si chiude non solo un occhio ma entrambi sulla maternità surrogata – tecnica usata dai due uomini per avere i bambini – che ad oggi è ancora considerata reato dalla legge n. 40/2004 ex art 12 comma 6 e punita con la reclusione. Vero è che questo particolare reato commesso all’estero è punibile solo dietro “richiesta del ministro della giustizia ovvero a istanza, o a querela della persona offesa” (art. 9 cp). Però una riflessione sulla responsabilità genitoriale di una coppia che commette reato ci poteva pure stare nella decisione dei giudici.
Su altro fronte, e in merito sempre alla maternità surrogata, i giudici hanno individuato alla perfezione la ratio della legge 40 e della sentenza n. 162 della Corte Costituzionale del 9 aprile 2014 che dichiarò incostituzionale il divieto di fecondazione artificiale di tipo eterologo contenuto nella medesima legge n. 40 del 2004. Infatti la legge 40 si fonda su un principio molto semplice: è legittimo produrre un essere umano in provetta. Ora se è legittima questa condotta non si vede perché dire no ad alcune tecniche di produzione umana e dire sì ad altre. Perché legittimare solo l’omologa? Sarebbe non solo un limite irrazionale, viste le premesse, ma costituirebbe anche una compressione immotivata del “diritto” delle coppie richiedenti di avere un figlio.
Riconosciuto infatti il diritto al figlio, tale diritto non può conoscere limiti irragionevoli. Questo in buona sostanza fu il ragionamento della Corte Costituzionale nel 2014 che le permise di sdoganare l’eterologa. Ma permessa l’eterologa perché vietare l’utero in affitto? Per le medesime ragioni appena esposte sarebbe contraddittorio accettare alcune tecniche e vietarne altre. Dunque la vicenda dei due uomini che vogliono essere riconosciuti come genitori dà un’altra spallata mortale in un colpo solo all’istituto del matrimonio, a quello della famiglia, al concetto anche giuridico di genitorialità, alla tutela della dignità dei minori, compresi i concepiti, e delle donne che si prestano o sono costrette a diventare incubatrici di carne e alla visione antropologica che rifiuta l’omosessualità. Non male.
Tommaso Scandroglio
La Nuova Bussola Quotidiana, 24 febbraio 2018