Nel 50esimo anniversario del documento pontificio, un libro ripercorre il ruolo avuto del futuro Giovanni Paolo II. E le sorprese non sono poche.
E’ una straordinaria e sconosciuta pagina di storia ecclesiale quella che emerge dallo studio di un teologo polacco, don Pavel Stanislaw Galuszka, ora condensato nel libro Karol Wojtyla e l’Humanae vitae. Il contributo dell’arcivescovo di Cracovia e del gruppo di teologi polacchi all’enciclica di Paolo VI (Cantagalli; pagine 550; euro 26). Il testo spiega in modo dettagliatissimo l’impegno di Karol Wojtyla nel periodo conciliare sui temi del matrimonio e della famiglia, racconta la genesi e i contenuti del “Memoriale di Cracovia”, un ampio testo inviato a Paolo VI alcuni mesi prima della pubblicazione dell’Humanae vitae (25 luglio 1968), ma soprattutto ripesca dagli archivi della arcidiocesi di Cracovia alcuni documenti inediti, tra cui una lunga lettera inviata dall’allora cardinale polacco a Montini nel 1969, pochi mesi dopo l’uscita dell’enciclica sull’amore umano e sulla procreazione responsabile.
Un testo sorprendente perché suggerisce a papa Montini, di fronte all’ondata di critiche e al clamore dei media che «seminano confusione nel ministero pastorale», di divulgare urgentemente una “istruzione” per ribadire tra l’altro il carattere «infallibile e irrevocabile» dell’Enciclica. Non solo, propone a Paolo VI, capitoli e contenuti di questa ipotetica “istruzione” che avrebbe dovuto avere tra gli altri obiettivi quelli di replicare alle «opinioni nocive» diffuse sull’Enciclica. La lettera inedita di Wojtyla costituisce l’autentico motivo di interesse dello studio di don Galuszka e va spiegata bene per coglierne tutto il significato nel contesto del cinquantesimo anniversario di Humanae vitae.
La pubblicazione dell’Enciclica, preceduta da un lungo, laborioso e anche drammatico dibattito, prima all’interno delle sessioni conciliari, poi nella Commissione pontificia a cui l’argomento era stato riservato in via esclusiva per esplicita volontà di Paolo VI (vedi box), fu accolta soprattutto da malumori e commenti negativi. Al di là delle critiche dei teologi cosiddetti progressisti, quello che risultò sorprendente e inusitato fu la presa di posizione di oltre 40 Conferenze episcopali (soprattutto europee ma non solo) che nei due-tre mesi successivi all’uscita di Humanae vitae si espressero con dichiarazioni e documenti applicativi variamente critici. Al di là dei toni pacati e dell’ossequio formale all’autorità papale, le dichiarazioni dei più importanti episcopati furono finalizzate a minimizzare la portata delle indicazioni magisteriali e a sollecitare una larga comprensione, quasi un’assoluzione preventiva, nei confronti di tutti quei coniugi che, di fronte alle impegnative indicazioni in tema di regolazione della fertilità, si sarebbero scoraggiati “nella loro debolezza”.
Molto forte, in quasi tutte le dichiarazioni, il richiamo al primato della coscienza – secondo quanto emerso nei documenti conciliari, soprattutto nella Costituzione pastorale Gaudium et spes – e l’esortazione a non soffermarsi sul problema della regolazione delle nascite per valutare la coerenza della vita coniugale all’esempio del Vangelo. In questo clima pesante, mentre Paolo VI amareggiato per tante sottolineature negative confermava comunque la sua volontà non solo di non replicare, ma neppure di aprire un confronto con gli episcopati più critici, arriva la lettera di Wojtyla. E, mentre tutto quanto detto è ampiamente noto e documentato in decine di saggi, lo scambio epistolare tra Paolo VI e il futuro Giovanni Paolo II emerge per la prima volta. Si tratta di un testo molto ampio, occupa circa 22 pagine del libro di don Galuszka, ed è corredato di note a piè di pagina.
Di fronte alla confusione che si è creata e che «riguarda non soltanto il corretto discernimento delle norme morali racchiuse nell’enciclica Humanae vitae e del loro carattere vincolante, ma anche l’in-È sieme della vita cristiana» Wojtyla confessa al Papa la sua preoccupazione. «La contestazione della dottrina morale della Chiesa in un campo così importante come quello affrontato dall’enciclica può costituire l’occasione – sottolinea – per dare vita a un processo molto più ampio di contestazione su altri elementi della fede e degli usi cristiani». Come fare per fermare questa deriva? Il cardinale arcivescovo di Cracovia ha già una soluzione: «Si potrebbe considerare la redazione di un’istruzione ben dettagliata rivolta ai sacerdoti impegnati nel ministero (…). Tale istruzione dovrebbe contenere delle prese di posizioni molto precise riguardo alcune formulazioni teologico-morali, il cui tenore è in evidente disaccordo con l’insegnamento di Cristo trasmesso alla Chiesa». Lo schema del documento che Wojtyla sottopone a Montini prevede cinque capitoli.
Nel primo si propone di dare spazio alle dichiarazioni critiche dei vari episcopati la cui ragione va ricercata, secondo la lettura dell’arcivescovo di Cracovia, «nella preoccupazione derivante dal confronto tra la coscienza morale dei laici e dei sacerdoti, e le esigenze reali della morale cristiana trattate dall’enciclica». Considerazioni che, se da un lato vanno comprese, dall’altro non devono mai far passare in secondo piano che «la forza della legge morale è fondata non già sull’approvazione o disapprovazione degli uomini, dei gruppi, degli ambienti umani, ma piuttosto sulla natura oggettiva di bene e di male morale». Nei capitoli successivi si arriva al cuore della proposta. Innanzi tutto va detto che «è impossibile pensare che la morale coniugale racchiusa nell’Enciclica Humanae vitae possa essere revocata, ossia, che possa essere considerata fallibile».
Inoltre va chiarito il rapporto tra coscienza e legge morale. Visto che la coscienza, argomenta Wojtyla, «trae la propria forza normativa – vincolante e decisiva – dalla morale oggettiva» vanno considerate criticamente «le dichiarazioni di alcuni episcopati » che si sforzano «di mostrare il massimo dell’indulgenza nei confronti dei vari processi di coscienza in questo campo difficile e doloroso della morale umana, di cui però non si può escludere la possibilità di stati di coscienza profondamente errati». Wojtyla suggerisce poi al Papa di ribadire i fondamenti della dottrina sul matrimonio, in particolare a proposito dei rapporti sessuali, spiegando come non esista alcun «conflitto tra le esigenze di una paternità responsabile che richiede, in talune circostanze, di astenersi dai rapporti coniugali e il dovere di mantenere l’armonia coniugale attraverso la pratica di tali rapporti».
A questo proposito il cardinale di Cracovia condanna anche l’espressione “conflitto di doveri”, che compare in alcune dichiarazioni degli episcopati più critici verso l’Humanae vitae. L’ultima parte dell’istruzione è dedicata all’aspetto sacramentale del problema. Wojtyla riprende il passaggio di Humanae vitae laddove Paolo VI consiglia ai confessori di essere indulgenti verso i penitenti per puntualizzare: «Va da sé che l’indulgenza e l’amore verso i penitenti richiedono altresì che i sacerdoti facciano loro prendere davvero coscienza dei metodi etici a cui ricorrere per la regolazione delle nascite e che li agevolino nella pratica ».
Per chi si discosta da queste indicazioni non ci può essere indulgenza: «È categoricamente proibito consigliare la santa comunione senza confessione previa, agli sposi che fanno uso di mezzi contraccettivi nell’ambito del loro matrimonio». Insomma, il tono delle “linee guida” immaginate da Wojtyla avrebbe dovuto rappresentare un sostanziale irrigidimento rispetto a quanto scritto da Paolo VI in Humanae vitae, oltre a prendere le distanze in modo esplicito dalle considerazioni espresse dagli episcopati di mezzo mondo, caratterizzate invece da rispetto, accoglienza e comprensione.
Quale fu la reazione di Montini di fronte a questa proposta? Non lo sappiamo. Sappiamo però che nei successivi dieci anni della sua vita, tornò soltanto quattro volte sull’Humanae vitae. E non solo non manifestò mai l’intenzione di irrigidirne l’applicazione, ma nei discorsi e negli interventi ufficiali non fece più alcun riferimento ai metodi naturali di regolazione della fertilità. Ma l’aspetto forse più sorprendente della lettera è la proposta di proclamare il carattere “infallibile e irreformabile” di Humanae vitae. Possibile che Wojtyla ignorasse che era stato lo stesso Paolo VI a imporre a monsignor Ferdinando Lambruschini – decano della cattedra di teologia morale della Lateranense poi arcivescovo di Perugia – di spiegare nella conferenza stampa di presentazione dell’Enciclica che quel testo non doveva essere considerato né infallibile né irreformabile? Evidentemente no. Forse nella storia lacerante di Humanae vitae c’è ancora qualcosa che non sappiamo.
Luciano Moia
Avvenire.it, 4 marzo 2018