Il Parlamento giapponese ha deciso di studiare risarcimenti per le persone disabili vittime della legge che ne ha autorizzato la sterilizzazione dal 1949 al 1996. Sarebbero 16.500 le persone coinvolte.
Il Giappone fa i conti un’altra delle sue zone d’ombra che ne perpetuano la diversità pur nella sua apparenza di Paese sviluppato e avveniristico. Ci sono voluti quasi vent’anni per riconoscere la realtà delle sterilizzazioni forzate portate avanti per un quarantennio dopo la fine della seconda Guerra mondiale. Per una volta la politica di Tokyo è stata sollecita nell’accettare pubblicità, giustizia e indennizzi per le donne che hanno subìto una legge apertamente eugenetica. Sono stati infatti parlamentari del partito di maggioranza, il Liberal-democratico, a indicare nei giorni scorsi possibili misure di compensazione per le migliaia di cittadini, alcuni molto giovani, sterilizzati a forza in base a una spaventosa legge approvata nel 1948 e che nel Giappone del dopoguerra, impoverito e devastato, consentì di intervenire su migliaia di persone affette da malattie genetiche ereditarie, problemi psicologici o lebbra. Sarebbero 16.500 i giapponesi vittime di questa legge abrogata solo nel 1996 che, come ha sottolineato il deputato Takeo Kawamura, «poteva essere accettabile nel contesto dei giorni immediatamente successivi alla guerra» – un giudizio che fa capire quale fu l’approccio del Sol levante verso questo tipo di questioni – ma che oggi è inconcepibile. Lo stesso parlamentare ha promesso che si farà promotore di un’indagine specifica.
La breccia aperta dalla denuncia di una donna
È stata una donna ora sessantenne a riproporre al Paese una questione che sembrava dimenticata, denunciando il governo per l’intervento di sterilizzazione cui fu sottoposta nel 1972 dopo che le era stata diagnosticata la disabilità mentale, senza consenso, in base a una valutazione da parte delle autorità locali, e senza alcun risarcimento successivo.
La donna, che vive nella prefettura settentrionale di Miyagi, una di quelle devastate da terremoto e tsunami nel marzo 2011, ha chiesto al tribunale di Sendai un risarcimento di 11 milioni di yen (circa 84mila euro) per la violazione dei suoi diritti come essere umano e per la non volontarietà del trattamento. Per la prima volta i suoi avvocati hanno sollevato il problema del mancato riconoscimento di questi abusi da parte della politica e del diritto. La donna aveva 15 anni quando venne sottoposta a sterilizzazione secondo una procedura che i legali indicano come coatta e che, privandola della possibilità di avere figli, l’ha emarginata e privata della dignità individuale e del diritto all’autodeterminazione garantiti dalla Costituzione. Almeno altre tre persone, una donna e due uomini, si appresterebbero a presentare simili denunce ed è anche in preparazione un’azione collettiva. Nel 2005 il governo di Tokyo riconobbe il diritto al risarcimento solo per i malati di lebbra sterilizzati forzosamente.
Norme eugenetiche non sono state esclusiva del Giappone, ma furono applicate e poi sospese in altri Paesi, come Germania e Svezia.
Stefano Vecchia
Avvenire.it, 10 marzo 2018