La democrazia rischia di iniziare e finire con un segno su di una scheda, invece di essere un percorso continuo che inizia nel sociale, passa per la cabina elettorale per reimmergersi nuovamente tra la gente. Per questo tutti i Parlamenti vogliono Zuckerber; d’improvviso si sono accorti che qualcosa non va e che la loro funzione è svuotata di ogni significato…
In questi giorni tutti i Parlamenti vogliono interrogare il signor Zuckerber. Se sono stati commessi dei reati, se ne occupa la polizia e quindi i governi, ma la novità assoluta sono proprio i Parlamenti che non si devono occupare di reati, ma del funzionamento del sistema democratico. Per quanto mi ricordi non era mai successo; dunque la cosa è di una gravità assoluta e riguarda l’essenza stessa di tutti i nostri sistemi democratici: il problema è che questo non è altro che la punta dell’iceberg visibile, ma che nasconde sotto le acque una massa assai più consistente.
Democrazia è il potere del popolo che lo esercita dando il proprio consenso ai diversi partiti, essa è infatti una democrazia delegata. Da una parte il popolo elettore e dall’altra il consenso ai partiti: questi i due termini chiave di tutti i nostri sistemi di rappresentanza politica.
Da sempre eravamo abituati a pensare i partiti come aree culturali omogenee dalle quali scaturivano soluzioni concrete proposte agli elettori. Lo stesso schema era replicato in tutta la vita culturale di ogni Paese a “democrazia matura”, basta pensare ai giornali, alle case editrici, alla filmografia, al teatro e così via. Il lettore si formava un’idea, non solo partitica, ma anche culturale in senso lato, ascoltando le interpretazioni dei fatti alla luce di un indirizzo generale rappresentato di volta in volta dai giornali, dai libri, dai film ecc.
Era pertanto necessario ascoltare più voci e metterle a confronto perché dietro al fatto c’era comunque un indirizzo culturale preciso fino a sconfinare in una vera e propria ideologia la quale lasciava pochi margini di interpretazione. Ebbene, con il crollo del muro di Berlino, abbiamo buttato via il bambino con l’acqua del bagno. Ci siamo disfatti delle ideologie, ma abbiamo gettato via anche la pluralità di orientamenti culturali che pure hanno attraversato tutto il ‘900.
Oggi, il lettore medio, non compra più il giornale per formarsi un suo giudizio autonomo, ma solo per sentirsi rafforzato nei suoi propositi, così come le “fiction” sono costruite affinché il fruitore si senta rappresentato. Al bisogno di confronto si è sostituito l’autocompiacimento. Sono circa 20 anni che questo processo culturale si è formato e rafforzato; oggi ha una novità significativa: si esteso anche alla politica. Trump “docet”. La sua piattaforma elettorale non è stata costruita avendo alle spalle un sistema di riferimento valoriale dal quale scaturivano le proposte concrete, ma in tutt’altro modo e qui c’entra Zuckerber con Facebook.
La testa pensante di Trump, Steve Bannon, ha usufruito dei desideri espressi da 51 milioni di americani per costruire una piattaforma elettorale che “semplicemente” andasse incontro alle aspettative profonde degli elettori. In sostanza gli ha offerto ciò che loro, sia pur confusamente, già volevano, rafforzandoli nel loro intendimenti con messaggi mirati. Il tutto confezionato con parole semplici, concetti in fondo elementari, ma che erano capaci di solleticare il navigatore su internet e che legge il giornale solo al bar, ma che ha il pregio di essere la maggioranza. Egli ha in comune con l’elettore la solitudine sia davanti al computer come in cabina elettorale, e lì le due anime si riuniscono. Purtroppo sappiamo bene, dai commenti che appaiono sui social, il livello di ignoranza, misto a volgarità, a cui la solitudine può condurre.
Viene meno così l’essenza stessa della democrazia, sia come sistema valoriale in sé, che come promessa di atti concreti per raggiungere gli obbiettivi a cui quei valori tendono. In fondo è uno schema rovesciato che, invece della speranza in un mondo migliore, esalta la frustrazione e la rabbia. Sparisce il confronto delle idee, e, come per i media, ognuno ricerca quello in cui si riconosce a patto che sia semplice e di immediato effetto, senza tener minimamente conto della complessità, delle esigenze degli altri e neppure di quelle del vicino.
E’ una democrazia che inizia e finisce con un segno su di una scheda, invece di essere un percorso continuo che inizia nel sociale, passa per la cabina elettorale per reimmergersi nuovamente tra la gente. Ecco il motivo di fondo per cui tutti i Parlamenti vogliono Zuckerber; d’improvviso si sono accorti che qualcosa non va e che la loro funzione è svuotata di ogni significato.
In questo senso la democrazia novecentesca che tutti noi abbiamo conosciuto e su cui ancora si reggono le nostre comunità, d’un tratto si sente spazzata via e sostituita da un “panem et circenses” non importa da chi offerto. Non è un caso infatti che da almeno 30 o 40 anni nessun politico chieda ai propri elettori di studiare e lavorare di più; al contrario, tutti promettono feste e divertimenti assieme a tanti soldi. Noi latini, nella nostra storia, abbiamo già conosciuto questa situazione e se si è salvato qualcosa lo dobbiamo solo e soltanto alla Chiesa che nei suoi monasteri ha conservato il meglio delle epoche passate.
Piero Bargellini
28 marzo 2018