In Italia sono circa 3 milioni i giovani (e non solo) che soffrono di questi disturbi del comportamento alimentare, e tra questi il 90% sono donne e il 10% uomini. Il cibo viene da loro vissuto come ossessione, alterando l’equilibrio psicofisico della persona.
Occorre una diagnosi precoce e insieme la “presa in carico” da parte di specialisti sebbene, ovviamente, la vicinanza della famiglia sia una risorsa decisiva nella cura di ragazze e ragazzi, anche perché essa è in condizioni di intervenire immediatamente, ai primi cenni del disturbo.
La tempestività consente di migliorare decisamente il disequilibrio nutrizionale, tanto da registrare tassi di rientro che oscillano tra il 70 il 90% dei casi. L’attenzione all’equilibrio nutrizionale è fondamentale per garantire un corretto sviluppo psicofisico. E purtroppo è un fatto che negli ultimi anni si è abbassata l’età della comparsa dei disturbi alimentari, ora presenti anche nei giovanissimi, dagli 8-9 anni. L’insorgenza infantile di tali problemi, persino nella prima e primissima infanzia, può essere legata a difficoltà e conflitti gravi del rapporto con i genitori. Un dato che aiuta a capire perché le famiglie devono essere sostenute e accompagnate in tutto l’iter di cura della malattia del figlio, un percorso che spesso destabilizza e impaurisce. La gamma dei disturbi varia dall’anoressia nervosa, alla bulimia, il binge eating (disturbo da alimentazione incontrollata e altri disturbi sottosoglia e in forma ibrida). Anoressia, bulimia si insinuano nella vita degli adolescenti che vedono il cibo come il nemico-amico. Si tratta di un percorso molto complesso che nelle forme più gravi richiede il ricovero ospedaliero. Il trattamento può essere ambulatoriale o in centri specializzati per le forme meno severe o croniche.
Quali sono i campanelli d’allarme? Un forte dimagrimento, la perdita del ciclo mestruale e l’attenzione ossessiva per la forma fisica. Capita durante la crescita fisica che ragazze e ragazzi subiscano un disorientamento psicologico e magari è proprio in questi momenti di crisi che si insinua il malessere alimentare. Erroneamente si pensa che il cibo sia il problema, invece può essere una conseguenza. È necessario controllare se i ragazzi usano diuretici, lassativi o se vanno in bagno subito dopo il pasto, magari per liberarsi immediatamente vomitando. È importante notare un cambiamento di carattere e un sopravvenuto mutismo. E se è difficile per gli adulti fare uscire i ragazzi dal silenzio, si possono comunque e certamente cercare occasioni adatte al dialogo.
È utile poi sottoporre a un medico nutrizionista il regime alimentare seguito dall’adolescente, al fine di valutarne eccessi o carenze. In questa figura competente e specializzata il genitore può trovare un valido supporto nel porre in essere soluzioni per la salubrità fisica e mentale. La percentuale di decessi in un anno per anoressia nervosa si aggira tra il 5,86 e il 6,2%, per bulimia nervosa tra l’1,57 e l’1,93% e per gli altri disturbi tra l’1,81 e l’1,92%, ci indica che l’età di esordio di questi problemi si colloca generalmente tra i 15 e i 19 anni anche se di recente, sempre più frequentemente l’età dei casi di anoressia va abbassandosi pericolosamente. Sarebbe perciò utile preparare maggiormente gli ospedali ad accogliere questi pazienti in reparti con strutture specializzate in grado di sostenere le famiglie, anche nella fase di riabilitazione. In Italia su questo siamo carenti, esistono infatti solo 7 centri per la riabilitazione, troppo pochi. Bisogna rinforzare il servizio. E bisogna che ci sia l’attenzione di tutti.
Giorgio Calabrese
Avvenire.it, 15 marzo 2018