Sabato scorso papa Francesco è andato in visita pastorale a Pietralcina e a San Giovanni rotondo, nel centenario delle stimmate e nel 50esimo della morte di Padre Pio.
Si sono ritrovati di nuovo, l’uno di fronte all’altro. Nel santuario vecchio, quello amato dalle vecchiette con pochi denti in bocca, capaci di masticare solo il dialetto del Gargano, o dai papà e le mamme che si arrampicano sul monte per entrare nel tempio del dolore, Casa Sollievo della Sofferenza insieme ai loro bambini, ma prima passano dal frate, per scongiurarlo, tirargli il saio, e raccontare, su un foglietto bagnato, delle lacrime versate di notte per non farsi vedere. Il nuovo incontro, dopo quello avvenuto sotto le volte splendenti della Basilica Vaticana durante il Giubileo della Misericordia, è avvenuto proprio nella Chiesa dove negli anni Cinquanta si ammassavano, prendendosi a pugni, spintonandosi, scavalcandosi, i fedeli, per vedere il cappuccino con le stimmate celebrare Messa, sorretto dai suoi confratelli.
Credo che abbia capito bene, Francesco, che per conoscere davvero quel santo che si chiama Pio, bisogna venire qui a San Giovanni Rotondo, mischiarsi al popolo di pellegrini che fatica con l’italiano ma sa ancora a memoria le giaculatorie del rosario: donne e uomini che pregano, pregano, pregano e non si stancano, così come voleva il padre. Devoti che del cappuccino di Pietralcina sanno vita, morte, ma soprattutto i miracoli e che lo inseguono ancora, nelle brevi traslazioni stagionali, dal vecchio al nuovo santuario (a proposito, proprio dopo la visita del pontefice la teca con il corpo di Padre Pio lascia dopo 112 giorni la ruvida e spoglia cripta del vecchio santuario per far ritorno in quella ricoperta d’oro, mosaicata dal gesuita Rupnik) o nei viaggi più avventurosi, come quello che da vivo non compì mai, a Roma, con tappa di ritorno al paese natale.
Papa Francesco doveva entrare nella spoglia chiesa di Santa Maria della Grazie, guardare quel viso sereno e le mani scheletriche, circondato dalla famiglia dei cappuccini, baciare il crocifisso che ricorda il dono doloroso e unico delle stimmate, sostare sull’uscio della sua cella da cui non si è mosso per anni, per sciogliere il Mistero Padre Pio. Certo di lui aveva sentito parlare già dagli anni argentini, aveva avuto anche il suo bel daffare con i gruppi di preghiera esplosi senza guida e argine a Buenos Aires, e aveva indagato ascoltando le testimonianze di chi gli girava intorno. Padre Marciano Morra, 89 anni di simpatia, era stato chiamato nella diocesi della capitale argentina proprio dall’arcivescovo, per mettere ordine e strutturare il fenomeno ispirato dal carisma del frate. Ricorda che nell’incontro avvenuto nell’episcopio, l’allora arcivescovo di Buenos Aires gli fece molte domande, ma non sulle stimmate, quanto sulla fedeltà al Vangelo e ai Papi, di Padre Pio, sulla capacità di ascolto e di conoscenza delle anime, sull’attenzione alla gente.
Insomma allora come oggi a Bergoglio interessava il “servitore della Misericordia”, quello che nell’omelia di ieri, davanti alle volute verde-rame dell’archistar Renzo Piano, ha chiamato l’apostolo dell’ascolto. Quando lo ha visto da vicino, nei faccia a faccia che sono privilegio dei pontefici, Francesco gli ha fatto dono di una stola da confessore. D’ora innanzi gliela vedremo addosso, dentro la teca in vetro, simbolo di un legame improbabile eppure tenace tra il primo pontefice cresciuto e formatosi nel dopo-concilio e il frate dal cristianesimo della “porta stretta”, tutto preghiera e carità. Della giornata di ieri invece rimane la commozione per un Papa che entra in un reparto di quelli in cui non ci vorremmo mai mettere piede, dove i bambini non hanno capelli e vivono in pigiama, e inonda di amore e consolazione familiari e pazienti. Ma ricorderemo anche le lacrime, quasi singhiozzi, di un vescovo, mons. Michele Castoro, che lotta contro un drago feroce, a cui i bambini di Casa Sollievo della Sofferenza hanno detto di non aver paura se rimarrà calvo, un pastore buono e grato che ha accolto la visita del pontefice come un dono personale (e un po’ è proprio così).
Ricorderemo, le tra parola lasciate da Francesco, preghiera, piccolezza e sapienza. Ma soprattutto forse capiremo che per amare un santo non basta mettere un “mi piace” sulla sua pagina Facebook o comprare un santino, quanto piuttosto iniziare ad imitarlo. E il cristianesimo di Padre Pio, credetemi, è una faccenda tosta. E bellissima.
Cristina Caricato
Il Sussidiario.net, 18 marzo 2018